Diaz regia di Daniele Vicari
DrammaticoDa giovedì 19 luglio a domenica 22 luglio 2001 a Genova si svolge il G8. Rimarra una delle pagine più oscure della nostra storia definita da Amnesty International come "La più grande sospensione della democrazia in Occidente dopo la Seconda Guerra mondiale".
Pasquale D'Aiello (voto 7):
In un paese le cui istituzioni hanno deciso di dimenticare e coprire le responsabilità del massacro della scuola Diaz e gli abusi della caserma Bolzaneto, che Amnesty International ha definito la più grave sospensione dei diritti avvenuta dopo la fine della seconda guerra mondiale, è utile la presenza di produttori non omologati come Procacci e di registi come Vicari che sentano la necessità di tenere viva la memoria degli eventi e continuare a chiedere giustizia, realizzando un film di grande impatto emotivo.
Fatta questa premessa indispensabile tuttavia, è necessario affermare che il compito più alto del cinema non si può limitare a ricordare ed a chiedere giustizia, la sua istanza più forte resta la spiegazione dei fenomeni e la loro interpretazione. E questo film non lo fa e si limita ad esporre fatti noti ed accertati anche da sentenze giudiziarie. Ovvero che trecento uomini delle forze dell'ordine hanno massacrato inermi cittadini italiani e stranieri all'interno della Diaz ed altri ancora hanno continuato a infierire su di loro con torture all'interno della caserma Bolzaneto.
Ma limitarsi a mostrare questo è assolutamente insufficiente soprattutto se si avvalora la tesi che ciò possa essere accaduto a causa di intemperanze degli uomini delle forze dell'ordine esasperati dagli scontri dei giorni precedenti. La gestione maldestra dell'ordine pubblico a Genova, le violenze della Diaz, le torture della Bolzaneto, le simulazioni delle aggressioni ai danni dei poliziotti, la costruzione di prove false a carico dei manifestanti della Diaz sarebbero fatti slegati tra loro e frutto di iniziative personali? No, questa versione dei fatti è totalmente incredibile e rischia di portare lontano dalla verità. Gli eventi di Genova 2001 non sembrano avere nulla di casuale. La tesi dell'impazzimento collettivo dei poliziotti non regge. Il film non fa cenno al fatto che l'allora vice primo ministro, già leader del partito post-fascista MSI, l'on. Gianfranco Fini, partecipò in prima persona alla cabina di regia costituita per gestire l'ordine pubblico così come omette di far vedere che l'allora ministro della giustizia, esponente della Lega, l'on. Roberto Castelli, visitò la caserma Bolzaneto durante le torture, non rilevando nessuna violazione della legalità.
L'analisi di Genova 2001 può essere condotta oltre che su elementi fattuali anche attraverso considerazioni di carattere squisitamente politico. Nel 2001, dopo anni di smarrimento dovuto alla caduta del muro di Berlino, le forze dei movimenti di contestazione avevano raggiunto un livello di critica e di crescita notevole. Nel mese di Gennaio di quell'anno s'era svolto il Social Forum di Porto Alegre che aveva sancito l'esistenza di un fortissimo movimento di contestazione globale che si contrapponeva ad un capitalismo in profonda crisi. Dopo i fatti di Genova è iniziata una fase di decrescita dei movimenti di contestazione e più in generale di tutta la sinistra radicale, quantomeno in Italia ma anche su scala più vasta. E questa crisi sembra iniziata proprio dopo la sconfitta inflitta dallo stato italiano al movimento anti-globalizzazione.
È più ragionevole credere che questa sconfitta si sia prodotta per una pura casualità oppure a seguito di una precisa strategia? Il film ci indica la prima strada ma è più che lecito dubitarne. Resta la speranza che questo film possa, comunque, contribuire a far luce su quanto accaduto, ad esempio mediante l' istituzione di una commissione d'inchiesta su quei fatti, che finora è stata sempre negata dal Parlamento italiano. In attesa che l'Italia torni un paese normale e smetta di essere l'incubatrice di sperimentazioni reazionarie, si consiglia la visione del film per respirare l'odore della violenza e il sapore dell'ingiustizia che uno stato di polizia porta con sé. Poi ognuno decida da che parte stare.
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Alessio Colangelo (voto 8):
“Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso.” La banalità del male (H.Arendt)
Una bottiglia in frantumi si ricostruisce in slow-reverse motion volando attraverso l’aria fino alla mano di chi l’ha gettata. Questo è l’inizio del film, ma è anche una scena che ci verrà riproposta più volte per sancire il cambiamento di punto di vista sulla vicenda. Daniele Vicari usa, già dalle prime scene, tutta una gamma di stratagemmi estetici post-moderni cari a registi del calibro di Gus Van Sant (Elephant): dalla pluralizzazione dei punti di vista alle contre-plongée ad effetto sui campetti invasi dalle auto della polizia fino alle panoramiche aeree delle colonne di camionette in fila per le strade genovesi.
Diaz è un film che fa un sapiente uso della videocamera ibridando scene pulite ad immagini sporche e sghembe girate con macchina a mano. Attori e comparse si muovono molto bene sul set creando una “coreografia delle masse” di sicuro effetto. La violenza mostrata è spesso forte e gratuita, ma mai retorica né tanto meno estetizzata. I dialoghi sono anch’essi ripetuti più volte a seconda del soggetto che è in primo piano nella scena. Il capo delle operazioni ad un certo punto dà l’ordine: “ VII, riponete il tonfa e uscite subito dall’ edificio!” è il segnale che contraddistingue la ritirata (vittoriosa) e la fine della barbarie, ma così non sarà, poiché dopo il secondo atto alla Diaz sarà il turno del terzo atto alla caserma di Bolzaneto dove altre inaudite violenze sconvolgeranno lo spettatore.
Il film sicuramente fa, a mio parere, della giustissima pessima pubblicità al nostro paese soprattutto rimarcando la presenza di numerosi stranieri venuti per protestare contro il G8. Non a caso il film non è apparso in nessun festival italiano strappando un premio del pubblico alla Berlinale dove era presentato nella sezione Panorama. Belle le musiche affidate a Teho Teardo, già collaudato nei film di Sorrentino, che inserisce anche la musica balcan-pop di Goran Bregovich.
Degna di nota è anche la scena finale con una panoramica aerea della colonna delle camionette che vanno verso il carcere di Voghera trasportando gli stranieri verso l’espulsione . Con ciò si pone fine alla narrazione di una vicenda parallela ai fatti, ma sempre presente, quella della “globalizzazione”, fenomeno che ha le sue radici cariche di guerre e violenza molto lontane nel tempo.
Quello che piace di questo film, al di là della vicenda narrata, è proprio lo stile sicuramente originale e coraggioso di Daniele Vicari che affronta un tema difficile restando neutrale: perché è solo attraverso i fatti che lo spettatore potrà poi individualmente crearsi il suo giudizio. Il suo punto di vista è infatti quello della macchina da presa, a volte fredda e distaccata, a volte interessata e partecipe, ma comunque sempre nascosta da qualche parte da questo lato dello schermo.
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