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7/10

Pino Daniele - Il tempo resterà regia di Giorgio Verdelli

Documentario
recensione di Claudia

Documentario sulla vita del notissimo cantante partenopeo attraverso immagine inedite, interviste, concerti, Napoli e Roma.

Può essere piaciuto o no, Pino Daniele, ma a nessun altro sarebbe riuscito di aver avuto il suo successo proponendo un genere praticamente inesistente e mai più esistito, e, probabilmente sulla carta, anche risibile: il blues napoletano.

Da questo punto parte Pino Daniele - il tempo resterà di Giorgio Verdelli, il cui titolo vuole sottolineare la dipartita dell'artista (due anni il 4 gennaio). L'uscita al cinema è prevista nel giorno del suo compleanno - ne avrebbe fatti 62, il 19 marzo, se non stroncato da un infarto.

Non solo Daniele nelle immagini inedite se non rarissime (concerto dell'81 in piazza del plebiscito, vera consacrazione), ma anche contributi di Clapton e Metheny e dei collaboratori storici (Senese, Esposito, De piscopo, cambiatissimi ma sempre loro), perchè il blues è gruppo, e il nero a metà era tanto, troppo blues: “non sono un intrattenitore, sono un musicista” dice, ripete, in ogni suo gesto,oltre che in una delle frase più iconiche.

Il carattere di Pino Daniele spesso faceva intuire questo leit motiv: stava per non fare il live 8 di Bob Geldof , non si scagliò mai apertamente contro il male di Napoli perchè secondo lui figlio in gran parte di maldicenze ad hoc (ma neanche ci visse molto, trasferitosi in pianta stabile a Roma da anni).

E napoletani e romani erano i suoi due dei suoi più grandi amici-star: Troisi, per cui firmò l'iconica Quando (1993) incredibilmente scritta per uno dei film minori -molto minori- del regista-attore napoletano, cioè “Pensavo fosse amore invece era un calesse” - e Ramazzotti: con lui tour storico, insieme a Jovanotti, nel 94, ovviamente ripreso grandamente nel documentario -e forse non con grande fantasia- d'altronde però andava la pena sottolinearlo e bene: amicizia o no, nulla all'epoca leggittimizzava una carriera mainstream ad un livello artistico superiore più che una collaborazione con Daniele.

Un po' ridondanti e noiose le riprese in bus, e un po' difficile come soggetto a cui dedicare un documentario il Daniele, dato che la sua poetica “orsa” è molto racchiusa nel: fatemi fare il mio senza chiedermi altro. Però è interessante vedere come il livello di quella che è definita -e autodefinita- da sempre “musica leggera”, avesse toccato in quegli anni (80-90) un'apice così bizarro grazie all'artista partenopeo: Jam session che vendono milioni di dischi e motivetti jazz che diventano ritornelli orecchiabili sembrano una favola mai esistita eppure sono là e per fortuna qualcuno l'ha documentato.

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