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R Recensione

8/10

Nerolio regia di Aurelio Grimaldi

Drammatico
recensione di Enzo Barbato

Uno scorcio della vita di Pier Paolo Pasolini, presentato in maniera anonima e coraggiosamente da Aurelio Grimaldi. Il regista siciliano si sofferma, ponendosi e ponendo allo spettatore, interrogativi relativi alla vita interiore del Poeta. Lasciando molto, forse troppo, spazio alla sfera sessuale, cerca di coglierne i significati più nascosti...

Nerolio. Dramma in tre atti soggettivi o quanto mai ardimentosi. Petrolio nero.

I Atto: Ferro e sole. Umanità.

Un Poeta ammira ciò che offre il triangolo del Mediterraneo dai vetri popolari di un vagone di seconda classe. Mare, costruzioni abusive, arance, spine. All'interno dell'accogliente salottino pubblico delle ferrovie c'è o passa qualche giovanotto, qualche militare, qualche amante. Il Poeta si sistema in un albergo impostogli più dal cognome che porta che dalla possibilità di andarci. E' un posto che gli sta stretto. Preferisce abbandonare queste amenità dal sapore borghese per abbracciare quelle esperienze comuni tanto amate. Le preferisce. Dei ragazzi giocano a calcio in uno spiazzo periferico di fortuna. Vuole sentire le loro carni, i loro odori, vuole masticare la loro vita. Li vuole. Sono suoi.

II Atto: Mare e pioggia. Carne.

Il Poeta soffre nella sua casa. La sua ultima opera cinematografica è stata flagellata dagli strali avvelenati della critica e della censura. Meglio uno squalo bianco che terrorizza un tranquillo angolo d'America. Uno studente ha bisogno del Poeta e cerca di arruffianarselo con metodi poco credibili. Il Poeta non è stupido e se qualcuno entra nella sua gabbia deve vedersela con lui. Lui vuole carne da baciare, da leccare, da violentare ma dolcemente. La avrà.Vuole dimenticare e meditare. L'amore non esiste. Il mare si ingrossa grazie alla pioggia e lui sta lì ad ammirare lo spettacolo.

Intermezzo con fisarmonica e fiasco di vino

III Atto: Spaghetti e polvere. Morte.

Il Poeta vuole annullarsi. E decide di farlo a modo suo. Gira con la sua auto per le strade illuminate e deserte di una grande città. Raccoglie un giovane di bella presenza dallo squallore di un bar di stazione. Vuole fargli fare l'attore, vuole renderlo famoso, vuole farlo suo. Il ragazzo accetta ma ha fame. Viene accontentato in una trattoria dove il Poeta è un graditissimo avventore. Per diventare attore bisogna però "pagare una piccola gabella". Il giovane ci pensa ma crede di non avere il fegato. Il Poeta vuole sondarlo ma viene respinto. Si arrabbia, inveisce, attacca. Ne ha di forza il Poeta, possiede ottimi riflessi e un fisico abbastanza tonico. Viene però fermato da un paletto di legno che lo colpisce più volte. Il ragazzo è da solo. Strano. Il Poeta si mescola col suo sangue e giace nella polvere di un campetto di calcio dimenticato da Dio. Se ne parlerà per decenni e se ne parla ancora.

Aurelio Grimaldi produce una rivisitazione semipersonale della sfera sessuale non facilmente comprensibile e declamabile di Pier Paolo Pasolini. Il risultato è un'ardua dimostrazione di coraggio. La pellicola è stata, come ovviamente prevedibile, stroncata dai familiari e dai pasoliniani, quasi completamente ostracizzata dai circuiti distributivi delle sale e non meno pugnalata dalla critica. Bisogna però anche dire che in questo lavoro viene mostrata l'altra faccia di Pasolini, quella più oscura, quella più interiore, non proprio recondita ma sicuramente la più intensa e difficile da raccontare. Grimaldi inoltre è un grande estimatore di Pasolini e ciò viene garantito dall'altro ritratto in "Un mondo d'amore" e dal remake di "Mamma Roma" di "Rosa Funzeca". Bellissima la fotografia di Maurizio Calvesi con uno spietato bianco e nero che colpisce in ogni sequenza e non passa inosservata la scarna ma essenziale musica di Maria Soldatini. Molto bella e poetica la scena di transizione tra due episodi del solitario suonatore di fisarmonica. Peccato per i troppi lemmi di matrice più scurrile che demotica che infarciscono il secondo episodio.

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C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 4 questo film) alle 23:40 del 26 giugno 2010 ha scritto:

Oh, mi era sfuggita... preziosa pagina, Enzo. Dunque, dico la mia. Più che suo estimatore, Grimaldi mi dà l'idea di essere ossessionato da Pasolini. Anzi, non solo: di conoscere benissimo l'enorme divergenza fra lui ed il Maestro e di covare intensa frustrazione per questo. Se un'opera come questa ha il pregio di mostrare il presunto dark side dell'intellettuale più geniale che il Novecento italiano abbia partorito, mostra d'altro canto una morbosità d'azione, un tentativo continuo ed estremo di spersonalizzare la sua icona che mi risulta davvero irritante, in primis come spettatore, poi come intenso ammiratore di PPP. Non credo volesse denigrare la "casta" intoccabile ed intellettuale dei suoi seguaci. Anche se così fosse, manca completamente di prospettiva, non shocka e finisce per assumere le fattezze di un mucchio di celluloide buttata al vento.