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7/10

As I Lay Dying regia di James Franco

Drammatico
recensione di Giulia Bramati

Alla morte della madre, una famiglia affronta un difficile viaggio per darle una degna sepoltura. Tratto dall’omonimo romanzo di William Faulkner.

Non è solo bello, ma è anche bravo sia nella regia che nella recitazione. Sto parlando di James Franco, da qualche anno passato dietro alla macchina da presa, che presenta a Cannes nella sezione Un Certain Regard il suo terzo lungometraggio As I Lay Dying. Il film ripercorre fedelmente l’omonimo romanzo di William Faulkner, che racconta la storia di una famiglia di poveri contadini del Mississippi, che dopo la morte della madre, affronta un lungo viaggio per darle una degna sepoltura.

Per tradurre in immagini la complessa struttura stilistica di Faulkner, James Franco decide di osare, facendo scelte sperimentali non certo scontate, senza mai eccedere. La sua non è una pellicola realizzata per concorrere ad un festival, ma è il sincero tentativo di un giovane regista di trovare modalità alternative rispetto alla consuetudine. Egli riprende tecniche sperimentali adottate dall'avanguardia francese degli anni '20, con l'obiettivo di valorizzare la recitazione, cuore della dimensione filmica.

Sin dalla prima inquadratura, lo schermo viene diviso in due parti. Nella prima metà il campo è completamente nero, mentre nella seconda metà il regista mostra il primo piano di una donna moribonda. Nella seconda sequenza viene adottata la stessa scelta, ma a parti invertite. 

Questa doppia dimensione prosegue per gran parte della pellicola, dove sparisce la parte di schermo nera, sostituita da un'altra sequenza video. Si ha, dunque, nella prima metà dello schermo una scena e nelle seconda metà la stessa scena mostrata da un diverso punto di vista. Talvolta, James Franco usa questa tecnica per sviare sequenze che avrebbero richiesto un campo/controcampo, mostrando contemporaneamente da una parte il campo e dall’altra il controcampo.

In altre occasioni, invece, il regista mostra accanto alla sequenza principale un flash forward, che anticipa di pochi secondi ciò a cui lo spettatore sta per assistere.

Il significato di questa scelta va ricondotto a Faulkner. Nel romanzo As I Lay Dying, infatti, l’autore racconta i punti di vista di diversi personaggi, affidando loro diversi capitoli narrati in prima persona, nei quali ognuno spiega la propria visione della vicenda.

Queste scelte nel linguaggio filmico possono creare un senso di disorientamento. È difficile riuscire a farsi coinvolgere dalla narrazione, ma lo sperimentalismo di cui si dà prova è accattivante e sicuramente apre a nuove tecniche di regia.

James Franco non è certo il primo a dividere lo schermo in due parti - un esempio recente che mi viene in mente è una sequenza del film "500 giorni insieme" di Marc Webb - ma dimostra grande coraggio ad adottare questa tecnica per l'intera durata della pellicola, violando continuamente tutte le convenzioni del cinema, come la regola dei 180° o la messa a fuoco. Ma in fondo, qualche volta, le regole sono fatte anche per essere infrante.

Il regista dimostra che si può fare cinema con pochi mezzi, pochi attori, ambientazioni limitate, dialoghi ridotti all’essenziale, perché è grazie all’immaginazione che un film riesce a diventare speciale.

È buona la recitazione di tutto il cast. James Franco ha voluto ritagliare una parte per se stesso, interpretando uno dei figli della donna morente.

As I Lay Dying è un film che non piacerà a tutti, perché la narrazione è molto lenta e faticosa, ma certamente lo sperimentalismo – più vicino alla video-arte che al cinema – affascinerà una buona parte di pubblico.

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