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6/10

Operation Chromite regia di John H. Lee

Azione
recensione di Leda Mariani

La missione segreta che cambiò le sorti della guerra: la storia vera degli eroi che liberarono la Corea del Sud

25 giugno 1950, la Corea del Nord invade la Corea del Sud con l’aiuto di Cina e Russia. Seul, capitale della Corea del Sud, cade in 3 giorni e il resto del paese a nord del fiume Nakdong, in un mese. Per rispondere all’attacco nordcoreano il Generale MacArthur, Comandante delle forze ONU, pianifica uno sbarco nella città portuale di Incheon. L’operazione, con il nome in codice di “Operation Chromite”, ha pochissime probabilità di successo, ma assicurarsi Incheon è l’unico modo per cambiare le sorti della guerra.

Sotto la guida di MacArthur, l’unità segreta speciale “X-RAY” riesce ad infiltrarsi nella città di Incheon, occupata dai nordcoreani, per preparare lo sbarco delle forze ONU. Sette soldati, assieme al capitano Jang Hak-soo si fingono nordcoreani e cominciano a raccogliere informazioni importanti, ma quando la loro copertura salta, rimane solo un’ultima possibilità per condurre le forze delle Nazioni Unite ad Incheon.

 

PARTI DI STORIA VERA

Una volta stabilito di procedere con l’Operation Chromite del Generale MacArthur, il Comando ONU a Tokio decise di spedire un’ulteriore unità segreta per investigare le misure difensive dei nordcoreani nella città di Incheon, ma a causa delle barriere linguistiche e della mancanza di familiarità con la regione, furono costretti a cedere questa delicata missione al comandante della marina sudcoreana SON Won-li. Il 17 agosto 1950, l’unità X-RAY partì dal porto di Busan e attraccò sull’Isola di Yeongheung, integrandosi successivamente con l’esercito nordcoreano. Mentre preparavano il loro ritiro, l’unità segreta scoprì che un battaglione dell’esercito nordcoreano si stava infiltrando nell’isola di Yeongheung. Una piccola unità condotta da Lim Byung-rae formata da 9 soldati di marina e 30 sostenitori, rimase sull’isola e lottò contro il battaglione nordcoreano. Sei uomini furono circondati e catturati dall’esercito nordcoreano. Lim e Hong riuscirono a fuggire ed aiutarono ad evacuare i loro uomini, ma i due furono presto circondati dai loro nemici. Sapendo che la loro cattura, avvenuta 24 ore prima dell’ingente sbarco, avrebbe potuto condurre al fallimento dell’intera operazione, decisero di suicidarsi. Per il loro ultimo sacrificio ricevettero, in riconoscimento postumo, la medaglia Silver Star da parte degli Stati Uniti il 5 luglio 1950 e la Croce al valore Militare dalla Corea del Sud il 4 gennaio 1954.

 

Un film dalla storia indubbiamente importante e interessante, ma alla fine molto, troppo americano (e scritto male)

Operation Chromite focalizza l’attenzione su un aspetto della Guerra di Corea poco conosciuto e dunque più che configurarsi come film di guerra tradizionale, diventa una pellicola sull’operazione segreta che diede il via all’invasione. La produzione ha creato set esterni che ricordassero la Incheon degli anni ’50, non accontentandosi della scenografia anonima di una città distrutta dalla guerra: dai manifesti di propaganda appesi nelle strade, ai mercatini, fino agli edifici riconvertiti in istallazioni militari, la città è stata ricostruita fin nei minimi dettagli. Inoltre gli attori si sono dovuti sottoporre ad un estenuante addestramento militare per imparare a manipolare correttamente vari tipi di arma da fuoco, e a ripetere alcune delle azioni già girate dai loro stuntmen, riportando ferite lievi, ma aggiungendo un importante livello di realismo al film.

Le scene d’azione sono coinvolgenti: la pellicola ha il ritmo e l’estetica che ci aspetteremmo da ogni buon film di guerra Usa, ma con qualcosa in più a livello drammaturgico e soprattutto d’immagine.

Bella la  fotografia di Park Jang-hyuck, molto sofisticata e leggermente de-saturata, così come coinvolgenti i movimenti di macchina e la coreografia delle scene di combattimento, ma nulla riesce a compensare le gravi pecche della sceneggiatura e la tristezza dei dialoghi, molto più poveri di ciò che avrebbero potuto essere. Le frasi messe in bocca ai personaggi e soprattutto al povero Generale MacArthur sono a tratti davvero imbarazzanti e ridicole. Ne emergono spunti concettuali interessanti, come la riflessione sul concetto di ideologia, su quello di fratellanza, di affinità e parentela, ma le idee interpretate da Neeson, che riesce comunque miracolosamente a rendere accettabile il personaggio del Generale (e solo perché è bravo), e soprattutto il modo in cui vengono espresse le riflessioni di base della storia, in generale sono terribili. Avendo una fisicità simile a quella del vero Generale MacArthur, Liam Neeson, per risultare credibile, ne ha studiato le caratteristiche, i discorsi, le camminate e perfino la sua abitudine di mettere le mani nelle tasche posteriori. Come comandante che deve condurre migliaia di uomini in battaglia, il naturale carisma e la solennità di Neeson hanno aumentato lo spessore del personaggio, che tuttavia non riesce completamente, sempre per colpa della sceneggiatura. <<Il generale Douglas MacArthur>>, ha raccontato Neeson, <<…era un incredibile soldato e un leader nato. Amava i coreani e combatté per la loro libertà. Sono stato completamente stregato dal suo personaggio…>>.

Molto efficace anche l’interpretazione di Lee Jung-jae, che per prepararsi al film ha molto affinato il suo dialetto nordcoreano, il russo, e che ha riportato ferite ai polsi e alle dita sul set, durante le riprese di alcune scene d’azione.

La colonna sonora di LEE Dong-june è interessante e raffinata, ma l’insieme del film è purtroppo reso instabile da una tendenza Pop (e molto orientale) ad enfatizzare, anche senza alcun motivo, qualunque accento drammatico, che si fonde a quella tutta americana all’eccesso, creando un mix terribile e a tratti demenziale (e la vicenda è troppo seria per essere trattata in questa maniera). Terribile il personaggio femminile interpretato da Jin Se-Yeon, che sembra più sbroccato che altro.

Peccato, davvero, perché gli ingredienti c’erano tutti: una storia vera e di cruciale importanza, purtroppo ancora molto legata all’attualità, l’omaggio ai caduti della missione, un cast d’eccezione, bravi tecnici e tanti soldi per l’immagine e gli effetti speciali. E va bene che tanti film di guerra assolutamente godibili e diventati ormai storici, sono spesso un po’ demenziali, o rispondono alle logiche del loro genere, piuttosto che a quelle dei giochi da tavola, ma questo film a me sembra davvero un po’ troppo da accettare, nel senso della credibilità… riuscirebbe meglio in versione muta, ed è un po’ offensivo nei confronti di chi in quella missione, la vita l’ha persa davvero.

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