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R Recensione

9/10

A casa nostra regia di Lucas Belvaux

Drammatico
recensione di Leda Mariani

Pauline, infermiera domiciliare in un distretto minerario nel Nord della Francia, cresce da sola i suoi due figli e si occupa del padre, ex metalmeccanico. Attiva, empatica e generosa, è amata dai suoi pazienti, che contano su di lei. Eppure nessuno vede che la donna, che si trova ad affrontare una realtà sociale sempre più dura, sta lentamente imboccando un percorso che nessuno della sua famiglia ha mai intrapreso prima. Un partito nazionalista in crescita, in cerca di rispettabilità, utilizzerà a proprio vantaggio la sua popolarità facendone la propria candidata alle elezioni locali e Pauline si troverà a dover fare i conti con la xenofobia dilagante, con le paure di una società invecchiata e reazionaria, che non accetta in alcun modo il mutamento, col ripiegare umano sul più bestiale e violento istinto di sopravvivenza, in barba a qualunque logica e morale, ed inseguendo un paradossale ritorno a situazioni psico-sociali pericolosamente simili a quelle del periodo che precedette in nazi-fascismo, incredibilmente rimosso dalla memoria storica di molte, troppe persone.

Il pericoloso Nazionalsocialismo di ritorno dell'Europa del presente

L’ultimo film di Lucas Belvaux è una di quelle opere di cui, almeno dal mio punto di vista, abbiamo assoluto bisogno. Un film specchio: la fotografia di quella Francia del Nord repressa e spenta, che qui diventa immagine perfetta dell’Europa intera e campione inquietante, nella sua efficacia, di quel nazional-socialismo dilagante che a livello di messaggio, pensiero, e in quanto reazione a paure sociali e crisi del modello economico, incombe pericolosamente sulla nostra società.

Come ha dichiarato il regista, quello che viene molto ben sintetizzato in questo film - una storia di fantasia ispirata al romanzo Le Bloc, di Jérôme Leroy, che ha sviluppato la sceneggiatura assieme a Belvaux - <<Sta accadendo in Francia, ogni giorno>>. La sceneggiatura riesce a rappresentare in maniera impeccabile il pericoloso crescendo di paure ed insoddisfazioni che necessitano di riversarsi su un capro espiatorio, che nell’Europa contemporanea diventa naturalmente “lo straniero”: colui che viene da fuori, che non si conosce, e che dunque si guarda con diffidenza, e che nell’ottica distorta di molti non arriva perché spinto dal bisogno di sopravvivenza, o perché non ha altra scelta, ma ipoteticamente guidato da un desiderio di invasione. Il “sostituzionismo”, come lo definisce un ragazzino razzista che usa gli odierni strumenti di comunicazione per fomentare paure ed odio: il terrore di veder morire la propria identità, o forse più che altro di cambiare, rassicurati in maniera malata dalla stasi, e da ormai obsoleti modelli economici e sociali. Perfino il violento personaggio di Stanko, in questo film ad un certo punto si rende conto della ridicolaggine del suo ruolo estremista, ispirato a modelli e valori che non esistono nemmeno più e che vengono strumentalizzati da pochi, per il proprio tornaconto. Si tratta di un fenomeno: <<È un discorso che sta diventando quasi banale>>, nella sua evidenza agli occhi di chi li sa usare. <<Parole che vengono scatenate, come una marea che si alza. Un discorso che cambia a seconda del pubblico, che si adatta ai tempi, che segue il flusso. Un discorso che mette le persone l’una contro l’altra. E la gente passa, dapprima impercettibilmente, poi più chiaramente, dalla solitudine al rancore, dal rancore alla paura, dalla paura all’odio, e da lì, alla rivoluzione nazionale>>.

