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7/10

La Casa Dei Mille Corpi regia di Rob Zombie

Horror
recensione di Simone Coacci

Texas 1977, vigilia di Halloween. Due giovani coppie, Bill, Jerry e le rispettive fidanzate Mary e Denise sono in viaggio nella sperduta provincia americana alla ricerca di storie bizzarre e miti locali da usare per un libro che stanno scrivendo sull'argomento. Durante una breve sosta fanno la conoscenza di Capitan Spaulding e del suo "Museum of Monsters and Madmen", un distributore di benzina con annesso museo degli orrori dove vengono narrate le gesta di alcuni serial killer. I ragazzi sono particolarmente interessati alla storia di Dr. Satan, uno scienziato pazzo che in passato si era cimentato in abominevoli pratiche chirurgiche con la speranza di creare una razza di superuomini. Spaulding indirizza quindi i ragazzi all’albero dove Doctor Satan è stato impiccato e durante il tragitto i quattro danno un passaggio ad un’autostoppista, Baby Firefly. Prima di giungere a destinazione, tuttavia, l’auto viene raggiunta da un colpo di fucile che mette a terra una gomma. Baby e Bill si incamminano a piedi verso la casa della ragazza dove il giovane fa la conoscenza del resto della famiglia Firefly: la madre di Baby (Karen Black), (Mother Firefly), i suoi fratelli Tiny e Rufus, Otis B. Driftwood ed il nonno Hugo. Sembra l'inizio di un'allegra serata in pittoresca compagnia ma nessuno dei ragazzi avrà modo di menzionarla nel suddetto libro o vantarsene con gli amici. Perchè non si esce vivi dalla “Casa dei Mille Corpi”.

Da film “invisibile” e “maledetto”, a film spazzatura stroncato dalla critica più suscettibile ed esigente, fino al soglio di “cult movie” e alla consacrazione del suo autore/regista nell'albo dei “masters of horror” del nuovo millennio. Strano destino quello dell'opera prima di Rob Zombie che a circa sei anni dalla sua release ufficiale ha già vissuto almeno tre vite in una. Realizzato addirittura nel 2000, rimasto bloccato per tre anni nei magazzini della Universal prima e della MGM poi, disilluse dal risultato o timorose del divieto ai minori dei 17 anni in cui il film sarebbe potuto incappare a causa dei contenuti particolarmente grotteschi e violenti, passato inosservato (o decisamente ripudiato) alla sua prima comparsa (nel 2003) ed infine rivalutato nella seconda metà del decennio anche alla luce dell'impressione positiva suscitata dalle opere successive del regista (La casa del diavolo, seguito ideale di La casa dei mille corpi, e il remake di Halloween di John Carpenter).

Un percorso tortuoso, a prima vista, ma in realtà perfettamente logico se valutato nella prospettiva di un'opera così delirante, radicale e sui generis da rappresentare un exploit difficilmente inquadrabile e in controtendenza nel cinema horror americano dell'ultimo decennio. Mentre la produzione media si concentra su una visione della paura sempre più tecnologica, artificiale, fantascientifica o sovrannaturale, in linea con l'habitat fortemente virtuale e intermediale in cui viviamo, o si limita a ruminare e aggiornare idee sottratte altrove (è il caso del J-Horror e di tutto il filone asiatico disceso da The Ring) o in altri tempi, dal terreno fertile del passato recente (col ricorso sistematico al remake si va a colpo sicuro), Zombie è autore di cinema alieno e alienato, a suo modo all'avanguardia. Pop, vintage e post-moderno, La casa dei mille corpi eleva il remake e la citazione a cifra più alta e personale veicolando una visione del mondo tanto paradossale quanto coerente con lo stile in cui si manifesta. Certo non è roba per tutti i gusti, ci vuole uno stomaco forte per non arretrare di fronte a un tale campionario di orrori e perversioni mostrate con un ghigno beffardo e, nello stesso tempo, con un'insolita, empatica, quasi romantica (nel senso di nostalgia per un altro cinema, un altro tempo, per una libertà che non c'è più) partecipazione nel corso di 90 minuti di labirintica e disturbante discesa nell'immaginario contaminato e deviante di questo singola (anti)autore (già fumettista horror/porno e musicista di successo con i White Zombie). Come il Dr. Satana e la sua famiglia “satanica”, che realizzano sculture viventi torturando le loro vittime e assemblandone i cadaveri smembrati, Zombie esuma e compone in modo futuribile un immaginario orrorifico fatto di squarci e frattaglie che provengono dai mostruosi corpi cinematografici del passato (in particolare dagli anni 70, decennio nel quale, non a caso, è ambientato il film).

