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7/10

Segantini, ritorno alla natura regia di Francesco Fei

Docu-fiction
recensione di Leda Mariani

Solo il 17 e 18 gennaio sarà possibile vedere, nelle sale cinematografiche incluse nel circuito Nexo Digital (elenco delle sale su www.nexodigital.it) la docufiction “Segantini, ritorno alla natura”, scritta a sei mani da Francesco Fei, Federica Masin e Roberta Bonazza, ed interpretata in buona parte da Filippo Timi. Il film ricostruisce in maniera assolutamente adeguata, precisa, ed emotivamente coinvolgente, le vicende della vita e dell’arte del pittore e pensatore Giovanni Segantini, dalla nascita in Trentino, ad Arco, nel 1858, fino alla prematura scomparsa sul monte Schalberg, a soli 41 anni.

 

Quella di Segantini è certamente la storia di un uomo che diede vita, tra la fine del 1800 e i primi del ‘900, ad una ricerca artistica fortemente simbolica e moderna, con risultati che lo resero noto a livello mondiale e che se non fosse scomparso prima del tempo, lo avrebbero portato, con il suo Trittico della Natura, all’esposizione universale del 1900. Ma sarebbe pericolosamente riduttivo vedere l’ascesa e il percorso della vita di Segantini solo da questo punto di vista. Egli infatti fu soprattutto un uomo coraggioso, esempio di estrema ed irriducibile coerenza, di vita, e spirituale. Fu un pensatore, ed un individuo contraddistinto da un’umanità empatica meravigliosa, che lo spinse a ricercare, sempre, l’essenza ed il senso dell’esistenza nell’osservazione della vita intorno a sé: attraverso la meditazione e nel profondo accostamento al mondo animale e progressivamente alla Natura più pura, ed incontaminata. Una persona che visse per amore: per l’arte, per il pianeta, per la bella Bice Bugatti, compagnia di tutto il suo tempo, per i suoi quattro figli e i suoi pochi, selezionatissimi amici, oltre che per la montagna.

Segantini fu un grande lettore, pur essendo cresciuto in totale indigenza, apolide ed inizialmente analfabeta, tra il Trentino e una Milano all’epoca estremamente povera e sovrappopolata: una mente candida, libera, ed umile, che sperimentò suo malgrado, per le vicissitudini della vita, il carcere minorile dopo essere rimasto orfano da piccolissimo, ed essere stato seguito come potevano dai fratellastri maggiori. Un’infanzia segnata da lunghi tempi morti, di riflessione e costrizione, dalla malattia della madre, dagli stenti della povertà, ma che portò la mente onesta e lucida del pittore ad un riscatto sociale inaspettato, che cominciò con la sua frequentazione dei corsi serali dell’Accademia di Belle Arti di Brera fino al 1877, ambiente in cui conobbe Carlo Bugatti e Vittore Grubicy, che furono i suoi iniziali promotori e finanziatori, oltre che tra gli amici più cari.

La vita di Segantini è molto interessante, tanto quanto e in maniera parallela alla sua opera pittorica, perché riporta un percorso di ricerca spirituale che conduce alla serenità nella totale fusione con la natura, della quale facciamo parte, dalla quale proveniamo, e che è espressione, dentro e fuori di noi, di amore; come lui stesso scrisse, <<l’essenza di tutte le cose, al di là di ogni tempo>>.

Il suo “ritorno alla natura” fu da un lato risalita nostalgica alla memoria dell’infanzia, ma dall’altro anche alla fanciullezza spirituale e mentale: ai primordi dell’umanità, al suo essere in grado di percepire i canali di comunicazione tra il mondo umano e quello naturale.

Segantini, esprimendosi in sincerità ed armonia con sé stesso, ha saputo essere un vero artista, anticipando quelle che sono state le tecniche e le tematiche simboliste e divisioniste, ed immettendo nei suoi dipinti un’impressione fotografica della realtà, data dalla sua formazione anche come fotografo ai tempi della convivenza con il fratello maggiore Napoleone, e che si esprime definitivamente nel trittico che segna la fine della sua opera e della sua vita, simile a ciò che sarebbe stato un Diorama del precinema, con una visione estesa e dinamica tipica dell’immagine in movimento che verrà più avanti, dopo la nascita del Cinema nel 1895.

La storia di Segantini è un messaggio d’amore universale: di empatia, di onestà e di coerenza, che sono molto probabilmente gli ingredienti essenziali per vivere la vita in equilibrio e serenità. Credo che anche per questo, per questa sana consapevolezza e fermezza che trasmettono le sue opere, la mostra completa e molto ben allestita di due anni fa a Palazzo Reale, abbia avuto un impatto da 200 mila visitatori, e il film riesce a renderne le vicende e lo spirito in maniera davvero impeccabile.

Bellissime le riprese dei luoghi, molte delle quali aeree, ottima la ricostruzione degli eventi e l’intreccio con le testimonianze di Gioconda Leykauf-Segantini, nipote del pittore, Annie PauleQuinsac, critica d’arte e massima esperta dell’opera segantiniana, Franco Morocco, direttore dell’Accademia di Brera, e di molti altri; peccato solo per la scelta di Timi nel ruolo di Giovanni, che ho trovato assolutamente inadeguata. La recente fama dell’attore, pur sempre molto bravo, supera purtroppo quella del pittore, creando, ogni volta che il suo volto appare, sulla lettura di brani tratti dai vari scritti di Segantini, un corto circuito mediatico per cui non vediamo più l’artista, ma sempre e solo l’attore. Una barba posticcia inguardabile contribuisce a far crollare la precisione, l’atmosfera e il realismo di tutta la parte propriamente documentaristica e davvero non si comprende la necessità di inserire la finzione, dato che in tutto il resto, e nell’espressione del pensiero di Segantini, il documentario è già di per sé chiarissimo e perfettamente funzionante.

Ad ogni modo, se ha vinto il premio del pubblico all’ultimo Biografilm Festival di Bologna, vuol dire che gli spettatori riescono forse a non farsi distrarre troppo dalla notorietà di Timi (al quale io avrei preferito, se proprio, un qualunque altroattore somigliante al pittore, ma sconosciuto ai più). O forse è il genere stesso della docufiction a funzionare o meno in maniera indiscriminata a seconda della sensibilità dello spettatore.

Perfetta invece, ed ipnotica, la colonna sonora di Alberto Turra.

Consiglio vivamente di vedere questo film: per conoscere Giovanni Battista Emanuele Maria Segantini, per la sua completezza e bellezza, anche dal punto di vista estetico, ma soprattutto per avvicinarsi ad un anarchico ed apolide modo di vivere e di pensare, che forse in parte sarebbe il caso di recuperare, in tempi in cui sembra di non poter essere effettivi fautori e partecipi della propria vita.

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