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8/10

Piazzati regia di Giorgio Diritti

Documentario
recensione di Alessio Colangelo

Affittare i bambini ad altre famiglie era prima di tutto una questione di sopravvivenza, una sofferta decisione, peraltro molto diffusa in tutto l'arco alpino...

Questo documentario è stato girato da Giorgio Diritti nel 2009 in alcune valli occitane (Val Pellice, Valli d’Angrogna e Luserna) la stessa zona montana dove era stato girato Il vento fa il suo giro e racconta di un fenomeno particolare, molto frequente nella prima metà del Novecento, nelle vallate al confine con la Francia, e cioè quello dei “piazzàti” o “mainàas fitàs”, appunto, in occitano, “ragazzi affittati”: figli di poverissimi contadini che venivano affittati dalle loro famiglie per andare a lavorare da quelle più benestanti, proprietarie di terre e possedimenti, che potevano offrire un tetto e un pasto a questi bambini in cambio dello svolgimento delle mansioni domestiche (le femmine) e dell’aiuto nel lavoro dei campi, nella custodia delle greggi e nella raccolta della legna ( i maschi). Gli scambi avvenivano in una fiera chiamata de l’Ubaye dal nome dell’omonima valle francese nel mese di maggio. Il film alterna le interviste fatte agli stessi bambini di allora, ormai diventati anziani, con scene interpretate da piccoli attori che rievocano la dura vita dei loro antichi coetanei. L’esperienza di quei bambini, allontanati dalle loro famiglie, si rivelava spesso difficile, dovevano cavarsela da soli, ma imparavano ad avere fiducia in loro stessi poiché spesso venivano caricati di grosse responsabilità. Diritti non critica il fenomeno, ma lo analizza, con la consueta meticolosità e umanità, come una condizione dettata dalle necessità di quel preciso momento storico. Racconta dunque un episodio dimenticato, una storia minore che ha profondamente segnato la vita di queste persone semplici:

"Il documentario è stato realizzato ponendo una particolare attenzione ai tempi naturali delle parole dei protagonisti. Questi, prevalentemente anziani, sono stati raccontati usando la cinepresa in modo cinematografico. L’approccio storico d’indagine sul fenomeno è la chiave per entrare in una lettura più profonda, umana, sociologica. Vengono evidenziati il rapporto con le “radici”, gli stati d’animo dell’infanzia, e come questi diventino nel tempo le basi del nostro esistere, il riferimento conscio o inconscio del nostro agire. Il percorso porta a evidenziare quanto la mancanza di sentimenti e affetti, di riferimenti certi nell’infanzia, possa generare la nostra dimensione affettiva di adulti, creare la ricerca di una compensazione, di un riscatto o l’adeguamento alla rinuncia dell’affettività."

Il paesaggio, sembra suggerirci il film, ha profondamente influito e continua ad influire sull’uomo che ne è parte integrante. La fotografia, sempre curata nei particolari, si sofferma spesso sui dettagli paesaggistici inscrivendo però al suo interno la figura umana che è la vera protagonista di quei luoghi.

Nelle immagini finali sono presentate alcune fotografie tratte dell’Archivio storico della montagna che mostrano i bambini dell’epoca e i loro sguardi, diretti a noi, ci chiamano in causa: vogliono non essere dimenticati.

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