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R Recensione

5/10

Il Principe Abusivo regia di Alessandro Siani

Commedia Italiana
recensione di Antonio Falcone

In un imprecisato Principato, la principessa Letizia (Sara Felberbaum) affida le sue ambasce al Ciambellano di corte, Anastasio (Christian De Sica), e al padre (Marco Messeri), attuale regnante. Se mamma e nonna, infatti, erano alla ribalta dei rotocalchi e benvolute dai sudditi, anche per le loro attività benefiche, il suo prodigarsi umanitario non gode invece del giusto risalto. Il rimedio proposto dal babbo è un matrimonio d’interesse con un pari grado, ma il funzionario ha in mente ben altro, arruolare un povero disgraziato, fingere un innamoramento sino ad arrivare all’altare e poi scaricarlo. Ecco pronto alla bisogna tale Antonio De Biase (Alessandro Siani), che in quel di Napoli vive a scrocco e con un lavoro part time (fa da cavia per varie industrie farmaceutiche), il quale creerà non pochi scompigli a corte, complice una colorita compagnia al seguito, la cugina Jessica (Serena Autieri) e gli amici Pino (Lello Musella) e Ivan (Nello Iorio).

 

Sinceramente sono rimasto sorpreso della rapidità con la quale Alessandro Siani, a mio avviso un attore ancora incapace d’esprimere una precisa identità da un punto di vista strettamente cinematografico, abbia avvertito l’”urgenza” di passare alla regia con Il principe abusivo, film del quale firma anche soggetto e sceneggiatura insieme a Fabio Bonifacci. Probabile, per non dire certo, al di là delle buone intenzioni espresse a piè sospinto (“l’esigenza d’ affrontare il divario tra ricchezza e povertà”), che vi abbiano premuto le solite logiche commerciali, cavalcare l’onda della notorietà ottenuta con Benvenuti al Sud, 2010, e con il suo sequel, Benvenuti al Nord, 2012, entrambi di Luca Miniero, dopo i trascorsi televisivi e teatrali (l’esordio sul grande schermo è del 2005, Ti lascio perché ti amo troppo, Francesco Ranieri Martinotti).

 Evidente l’ intenzione di mettere in scena una moderna fiaba, giocando, nei rimandi a produzioni hollywoodiane e non, nel visualizzare il classico capovolgimento dei ruoli: l’ umile paria che diviene damerino altolocato, con il consueto corollario di faticosa educazione al galateo, mantenendo intatto l’ originario afflato naif , e la trasformazione di quanti si trovano coinvolti nella danza delle apparenze, dal ciambellano alla principessa, costretti, come il protagonista, a scendere a patti con il mondo reale in nome dell’amore. Purtroppo, però, dopo l’incipit e man mano che la narrazione va avanti, il film mostra tutti i suoi limiti, messo alle corde dalla sua stessa ingenuità narrativa, tra battute fiacche, i soliti, prevedibili, giochi di parole, logorrea incongrua e gestualità monocorde, esprimendo una vacua teatralità delle varie situazioni, trasformandosi ben presto in una farsa che evidenzia, senza pudore alcuno, tutta la sua inconcludenza cinematografica.

 Manca totalmente un’ adeguata concretezza, stilistica e di contenuti, tutto scorre sullo schermo senza colpo ferire, soddisfacendo come unica espressione dimensionale riempire il vuoto che si viene a creare, vedi l’inutile scena musical di Autieri e De Sica sulle note di Raindrops keep falling on my head o la parte finale che si dilunga, inutilmente, sino all’inevitabile happy ending, con il solo merito di mostrarci una Napoli fotografata al di là dei soliti stereotipi. Ma il limite effettivo de Il principe abusivo è , almeno a mio parere, proprio Siani, che solo a tratti riesce a mitigare un certo egocentrismo, affidandosi ad un De Sica valida spalla, capace di una buona caratterizzazione (per quanto debitrice, tra l’altro, di un episodio del recente Colpi di fulmine con Lillo & Greg). Il resto del cast cincischia e attraversa il set pensando ai fatti propri, da Messeri sovrano incline al bene effimero della bellezza, per così dire, più che a ai doveri di corte, alla Felberbaum che, diligentemente, sgrana gli occhi, sorride e proferisce flautate amenità.

 Tornando a Siani, basta con l’imitazione di Troisi! È lo stesso errore in cui è incorso negli anni Vincenzo Salemme, sia come regista che come attore, nel tentativo di riportare in auge la comicità partenopea, affidandosi alla riproposizione dei toni intimistici e malinconici propri del compianto Massimo, dimenticandosi però una caratteristica essenziale del suo modo di proporsi sulla scena e di “essere comico”. Con eleganza di stile e fine umorismo il buon Troisi riusciva infatti, sia a riallacciarsi alla tradizione del teatro partenopeo, in particolare alle opere di Eduardo De Filippo, nel  rappresentare con ironia tematiche complesse, sia e nell’estenderle oltre l’idea di napoletanità, al di fuori di ogni retorica o luogo comune, tra autobiografia, introspezione e minimalismo. Metteva in scena se stesso, un viaggio introspettivo  all’interno dell’animo umano, svelando l’insicurezza della propria generazione, che, tra timori e dubbi, appariva soffocata o comunque spaventata dai suoi stessi sogni.

Ecco quel che manca a Siani, una personalità, attoriale innanzitutto, come scritto ad inizio articolo, che riesca ad evolversi, a caratterizzarsi, una volta per tutte, come effettiva portatrice di un umorismo nuovo, capace di calarsi, non solo figurativamente, nel reale della propria città ed evidenziarne tutte le contraddizioni, giocando su quanto riesca a proporre come esternazione del suo essere e non più pallidi clichés. Cito, in conclusione, ancora una volta, il grande Eduardo: ricordiamoci, caro Alessandro, in primo luogo che gli esami non finiscono mai  e poi, riguardo gli auspicati stilemi di una rinnovata comicità partenopea, beh … Ha da passa' 'a nuttata.

 

 

 

V Voti

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ArmaX 8/10

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