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9/10

Orecchie regia di Alessandro Aronadio

Comico
recensione di Leda Mariani

Un uomo si sveglia una mattina con un fastidioso fischio alle orecchie. Un biglietto sul frigo recita: “È morto il tuo amico Luigi. P.s.: mi sono presa la macchina”. Il vero problema è che lui non si ricorda proprio chi sia, questo Luigi. Tra suore invadenti e dottori sadici, star dell’hip hop filippine e fidanzate dentiste, inizia così una tragicomica giornata alla scoperta della follia del mondo: uno di quei momenti che ti cambiano per sempre.

Orecchie è un “on the road” a piedi lungo un giorno, ed una tragicomica via crucis attraverso una Roma in bianco e nero; è la storia di un uomo senza nome che, attraverso svariati incontri, raccoglie pezzi di un puzzle che alla fine compongono l’immagine di sé stesso. È una commedia sul senso di smarrimento, di scollamento dalla realtà che ci circonda. Un mondo che spesso appare folle, incomprensibile e minaccioso. Sul timore e il desiderio dell’anonimato che combattono continuamente in ognuno di noi. Su quel fischio alle orecchie che proviamo ogni giorno ad ignorare, nascondendolo sotto la vita, come polvere sotto al tappeto.

L’allegoria perfetta dell’alterità e dell’alienità.

Orecchie è davvero un film intelligente. Interessante e divertente, trascina dall’inizio alla fine nella folle giornata di un Lui non meglio definito, filosofo restio ad integrarsi realmente in una società che osserva dall’esterno come se fosse un alieno piombato all’improvviso sulla terra (con le sue simpatiche orecchie da Fast food). Un film letteralmente intriso di filosofia e di psicologia, ma in maniera divertente, originale e surreale. Il protagonista borderline incarna una sceneggiatura tra il profondo e l’assurdo che ricorda quelle dei film di Wes Anderson, ma che porta avanti riflessioni feroci tanto quanto quelle di pellicole come invece Canicola, di Ulrich Seidl.

Il plot del film ruota attorno alla parola: ai suoi significati, al suo suono, alla sua portata filosofica e morale, costruendo i tasselli di una storia che si basa su una comicità incentrata più sui dialoghi, che sulle situazioni, con il gusto “quasi ebraico”dello sfruttamento di un evento infinitamente piccolo, come lo svegliarsi una mattina con un fischio alle orecchie, per riuscire in realtà a toccare con leggerezza temi infinitamente grandi. Orecchie è dunque una commedia strana, obliqua, e soprattutto inusuale, per il panorama italiano.

Molto interessante ed azzeccata la scelta del bianco e nero, alla Coffee and Cigarettes (2003), che spinge l’attenzione dello spettatore tutta sul personaggio, inseguendo un mood che diventa assolutamente teatrale. Roma è irriconoscibile: perde la sua fisicità architettonica e si incarna nelle persone che Lui incrocia durante la sua giornata. Ne emerge un film brillante e pulito, che osa, riuscendo a calamitarci sulla dimensione esistenziale del personaggio, così come sulla nostra. Anche la scelta fotografica di partire con due grosse bande nere verticali, che chiudono l’orizzontalità dell’immagine verso il centro, è particolarmente efficace: mettendo in atto un vero e proprio soffocamento visivo della nostra visione, il DoP Francesco di Giacomo metaforizza la chiusura mentale del personaggio che man mano, impercettibilmente, si apre a livello orizzontale per  tornare alla ratio 16:9. Lui prende coscienza di sé e del mondo, non commette l’errore del suo mentore, che invece nell’amplificarsi del suo disadattamento arriva a trascorrere le proprie giornate in balia degli sparatutto, letteralmente rapito dal mondo alternativo del videogioco. Contemporaneamente, la sua visione delle cose si allarga ed amplifica. Significativa a questo proposito è la frase dell’esilarante capo redattrice dell’importante rivista che potrebbe assumere Lui, per affidargli una folle rubrica su costumi contemporanei e filosofia classica, che chiede proprio al personaggio: <<Non mi dire che sei uno di quelli!?>>. Lui risponde: <<In che senso?>>. E lei:<< Di quelli che vivono fuori dal loro tempo!>>. Ed è questa, forse la sintesi perfetta della dimensione esistenziale di partenza di Lui. Alessandro Aronadio ha raccontato che sapeva che Orecchie, per come se lo era immaginato, non sarebbe mai potuto essere una commedia realizzabile attraverso le canoniche vie produttive. Soprattutto per il tipo di messa in scena, fatta di inquadrature lunghe, di tempi e silenzi interni prolungati. Voleva il bianco e nero perché <<è spietato>>, come la vita, come quella comicità che è la cifra stilistica di questo film. Il b/n aggiunge più verità ad una storia che di per sé può essere letta anche come allegorica, mentre resta comunque profondamente radicata nella realtà.

Il fischio alle orecchie che tortura Lui, magnificamente interpretato da Daniele Parisi, al suo esordio cinematografico, dall’inizio alla fine del film e concettualmente all’infinito, è il rumore disturbante di cose che non si possono più sentire, come appunto il tentativo farlocco di applicare la filosofia, alla visione di estive “chiappe sode”. Lui arriva a comprendere che la felicità la si incontra forse solo nel rendere felici gli altri: esce da sé stesso, da una visione egocentrica dell’esistenza, per andare finalmente incontro al mistero di ciò che non comprende, ai bisogni dei suoi (anche folli) cari e, seppure in maniera assurda, esilarante e un bel po’ cinica, sostanzialmente compie il suo processo di integrazione nella società, uscendo dalla sua alienità.

Geniale la scena del funerale, praticamente rivolto a sé stesso, così come le visite del protagonista al suo ex studente adolescente, diventato miliardario a suon di Rap, e ben lieto del suo essere un outsider. Il funerale è il momento simbolico dell’uscita di Lui da sé e del suo cosciente saluto a ciò che era, in vista di quel che diventerà.

Un film insomma altamente simbolico e divertente, che dice cose intelligenti e lo fa con grazia luminosa. Molto bella la colonna sonora di Santi Pulvirenti e bravissimi gli attori, dal primo all’ultimo, in un equilibrio perfetto tra ritmo, ed una tragi-comicità perfettamente scandita, ed efficacie. Fantastici Rocco Papaleo nel ruolo del prete Giancarlo, Pamela Villoresi in quello della madre totalmente non convenzionale, di Ivan Franek nel ruolo dell’artista Nikolaj, che ha compreso a fondo la follia umana, ma perfetti anche Milena Vukotic nella parte della Signora Marinetti, la moglie del filosofo giocatore, e di Piera degli Esposti, che interpreta la divertentissima direttrice del giornale. Attori tutti bravissimi per personaggi incredibili, come anche l’otorino, il gastroenterologo, impiegati, commessi, la vicina di casa che si sente sola, Suor Incatenata e Suor Gerarda.

Un gioiellino: da vedere e rivedere in continuazione, soprattutto quando non si sa più “che pesci prendere”.

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