Impossibile non pensare subito a Texas chainsaw massacre (Non aprite quella porta) di Tobe Hooper mentre si assiste all'implacabile supplizio inflitto da una famiglia di degenerati ai quattro incauti studentelli in cerca di emozioni forti; sempre da Hooper e dal suo Il tunnel dell'orrore deriva la trasfigurazione macabra e perversa dell'iconografia circense, dei freak-show, delle fiere di paese e dei luna park (il Capitano Spaulding e la sua inquietante bottega). Accanto ad altri tesori di serie B come Spider baby (a cui s'ispira soprattutto il personaggio di Baby Firefly: bambina satanica troppo cresciuta con un corpo da Jayne Mansfield e un cervello da Susan della “Famiglia Manson”) e Tourist trap, Zombie alleggerisce la tensione (rendendo, in verità, il tutto ancora più morboso e divertente) con spiazzanti richiami a musical horror-queer come The rocky horror picture show (il goffo tentativo dei padroni di casa di sedurre le due coppie riluttanti, il balletto inscenato da Baby Firefly, Marilyn en travesti, in onore dei suoi ospiti) o sit-com del terrore come quelle di Zio Tibia, della Famiglia Addams o della sexy annunciatrice Vampira (già rievocata in Ed Wood di Tim Burton) e perfino Alice nel paese delle meraviglie, quando l'ultima superstite, Denise, vestita da “bianconiglio” viene calata in una sorta di tana sotterranea che si rivelerà poi essere la catacomba in cui opera ancora inditurbato il mai morto Dr. Satan, immerso nel suo smisurato puzzle necrofilo di cadaveri. Ma non è un gioco fine a se stesso, sebbene condotto con spirito goliardico e umorismo scorrettissimo. Dove La casa dei mille corpi si differenzia da tanti altri presunti epigoni è nella blasfema sensibilità con cui sceglie di mettere in scena le vicende dal punto di vista del male, “simpatizzando per il diavolo”, in una qualche misura. I maniaci sono descritti come una comunità di freaks - hippies di Satana - che vivono secondo le proprie regole, artisti dell'omicidio in cerca di una loro provocatoria forma di espressione, un avamposto di ribelli psicopatici nel ventre soffocante e conformista dell'America profonda e sudista. Presa di mira con un'iconoclastia feroce che si estende a molti dei suoi simboli dal paternalismo della famiglia rurale, alle ragazze pon-pon seviziate, ai tutori della legge, gli uomini dello sceriffo, i Rangers tromboni, razzisti e tracotanti, che cadono in trappola con straordinaria stupidità. Così facendo Zombie inquadra alla perfezione quello che è un sottotesto mitologico che attraversa tutto l'horror americano contemporaneo - e in maniera particolare quello degli anni 70 e 80, lo slasher e il gore con protagonisti adolescenti che si allontanano dai riferimenti geografici o morali dettati dal buon senso comune e fanno una brutta fine - che possiamo schematicamente rappresentare nel conflitto fra puritanesimo e impulso sfrenato, fra perbenismo e desiderio, fra proibizionismo e piacere del proibito. E ne ribalta la prospettiva identificandosi coi carnefici, gli unici, paradossalmente, consapevoli di ciò vogliono e di come averlo, ultima tribù di fuorilegge a sfidare il riflusso e la repressione (siamo nel 1977, l'anno del punk, e gli 80s sono alle porte). Un tema che esplorerà con maggiore profondità e convinzione nel seguito intitolato La casa del diavolo, che vedrà la famiglia Firefly abbandonare la suddetta casa e riversarsi on the road, verso il confine romantico dei reietti e bandidos, per sfuggire ad una gigantesca caccia all'uomo.

