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6/10

Razzabastarda regia di Alessandro Gassman

Drammatico
recensione di Alessio Colangelo

Roman è un migrante rumeno giunto in Italia trent’anni fa. La sua esistenza non è riuscita a districarsi dai giri dello spaccio di droga e dagli ambienti della piccola delinquenza. Ma Roman ha un sogno: dare a suo figlio Nicu che ha allevato senza madre, un’esistenza diversa e migliore. Ma può davvero un ragazzo che ha sempre vissuto in quell’ambiente e in quelle dinamiche desiderare di essere qualcosa di diverso?

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«Io sono quello che faccio con ciò che gli altri hanno fatto di me» J.P. Sartre

La storia di un padre, Roman, spacciatore da una vita, che tenta di dare un futuro al figlio Nicu. Entrambi romeni, entrambi esclusi, entrambi carichi di una forte rabbia che spesso viene manifestata con urla e schiamazzi esagerati. Questo film, tratto dalla pièce teatrale Cuba and his teddy bear di Reinald Povod, viene diretto ed interpretato da Alessandro Gassman e vuole mettere in rilievo la realtà di una periferia degradata, senza possibilità di riscatto, abitata solo dall’odio e dalla violenza. È un film volutamente duro, girato con un eccessivo bianco e nero ed eccessive saturazioni di colore, non c’è una via di mezzo, per Gassman regista è tutto esagerato, ipercinetico, mai ordinario. Lo squallore dei luoghi è esasperato dalla videocamera che, sinuosa, si aggira tra le rovine di quella che sembra essere una visione allucinatoria dell’inferno. Il degrado morale dei personaggi sembra trasudare dallo schermo come materia viscida, tutti costantemente sul piede di guerra pronti a far fuoco gli uni contro gli altri bramando il potere, quel potere che gli consentirà perlomeno di restare in vita un altro giorno. Nicu rimane escluso dalla lotta, è un “cucciolo” che vuole entrare presto nel mondo degli adulti; il padre, iperprotettivo, vuole difenderlo e dargli una vita migliore, ma tutto quello che riesce a fare è intrappolarlo sempre di più nel giro di droga. Razzabastarda ricorda un po’ altri due film del genere “periferie degradate e gioventù malavitosa”: La haine di Mathieu Kassovitz e Fame Chimica dei registi Bocola e Vari; tutti questi film hanno come comun denominatore l’estrema violenza e la mancanza di qualsiasi forma di speranza. Il naufragio inevitabile a cui Roman approda non dipende, secondo il messaggio filmico, dalla “Razza bastarda”, ma dalle condizioni difficili alle quali il rumeno è sottoposto. Il titolo, provocatoriamente, rimanda gli spettatori al pregiudizio tipico sulla comunità rumena che i titoli di coda smentiscono, affermando che esiste una sola razza, quella “umana“; il film insinua dunque lo stereotipo all’inizio per poi consentire  a noi tutti, attraverso lo schermo ormai nero, di riflettere più approfonditamente.  La musica, con canzoni tipiche, ci rimanda ai film slavi di  Emir Kusturica pur mancando qui la componente gioiosa e allegra della vita. Il montaggio sempre frenetico non lascia momenti di riflessione allo spettatore, le inquadrature sono ben studiate e ci lasciano alcune belle immagini da ricordare, come quella di Nicu su un tetto che guarda dall’alto e ci fa capire che prima o poi la forza di gravità avrà la meglio su di lui facendolo cadere nel vuoto dell’esistenza. In definitiva Razzabastarda è un film ben girato, ma che soffre degli eccessi di certi personaggi e di certe situazioni andando a sconfinare troppo spesso sul piano della caricatura piuttosto che su quello della realtà. Gassman quasi come il Leonida Snyderiano ci porta vicini ad Hollywood. Forse troppo.           

         

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