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8/10

La luce sugli oceani regia di Derek Cianfrance

Drammatico
recensione di Leda Mariani

Tom Sherbourne, veterano ancora traumatizzato dalla prima guerra mondiale, si dedica la suo nuovo lavoro di guardiano del faro sulla disabitata Janus Rock, nell’Australia Occidentale, circondato dal nulla se non dalla vastità del mare, tra oceano Indiano e del Sud, in cerca di conforto nella solitudine. Ha intenzione di rimanere solo, ma inaspettatamente al porto incontra Isabel Graysmark, una giovane e vivace donna della città di Partageuse, ancora in lutto per la morte in guerra dei suoi due fratelli. Nonostante gli ostacoli, il loro amore fiorisce in quell’estremo isolamento e ben presto si sposano, spinti dalla passione uno per l’altra e sperando di creare una nuova vita insieme. Cercano disperatamente di far nascere la loro famiglia, ma il destino non è clemente con loro. Un giorno approda sulla riva una misteriosa barca a remi con dentro un uomo morto e una neonata, portando ad una serie di decisioni – alcune impetuose, altre lancinanti – che si dipanano con conseguenze terribili. La piccola creatura vivace e bisognosa di attenzione diventa la luce della loro vita, finché non scoprono che la sua vera madre la cerca da anni senza riuscire a darsi pace. Tormentata dal dilemma dello svelare o meno il segreto, perdendo così la figlia che ormai sentono come loro, la coppia inizierà a disgregarsi, ma accadrà anche molto altro…

Tratto dal best-seller che ha travolto i lettori con la sua coinvolgente storia sul destino, l’amore e i dilemmi morali che le persone sono chiamate ad affrontare nella vita, scritto e diretto da Derek Cianfrance, il film rispetta appieno l’omonimo romanzo d’esordio delle scrittrice M.L. Stedman che ha creato scalpore fin dalla pubblicazione nel 2012. Un dramma morale sulle verità e i segreti che le persone inglobano nelle loro relazioni: perché la maggior parte della vita è una “zona grigia” che ci troviamo a rivivere in maniera umanamente empatica accostandoci a personaggi che sono assolutamente intrappolati in quella zona.

I presunti cattivi. Un lavoro egregio per raccontare l’emotività e il nostro rapporto con le scelte di vita.

Una storia davvero emozionante e toccante: intensa, filmata in maniera affascinante, con una fotografia meravigliosa (di Adam Arkapaw) fatta di ambienti che si perdono all’orizzonte, di inquadrature larghe, d’infiniti piani sequenza, atmosfere e panorami che diventano simboliche astrazioni dell’animo. “La luce sugli oceani” è il primo adattamento cinematografico di un romanzo da parte del pluripremiato regista Derek Cianfrance, accorto esploratore delle relazioni famigliari. Il romanzo si è subito piazzato, alla sua uscita, all’apice delle classifiche del New York Times, di USA Today e di Amazon, soprattutto per il suo modo di affrontare la tematica del superamento della durezza della verità, da parte degli esseri umani. Una storia onesta sul dolore dell’amore e sull’amore perduto: sulle varie forme dell’amare, che arrivano a mettere a confronto diversi modelli di maternità, evidenziandone con spiazzante efficacia la medesima portata. Una vicenda che può essere osservata in maniera quasi universale, da tutti i lati. Non si vede infatti solo il punto di Tom, Isabel, o Hannah in ciò che accade, ma ogni personaggio che si incontra sembra portare la storia su un altro livello, andando a costruire, prima per il lettore e poi  per lo spettatore, un viaggio emozionale personale, nella visione della perdita e del sacrificio di sé.

Non ci sono personaggi negativi in questa storia. E questo non significa certo che tutti facciano le scelte giuste o che non finiscano col fare del male ad altri, ma nei loro cuori, nelle loro menti e nell’anima, sono brave persone: una storia che insomma ci mette davanti al fatto che i “presunti cattivi” possano essere proprio coloro che amiamo di più.

