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8/10

The end of the tour regia di James Ponsoldt

Drammatico
recensione di Giulia Betti

Adattando il libro del giornalista di Rolling Stone David Lipsky “Come diventare sé stessi” (edito in Italia da Minimum Fax), il film porta al cinema un ritratto intimo e complesso dello scrittore David Foster Wallace, una delle stelle della letteratura americana e mondiale dei nostri anni, morto suicida il 12 settembre del 2008. Il libro di Lipsky è la cronaca di cinque giorni da lui trascorsi assieme a DFW mentre era in giro per gli Stati Uniti per un tour di reading del suo "Infinite Jest", e The End of the Tour lo adatta aggiungendoci anche alcuni spunti dalla biografia ufficiale dello scrittore, "Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi" (Einaudi), firmata dal giornalista del New Yorker D.T. Max.

Sono moltissimi i motivi per andare a vedere questo film, ma inizierò citandone solo alcuni. Il primo è perché si cala nell’intimo di un grande genio contemporaneo, lo scrittore David Foster Wallace, il secondo perché prevede un cast e degli autori superlativi, ed il terzo, è perché sondando il terreno fra i giovani d’oggi, pochi hanno letto “Infinite Jest”, e sanno chi sia stato il suo autore. Con quest’opera, così delicata e morbida, tanto ironica, straziante e sincera, forse chi non lo ha mai fatto, inizierà a leggere gli scritti di uno degli autori più importanti del terzo millennio, l’ultimo fra i maledetti, i tormentati, i decadenti nello spirito, ma non nell’opera, espressamente satirica ed ironica.

Non è un biopic, è piuttosto un’istantanea su due corpi giovani che s’incontrano, entrambi bisognosi di calore, ma gelidi, tenuti a distanza da due menti superiori che collidono, come corna, come cervi, come animali alla conquista della stessa femmina, il successo. Si toccano, si annusano, si scontrano, si leccano nel tentativo di assorbire dall’altro ciò che l’altro ha di migliore. Wallace ha il successo, ma non la consapevolezza di essere in grado di comprenderlo, sostenerlo, viverlo, superarlo con dignità e farne virtù e nutrimento. Lipsky, che lecca più forte, sembra quasi voler scuoiare il povero avversario dal riconoscimento che l’opinione pubblica ha voluto conferirgli anziché riconoscere ciò che di buono c’era in lui. È inferiore, lo sa sin dalla partenza, ma sarà solo dopo aver toccato con mano il fragile genio di Wallace, nascosto da una bandana, per proteggerlo, scaldarlo, preservarlo dalle contaminazioni, che Lipsky renderà finalmente conto a se stesso della sua inferiorità nei confronti del collega. Persino la dimensioni dei loro libri delucidano un netto scarto fra Wallace e Lipsky, “Infinite Jest” supera le mille pagine, “The Art Fair” è circa un quarto del primo. Si parla per metafore, si capisce.

E se questo non bastasse per convincervi ad andarlo a vedere al cinema dall’11 Febbraio 2016, forse conoscerne gli autori, gli interpreti, i tecnici e le personalità che lo hanno reso possibile, sarà utile ad annusarne la qualità.

Scelgo di incominciare dal compositore delle musiche, Danny Elfman, uno dei più versatili ed esperti compositori nell’industria cinematografica, quattro volte nominato agli Oscar, per Milk, Good Will Hunting, Big Fish e Men in Black. Proseguirei quindi citando lo scenografo Gerard Sullivan, lo ricordiamo per Il cavaliere Oscuro - Il ritorno, The Gran Budapest Hotel, Moonrise Kingdom e Me and Earl and the dying girl. Diretto dal giovane James Ponsoldt, più volte premiato al Sundance Film Festival, e sceneggiato dal Premio Pulitzer Donald Margulies, The end of the tour è prodotto da David Kanter, produttore anche dell’attesissimo The Revenant diretto da Alejandro Iñarritu.

Ma ora la componente principale, il cast. D'eccezione le interpretazioni di due artisti già consci della loro grandezza, sono Jesse Eisenberg (The Social Network) e Jason Segel (Sex tape, Bad teacher, How I met your mother), il primo scelto senza indugi, per la sua indubbia capacità di manifestare intelligenza e vulnerabilità, ed il secondo, per il desiderio che aveva di interpretare questo ruolo, per la sua età e per la corporatura. Molti giudicarono la scelta del regista nei riguardi di Segel, ma a film concluso non poterono che rimangiare le proprie accuse e vergognarsi del pregiudizio nutrito nei confronti dell’attore comico. Jesse e Jason dimostrarono grande capacità di calarsi nei panni di due scrittori, forse perché essendo a loro volta autori oltre che interpreti, riuscirono a cogliere quella sensibilità, quella sofferenza espressa, quel senso di inadeguatezza che spesso si infiltrava nelle scarpe dei due protagonisti, Wallace e Lipsky.

The end of the tour è un'opera al gusto intenso di thè caldo. Elegante, composto, necessario, rilassante ed incredibilmente capace di scaldare l’interiora dello spettatore. Un po’ come Life, il film del 2015 diretto da Anton Corbijn, con il quale condivide la storia di un incontro reale, l’elastico teso dell’ammirazione/incomprensione fra due maschi giovani, due artisti, e la morte prematura d’uno dei due, naturalmente: l’Icona.

Su Life era James Dean, su The end of the tour, David Foster Wallace.

 

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alexmn 6/10

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