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7/10

Gimme danger regia di Jim Jarmusch

Documentario
recensione di Pasquale D'Aiello

Il più rock dei registi, Jim Jarmusch, incontra la più oltraggiosa delle band: la storia di Iggy Pop e della band che col suo carattere provocatorio ha saputo cambiare l'immagine stessa del rock.

Questa storia inizia la notte di Halloween del 1967, negli Stati Uniti. Siamo alla festa dell'università del Michigan, nel pieno della contestazione giovanile. Mancano pochi mesi al rivoluzionario maggio francese del 1968 ma qui sono già iniziati i sommovimenti universitari che anticipavano la grande contestazione. Questi giovani sono l'avanguardia dell'avanguardia eppure quello che stanno per sentire e per vedere sconvolgerà anche loro. Sul palco della loro festa sale una band di giovani sconclusionati capeggiati da un front man sconvolgente. Il gruppo, denotando una buona dose di consapevolezza e di ironia, si è dato il nome di The Stooges, I fantocci, il solista si chiama James Newell Osterberg, detto anche "l'Iguana" meglio noto in seguito come Iggy Pop. I loro altoparlanti pompano la musica al massimo del volume, le pareti dell'università tremano ma quello che sconvolgerà più di tutto sarà il loro riff sincopato e i testi frammentati o forse no, la cosa più incredibile saranno le performance di Iggy. Entra in scena a torso nudo, mette in mostra la sua estrema magrezza, sul palco salta e si dimena con un indemoniato che cerca il contatto con il pubblico fino all'estremo, inventando lo stage diving, il tuffo in mezzo al pubblico. Non sempre gli andrà bene, soprattutto all'inizio, e una volta ci rimetterà anche un incisivo. Gli inizi non sono semplici, la loro musica fatica a farsi strada ma si capisce che hanno sfondato il diaframma musicale che separava le dolci melodie degli ottimistici anni 60, quelli dei boom economici, dai suoni crudi e dissacranti che aprivano alla consapevolezza delle crisi degli anni 70. E così, di provocazione in provocazione, Iggy viene chiamato a collaborare e contaminare i mostri sacri della musica, soprattutto quella della scena british, a cominciare da Lui, Il Duca Bianco, David Bowie. A raccontare questa storia è Jim Jarmush che dimostra di sapere controllare i tempi e i ritmi del racconto non solo nella dilatazione ma anche nella contrazione degli spazi e dei tempi. Pur avendo tra le mani solo delle semplicissime interviste ai componenti degli Stooges e ad Iggy, riesce a trascinare e coinvolgere dentro questa avventura che dura solo 7 anni per poi riprendere nel 2003, anno della reunion del gruppo. Per farlo usa in modo spregiudicato ed ironico la musica, il materiale di repertorio e persino delle buffe animazioni.

Quello che ne emerge non è solo il racconto di una band che ha trasformato il panorama musicale e culturale. Si coglie chiaramente la trasformazione prodotta da Iggy Pop rispetto al ruolo dell'artista che mette in gioco la propria vita e il proprio corpo per farne parte integrante dello spettacolo. Ma c'è dell'altro. A guardare il corpo senile ma ancora agilissimo di Iggy, ad ascoltare le parole lucide sebbene rallentate, forse dagli abusi tossici giovanili, del batterista Scott Asheton, a scoprire la storia del chitarrista e ingegnere James Williamson che torna a fare musica dopo una vita da manager informatico della Sony, si ha la sensazione di entrare in contatto con un'avanguardia che racconta la trasformazione di tutte le ultime generazioni. La contestazione politica e generazionale, forse ingenua ma densa di energie, la sperimentazione dei limiti del proprio corpo, la relazione tra potere mainstream e contropotere. Sono contraddizioni che una band che suona il rock 'n' roll non può certo risolvere ma che può raccontare, soprattutto se si tratta forse della prima ad averle sollevate e vissute sulla propria pelle. E' un racconto politico, sociologico, antropologico e musicale. Denso, divertente, sorprendente e interessante. Da non perdere, al cinema solo il 21 e il 22 febbraio.

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