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7/10

Fedele alla Linea regia di Germano Maccioni

Documentario
recensione di Giulia Bramati

Tra le mura della sua abitazione nelle montagne emiliane, Giovanni Lindo Ferretti racconta la sua vita: fervente leader dei “CCCP Fedeli alla Linea” negli anni '80, ha deciso di ritirarsi nei luoghi dell'infanzia per recuperare le tradizioni della sua famiglia, allevando cavalli e sperimentando una nuova forma di spettacolo, il teatro equestre.

 

L'intenso arco esistenziale vissuto fino ad ora da Giovanni Lindo Ferretti diventa il soggetto per l'ultimo documentario di Germano Maccioni, il quale decide di incontrare il leader dei CCCP Fedeli alla Linea – gruppo punk rock anni '80 – per presentare il suo ultimo progetto creativo: il teatro equestre della Corte Transumante di Nasseta. Questa forma di spettacolo nasce con l'obiettivo di raccontare la storia epica caratteristica della montagna vicino a Reggio Emilia, terra d'origine dell'artista, attraverso cavalli apparentemente selvaggi e indomabili.

Il racconto documentaristico, però, si è trasformato in corso d'opera: Maccioni, infatti, si è lasciato sedurre dall'appassionante storia di vita di Ferretti e ha deciso di dedicare gran parte del film alle esperienze precedenti alla creazione della compagnia della Corte Transumante di Nasseta. La stalla e i cavalli, assoluti protagonisti della prima parte del film, esaltati dalla perfetta fotografia di Marcello Dapporto, lasciano spazio alla documentazione d'archivio pazientemente reperita dal regista. La storia di Ferretti diventa indissolubile da quella del suo gruppo, i CCCP Fedeli alla Linea, nato a Berlino nel 1982 in seguito all'incontro con il chitarrista Massimo Zamboni, emiliano come lui.

Cresciuto in un retrogrado paesino distante dalla città e costantemente circondato da animali da pascolo e da compagnia, da bambino Ferretti viene mandato in un collegio per poter proseguire gli studi. È qui che rafforza la sua fede religiosa, una delle sue tante controverse caratteristiche. Cattolico, comunista, cantante, addomesticatore di cavalli, teatrante, poeta: nei 74 minuti di documentario, Ferretti cerca di svelare come sia riuscito a trovare un equilibrio tra la dimensione caotica del successo come leader dei CCCP e la dimensione silenziosa della sua terra d'origine.

Durante un ricovero in ospedale, negli anni dell'adolescenza, Ferretti viene a contatto con le manifestazioni del '68 e inizia ad interessarsi alla politica e viene affascinato dal pensiero comunista, che nel corso degli anni diventerà uno dei punti centrali della sua vita, tanto che quando si scioglie l'Unione Sovietica, Ferretti decide di sciogliere anche i CCCP: muore il comunismo, muoiono i CCCP.

Nell'intimità delle sue mura domestiche nella provincia emiliana, dove è voluto tornare a vivere per poter portare avanti le tradizioni della sua terra, Ferretti ricorda alcuni episodi della sua vita, dai grandi concerti, dove accorrevano ad ascoltarlo 4000-5000 persone, al difficile rapporto con la madre, che per vent'anni non ha approvato il suo stile di vita, dal suo lungo viaggio in Mongolia alle continue malattie. Ferretti crede che la malattia sia la parte più vitale della sua vita: per quanto questa affermazione possa sembrare paradossale, il cantante riesce a spiegare perfettamente questo controverso pensiero nel corso del documentario; fin da piccolo, è stato vittima di diverse malattie, tra cui un tumore, da cui fortunatamente è riuscito a guarire. Con gli anni, ha imparato ad accettare la malattia come parte della vita e il suo monologo, quasi unica voce all'interno del documentario, diventa un'esposizione della sua filosofia e dei suoi pensieri sulla vita e sulla morte, sulla politica e sulla religione, sulla musica e sull'arte.

Maccioni scompare dietro la macchina da presa, per lasciare spazio a Ferretti, ai suoi luoghi e alle sue parole. Molto interessante è la scelta di recuperare materiali privati d'archivio dei concerti dei CCCP, con relative interviste a Ferretti girate negli anni '80. È inevitabile il confronto tra il giovane Ferretti, speranzoso e irrefrenabile, e il contemporaneo Ferretti, disilluso e intimidito, ma ancora fiducioso nell'arte, tanto da avere il coraggio di intraprendere la nuova strada artistica del teatro equestre.

Fedele alla linea” sarà distribuito nelle sale a partire da fine aprile. Per ora, il documentario è stato proiettato in anteprima alla 31^ edizione del Bergamo Film Meeting e tra pochi giorni parteciperà al Bari International Film Festival.

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