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R Recensione

7/10

Pussy Riot. A Punk Prayer regia di Mike Lerner, Maxim Pozdorovkin

Documentario
recensione di Pasquale D'Aiello

La ricostruzione delle origini e delle performance del gruppo punk Pussy Riot, impegnato in battaglia contro la discriminazione sessuale e il connubio tra reazionario tra chiesa ortodossa e il governo russo di Vladimir Putin.

Il 21 febbraio 2012 un gruppo di attiviste, le Pussy riot, si sono introdotte sull'altare della chiesa moscovita di Cristo Salvatore, inscenando una performance musicale contro il connubio tra chiesa ortodossa e Vladimir Putin, accusato di essere un autarca, manipolatore della democrazia russa. Il gruppo di contestatrici è composto solo da donne, l'ispirazione musicale è quella punk rock anche se le tematiche politiche sono ben lontane dal punk occidentale anni '80. Se da noi il punk nasceva su quelle che considerava le macerie del capitalismo consumista, ritenuto totalmente irrecuperabile, e guardava, con rabbiosa indifferenza, all'agonia della società, le militanti russe denunciano i ritardi della Russia nel processo di costruzione di uno stato democratico, liberale e laico. Anche le reazioni del potere alla contestazione sono opposte. Mentre i governi occidentali hanno ricambiato l'indifferenza con altrettanta sovrana noncuranza, quello russo ha reagito con aggressività, spedendo al carcere duro tre componenti delle Pussy riot. La diversità di reazione non risiede solo nella differente matrice politica dei governanti ma anche nelle condizioni storiche in cui avvengono i fatti. La protesta radicale del punk occidentale si riversava contro un sistema maturo che era perfettamente in grado di metabolizzare ed anche neutralizzare le spinte distruttrici di quella contestazione. La Russia dimostra, ancora una volta, il suo sfasamento temporale rispetto al tempo europeo. Se il comunismo è stato una fuga in avanti che ha esposto il paese ad un competizione economica impari, il ritorno improvviso al capitalismo è un'accelerazione che espone i fragili nervi del potere alle insidie della critica, percepita come pericolosa, sebbene sia sostanzialmente costruttiva e anticipatrice di un obiettivo che dovrebbe essere condivisibile anche dalla maggioranza della popolazione. C'è stato chi ha voluto vedere nel fenomeno della Pussy riot la mano del nemico occidentale che punta a destabilizzare il potere russo o, quantomeno, ad accelerare i processi di ammodernamento della società. A conti fatti questa interpretazione resta irrilevante, oltre che poco credibile, poichè le militanti mostrano una vena libertaria e "rivoluzionaria" che sembra genuina e che non è proprio il punto forte dell'Occidente ed è, comunque, in sè una giusta necessità di evoluzione di quella società. La Russia ha deciso di entrare a far parte del liberalismo democratico capitalistico e una repressione così dura del dissenso interno resta del tutto inaccettabile. Il documentario restituisce un'immagine del gruppo punk che appare incamminato sulla via dell'emulazione dei modelli liberali e libertari occidentali, così come ricostruisce la struttura di un sistema di potere retrivo, ancora imbevuto di residui di stalinismo, e che non esita ad ammiccare alle frange più conservatrici della società, come dimostrano anche le recenti prese di posizione di Putin verso l'omosessualità. Ascoltando le testimonianza delle accusate e dei loro sostenitori si percepisce con chiarezza l'ancoraggio culturale ai passaggi salienti della contestazione europea dei decenni passati, da Guy Debord al Punk, passando per affermazioni del movimento femminista che mettevano al centro della vita politica il corpo, la differenza e la libertà sessuale e di espressione. Tracciando una relazione tra le Pussy riot e il movimento da cui originano, Voina, ed anche il gruppo femminista ucraino Femen, emerge a prima vista una differenza rispetto agli antecedenti occidentali che è forse, l'unica novità che fa i conti, malamente, con il tempo inevitabilmente trascorso. Se in occidente la sessualità veniva scoperta, attraverso un processo autonomo ed originale, in una dimensione personale che diventava politica, nell'ex Unione Sovietica si utilizza come base di partenza l'immaginario sessuale occidentale attuale, acritico, mercificato da anni di compravendita, sterilizzato da ambizioni "rivoluzionarie", che nasce nei media e si impone agli individui. Ovvero dell'impossibilità della storia di ripetersi due volte nello stesso modo e di come la sua ripetizione si colori inevitabilmente delle sfumature della farsa.

P.S. Per la società di distribuzione italiana del film: non è corretto censurare il testo originale russo con asterischi. Si fa una figura di bigotti che sarebbe bene risparmiarsi.

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