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8/10

Han Gong-ju regia di Lee Su-jin

Drammatico
recensione di Alfredo De Vincenzo

Han Gong-ju è la storia di una ragazza che perde tutte le sue amicizie e tenta di rifarsi una vita dopo un passato difficile. Trasferitasi in una nuova città, Gong-ju tenterà  di costruirsi una nuova vita iscrivendosi ad un corso scolastico di canto a cappella, ma il suo passato tornerà a galla suscitando scalpore tra le nuove amicizie.

Leggendo la trama di questo film, ad esser proprio onesti, non ci si capisce molto. "La storia di una ragazza che perde tutte le sue amicizie e tenta di rifarsi una vita dopo un passato difficile" può significare tante, troppe cose. Han Gong-ju in realtà è ispirato a quello che è passato alla storia come "Lo stupro di gruppo delle studentesse di Miryang", uno degli episodi di violenza sessista e misogina più drammatici del nuovo millennio. Nel 2004 una gang formata da circa 44 ragazzi rapì 5 ragazze, le tenne segregate per quasi un anno stuprandole ripetutamente e facendole stuprare ad altri giovani, portando il numero di stupratori abituali a circa 90. Incredibilmente la polizia locale, e persino l'opinione pubblica, si schierò dalla parte dei carnefici, additando le vittime come "una vergogna per la loro città Natale". I carnefici sono andati avanti con le loro vite, si sono diplomati e molti di loro oggi lavorano anche in grandi aziende, mentre le ragazze sono state costrette a fuggire e cambiare vita troppo spesso per poter cercare di dimenticare il triste accaduto. Han Gong-Ju, cognome e nome della protagonista, che si potrebbe tradurre come "Una principessa", è una pellicola dal fortissimo impatto emotivo ed estetico, perchè incastra la struttura narrativa con la denuncia sociale (corruzione, bullismo, codardia degli adulti, gang, malagiustizia, solitudine) senza diventare mai appesantirsi o diventare in qualche modo estremamente retorico. La protagonista, interpretata magnificamente da Cheon Woo-hee, è un personaggio di una complessità incredibile, capace di mostrare la propria fragilità con un sguardo perso, ricolmo di lacrime ma allo stesso tempo di speranza. Il film è un pugno nello stomaco che probabilmente in mano ad un regista meno sensibile e delicato avrebbe risentito di una certa pesantezza, crogiolandosi in una patina retorica che, per quanto importante, sarebbe diventata pietosa. Grazie al lavoro del regista Lee Sun-jin il film invece si riempie di una carica emotiva da cui non si può prescindere. Brillante la scelta di non concentrarsi su una fotografia dominante, come spesso accade nel cinema sudcoreano (si pensi a Kim Ki-Duk ed al suo Ferro 3 - La casa vuota), ma su molte riprese a spalla che sembrano vivere anch'esse dell'emozione del film: a volte tremano leggermente, altre invece non riescono a stare ferme, come se seguissero le emozioni del film e dello spettatore. Solo il finale, probabilmente in maniera volontaria, sembra essere in contrasto con il crudo realismo del film, lasciando in sospensione lo spettatore assume al mondo di Gong-ju. La pellicola riesce comunque per due ore a parlare dell'animo umano della codardia di tanti adulti, e man mano che la storia ci viene svelata non si possono più staccare gli occhi dallo schermo. Un film inaspettato per tanti versi, ma che rappresenta davvero una perla nel panorama contemporaneo.

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