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7/10

E' Stato il Figlio regia di Daniele Ciprì

Commedia
recensione di Marta Satta & Pasquale D'Aiello

La famiglia Ciraulo trascorre la propria umile esistenza in serenità. Una pallottola volante e una lauta ricompensa stravolgeranno la loro vita. Un vero e proprio dramma a cui Ciprì dona un sapore tragicomico.

Marta Satta:

E' stato il figlio. Daniele Ciprì, dopo aver lavorato per tanti anni in coppia con Franco Maresco, realizza il suo primo lungometraggio da solo, E' stato il figlio, tratto dall'omonimo romanzo di Roberto Alajmo del 2005. Il film, prima opera italiana presentata in concorso alla 69° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, racconta la vicende di una famiglia siciliana che vive alla periferia di Palermo. Nicola Ciraulo (Toni Servillo) è un padre che si dà da fare per garantire alla propria famiglia un esistenza serena. La situazione precipita quando la piccola di casa Ciraulo, Serenella, viene colpita da un proiettile vagante. La famiglia può almeno sperare di migliorare la propria condizione di vita con un risarcimento dato dallo Stato alle vittime della mafia, ma i soldi, si sa, non fanno la felicità e le cose non vanno per il verso giusto.

Ciprì realizza un film caratterizzato da personaggi per molti aspetti surreali e la classica famiglia all'italiana è dipinta in maniera caricaturale, in linea con lavori precedenti del regista. Uno dei protagonisti, Busu, è infatti ripreso da uno dei personaggi di Cinico TV - una serie di sketch andati in onda su Rai 3 e realizzati dal regista con Maresco. Lo stile estroso di Ciprì è capace di trasformare un dramma, una vera e propria tragedia, e di darle un senso di leggerezza che sfiora quasi la commedia. Il degrado della periferia è rappresentato in modo esasperato, tanto da renderlo comico.

Nonostante il tema, tutto nostrano, Ciprì riesce ad allontanarsi in maniera netta dallo stile italiano contemporaneo, attraverso una tecnica non convenzionale, caratterizzata da scelte estetiche inusuali, come possiamo notare nella scena che rappresenta la famiglia al mare e nella inaspettata sequenza finale. Le inquadrature, in modo particolare, son realizzate in modo da mettere in risalto i personaggi e le loro espressioni esagerate. Toni Servillo in primis, eccellente nel suo ruolo di uomo per cui il benessere materiale è tutto. In generale la recitazione è molto buona da parte di tutti i personaggi principali. Per concludere, Ciprì dirige un'opera prima che non delude: una valido inizio per una brillante carriera?

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Pasquale D'Aiello:

Con questo film Daniele Ciprì prova a realizzare una doppia trasposizione che partendo dall'omonimo romanzo di Roberto Alajmo trasferisca la drammaturgia da romanzo giallo in un racconto per immagini ispirate da una vena surrealista che è tipicamente nelle sue corde. Operazione decisamente complessa e rischiosa che Ciprì conduce con onestà ed eleganza, costruendo un racconto originale, venato di contenuti che emergono dalla narrazione senza forzature. A parlare sono le vite dei personaggi, derelitti con le facce scolpite dalla miseria, che piega il corpo e piaga la mente. A dare i colori della disperazione, presagio della rovina, c'è la fotografia sofferta, curata dallo stesso Ciprì insieme a Mimmo Caiuli. I cieli oscurati da nubi nere incombono sui miseri paesaggi offerti dal quartiere della Kalsa di Palermo. Enormi palazzi grigi di periferia, sgretolati dalla fotografia sgranata, cambiano di senso e da miserie della città si tramutano in miserie dell'uomo. Toni Servillo dà corpo, con una delle sue solite strabilianti operazioni di costruzione del personaggio, alla figura di Nicola Ciraulo, un povero cristo che si consuma in miseri lavori per portare avanti la sua famiglia, composta dai genitori, la moglie e due figli. Il più grande dei quali è un ragazzo irresoluto che non riesce a prendere le responsabilità che dovrebbe assumere un ragazzo della sua età nella condizione economica in cui versa la sua famiglia. La morte della figlia più piccola di Nicola è una tragedia umana che riesce, tuttavia, a portare in casa una notevole somma dovuta al risarcimento. Ma questi soldi che potrebbero essere uno strumento di salvezza, al pari della “Provvidenza” verghiana, dimostreranno solo che non c'è possibilità di redenzione per chi è condannato dalla sua origine. A raccontarci la storia sarà proprio il figlio di Nicola, impersonato da Alfredo Castro, attore feticcio del regista cileno Pablo Larrain, dai cui film sembra trasportare l'enorme carico di amarezza che li pervade. Il tragico finale, in cui saranno gli stessi protagonisti a costruire la croce sui cui si immoleranno, diventa la cruda testimonianza di un mondo di ultimi a cui la vita e la speranza restano ancora precluse.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 3 voti.
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alexmn 9/10
FreakM 6/10

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