Zombie formalizza visivamente questa sua libertaria e capovolta poetica della crudeltà attraverso uno stile che deve molto al videoclip degli anni 90 (non per nulla l'autore s'è fatto le ossa dirigendo quelli della sua band), una tavolozza di colori acidi, saturi, lisergici, un gusto per il ralenti e la dilatazione spasmodica dei particolari (come nella scena dell'esecuzione a sangue freddo di uno dei due Rangers: il tipo ha gli occhi chiusi e una pistola puntata alla tempia, sembra che debba accadere tutto in un istante ma in realtà non succede nulla, la musica s'arresta, l'azione decelera, un lungo, lunghissimo dolly ascendente ci trasporta letteralmente dal primo piano del personaggio ad una visione distaccata e panoramica di ciò che gli sta succedendo, poi quando ormai c'abbiamo quasi rinunciato, BANG, lo sparo...) che guarda al cinema d'azione di Sam Peckimpah, e con inserti sgranati, quasi loop mentali dei personaggi o interferenze psichiche che irrompono nella consecutio narrativa in modo poco meno che subliminale, a metà strada fra una versione visiva dei “campionamenti” della musica elettronica e stralci di video-arte alla buzzurra.

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Voto degli utenti: 6,6/10 in media su 10 voti.

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synth_charmer (ha votato 5 questo film) alle 14:08 del 2 novembre 2010 ha scritto:

l'ho visto di recente, attratto da alcuni pareri favorevoli. Ma non è il genere di horror che preferisco, di solito cerco stimoli più mentali e meno visivi. Tant'è che ho anche rinunciato a vedere La casa del diavolo

loson79 (ha votato 7 questo film) alle 18:02 del 3 novembre 2010 ha scritto:

L'erede di Tobe Hooper, bravo Simo. E condivisibile al 100% pure il riferimento a Peckinpah (influenza che si fà palese nel successivo "La Casa del Diavolo", per me il migliore di Rob). Gustosissimo cibo (marcio) per gli occhi di ogni cultore dell'horror.

Marco_Biasio (ha votato 6 questo film) alle 21:21 del 3 novembre 2010 ha scritto:

Divertente ed ultra-citazionista. Ma non fra i miei preferiti. Bravissimo Simone...

bargeld (ha votato 7 questo film) alle 20:34 del 4 novembre 2010 ha scritto:

Oh oh, si, sono in linea con Los! L'uso del colore, l'estetica splatter sopra le righe, Capitan Spaulding! E, che diamine, una Sheri Moon al debutto che è riduttivo definire enorme... Non potevi che farla (ottimamente) tu, Simone!

simone coacci, autore, (ha votato 7 questo film) alle 10:41 del 5 novembre 2010 ha scritto:

RE:

Ghgh è stata a lungo il mio avatar, non per nulla. Lieto che vi sia piaciuta. Vi ringrazio, di cuore, ragazzi.

ffhgui (ha votato 6 questo film) alle 15:31 del 19 giugno 2011 ha scritto:

Qualche buona trovata visiva c'è, in generale un omaggio discretamente riuscito a Tobe Hooper e al suo "Texas Chainsaw Massacre". Sinceramente l'ho trovato carino. Non male la scena iniziale, film, in definitiva, sufficiente; il sequel gli è però superiore e non di poco.