Michael Fassbender è alle prese, in questo film, con il suo ruolo più intimo e accorto, su una sceneggiatura che ferisce e commuove fino alle lacrime. I sentimenti umani  si sentono, quasi fisicamente, sulla pelle di questi magnifici attori nell’interpretazione dei personaggi. Tom è un uomo onesto, stoico, ma che cerca anche di riparare sé stesso. La storia ha la complessità della vita reale e mette effettivamente in scena i difficili momenti in cui siamo obbligati a fare delle scelte che non hanno risvolti semplici né giusti. Si tratta più che altro di raccontare come reagiamo alle conseguenze delle nostre scelte, che è anche ciò che ci definisce come esseri umani. Il personaggio di Tom si consuma, da uomo che crede nel “fare la cosa giusta”, nella dicotomia tra il suo amore per l’essere padre e la paura per ciò che ha fatto: emozioni che diventano lentamente percepibili  allo spettatore in ogni tendine del corpo di Fassbender.

Non si poteva pensare ad attrice migliore per interpretare il ruolo di Isabel: la sua vivacità, la fedeltà al proprio istinto e la sua incoscienza. Il Premio Oscar Alicia Vikander, ballerina ed attrice che ha egregiamente interpretato i ruoli femminili di Ava, l’intelligenza artificiale superiore di “Ex Machina” e quello di Gerda Wegener in “The Danisk Girl”, si è rivelata la scelta più intelligente. La Vikander ha raccontato che: <<la bellezza di questo film sta proprio nell’identificarsi con i personaggi e nel capire perché fanno quello che fanno>>. Sintesi assolutamente adeguata.

Rachel Weisz ha camminato sul filo del rasoio per mantenere il vero lutto di Hannah senza scivolare mai nel sentimentalismo. In questo film ogni personaggio è imperfetto e si intrecciano tutte storie d’amore a più livelli: tra genitori e figli, mariti e mogli, parenti e amici. Anche quella di Hannah è una  storia d’amore, messa in moto dal suo stesso corteggiamento ribelle nei confronti di un immigrato tedesco, Frank Roennfeldt (Leon Ford) in un luogo e tempo di forte razzismo nei confronti dei tedeschi. Vengono messe in scena e raffrontate due forme di maternità e si riesce a tutti gli effetti a far percepire cosa significhi essere un genitore.

Il film ricostruisce un luogo ed un tempo molto suggestivi, facendoci immergere nell’atmosfera primordiale di Janus Rock, con la sua bellezza aspra e le sue tempeste, così come nei piccoli centri parrocchiali del Western Australia, mentre si stanno riprendendo dai devastanti effetti del primo conflitto mondiale. In più di 45 giorni di riprese, durante l’autunno 2014, in vari luoghi delle regioni Marlborough e Otago della Nuova Zelanda e nell’isola australiana della Tasmania, il luogo mistico del romanzo rivive, grazie al lavoro del due volte vincitore di Emmy Award, il DoP Adam Arkapaw, della costumista Erin Benach e alla bellissima colonna sonora del Premio Oscar Alexandre Desplat. Il faro è quello di Cape Campbell, situato sullo stretto di Cook, sull’estrema punta nord-orientale dell’Isola del Sud, in Nuova Zelanda: una torre alta 22 metri che esiste dal 1870. Janus è un’isola di dualità: di luce e buio, amore e odio, verità e menzogna, un territorio sul quale si dispiegano grandi piaceri e dolori, che sa di vita e di morte e che ritorna perfettamente nelle location scelte.

Un film veramente difficile da affrontare, per la profondità delle tematiche, e che solo un regista con un’intelligenza emotiva profonda come quella di Cianfrance forse poteva affrontare in maniera così elegante, ed esteticamente incantevole, della quale si è dichiara entusiasta anche la Stedman, scrittrice del romanzo. Una pellicola potente, importante e che spinge alla riflessione.

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