Ed è proprio questa escalation psicologica, che trova origine nella disperazione più individuale, che il film racconta con disarmante linearità ed efficacia. A casa nostra, scritto in maniera intelligente e funzionale al messaggio, impostando anche una soluzione di finzione originale per il racconto di un qualcosa di quasi documentaristico, lascia addosso una sensazione di déjà-vu: porta subito alla mente discorsi, momenti, episodi che possiamo tutti ritrovare facilmente nella nostra quotidianità e che ci lasciano addosso un disarmante senso di impotenza, colti dallo stupore di dover veramente affrontare tali deliri mentali, dopo gli ultimi, agitatissimi, 150 anni di storia mondiale. <<La sensazione che si sia provato di tutto, che ogni parola, ogni tentativo di controbattere si rivolti contro la persona che lo compie. Che ogni affermazione – politica, morale o culturale – sia definitivamente scontata e illegittima>>, l’incredibilità di trovarsi a dover spiegare l’ovvio, l’intimo, l’evidenza storica.  E qui la scelta della finzione si fa particolarmente azzeccata, perché forse è l’unica risposta udibile, in quanto, come il discorso populista, si rivolge ai sentimenti, al subconscio, alla pancia. Il racconto filmico cerca di capire, di analizzare, di costruire un’idea della complessità del mondo, dell’umanità, e dell’epoca. A questo punto, immersi in una società che ha fatto del mediatico il calderone della sua indifferenza, forse solo la finzione può sollecitare nelle persone la più profonda commozione.

A Casa Nostra racconta una violenza sommessa, sotterranea, strisciante, che poi deflagra con impatto micidiale, enfatizzato dal riversarsi su figure femminili, bambini, ragazzini, che dovrebbero invece essere immagine, a livello archetipico, di empatia e dolcezza. Il film racconta la storia di persone che vivono nel mondo di oggi in un luogo specifico, in una regione frammentata dagli sconvolgimenti della storia europea per secoli - in particolare due guerre mondiali e due rivoluzioni industriali in meno di 200 anni – i quali hanno lasciato tracce profonde, impronte e cicatrici, fratture nel terreno e nelle anime, oltre che nella società. Tutti i personaggi di quest’opera, nella loro maniera più specifica, a seconda della loro età e delle loro esperienze, portano con sé una parte di questa storia. Alcuni la accettano, altri vogliono fingere che non esista, altri ancora hanno intenzione di riscriverla per adattarla a loro stessi, ma tutti sono parte di quanto ha iniziato ad essere scritto molto tempo fa. Così la Storia con la “S” maiuscola si intreccia inesorabilmente con quella privata degli individui, che procede in preda al caos, di giorno in giorno, senza che nessuno si renda conto di essere parte di qualcosa di molto più antico e profondo.

Pauline l’infermiera, Stanko l’operaio, Jacques l’ex metalmeccanico, Berthier il dottore, e Nathalie la maestra: sono tutti esseri umani in balia di contraddizioni, aspettative, speranze, qualche volta delusioni, bisogni, amore, sicurezza, e fiducia o sfiducia nel futuro. Insieme danno vita ad una comunità paradossale: alla società in cui vivono, andando a comporre un mondo che si perde continuamente tra realtà e finzione.

A Casa Nostra è un film politicamente impegnato e fa bene ad esserlo: ha il coraggio di esserlo, senza mezze misure, con tutta la forza della narrazione di fantasia. Ed ha il bello di non essere un film militante… o almeno non tanto quanto fenomenologico. Il regista ha tentato di descrivere una situazione, un partito, una formazione sciolta, e di decifrare il suo discorso, comprenderne l’impatto, l’efficacia, ed il tendenzioso potere di seduzione. Le paure, il cinismo, la brutalità della nostra Europa contemporanea vengono fuori tutte, inesorabilmente, assieme a questo senso di impotenza tipico della società passiva che siamo diventati, vittima dell’impostazione consumistica ed egoista. Un film d’una potenza espressiva micidiale, pur nella voluta piattezza di toni e colori, aiutato da un’interessante colonna sonora, che nel suono elettrico ed elettronico trova l’ideale rappresentazione dello stato di tensione sociale, al limite della frattura. Un rumore continuo, come un ronzio, qualcosa che frulla nell’aria e che sembra davvero che stia per piombarci addosso da un momento all’altro. Ecco, lo stato di terrore: lo stato di terrore perfettamente rappresentato, che porta i mariti a picchiare le mogli, i bambini ad aggredire gli adulti, gli amanti ad odiarsi, i genitori  a ripudiare i figli, che opera quel ribaltamento di bene in male, che noi umani siamo sempre così capaci di adoperare. Una rabbia contagiosa, quasi senza scampo, come nelle potenti inquadrature finali, degna corona di un film importante.

Consiglierei comunque di vederlo in lingua originale, perchè il doppiaggio lo penalizza molto, data invece l'ottima performance degli attori.

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