Chronicle regia di Josh Trank
FantascienzaDopo che tre liceali scoprono una strana pietra aliena in una grotta, cominciano a possedere strani poteri che prendono il loro controllo e nulla sarà più come prima...
“Il mondo è solo una mia rappresentazione.” Arthur Schopenhauer
Chronicle, cronaca di un gruppo di ragazzi casualmente investito da poteri telecinetici, è l’esordio del giovane regista americano Josh Trank. Il film, realizzato interamente con la tecnica del found-footage, monta spezzoni di diverse “sorgenti video”: cellulari, handycam, videocam professionali e videocamere a circuito chiuso. Tutto questo crea un interessante cortocircuito visuale fatto di inquadrature sghembe e carrelli sporchi. Il vero protagonista del film è proprio la videocamera praticamente sempre presente in campo attraverso il suo riflesso in specchi di vario tipo e di varie dimensioni.
L’impresa che il regista si era presumibilmente proposto in questo film fantascientifico, cioè coinvolgere lo spettatore , è completamente fallita proprio per una sbagliata concezione del frame; quando Trank inquadra pone un diaframma troppo visibile, cioè l’ elemento di separazione tra il filmico e il pro filmico allontana lo spettatore invece di catturarne la visione; in questo modo Chronicle appare con “l’effetto acquario”, cioè i protagonisti vivono in uno spazio artificiale che li separa da noi. Proprio come in un acquario essi fluttuano e volteggiano per il cielo grazie ai loro poteri.
Un secondo errore del regista è presentare una trama abbastanza banale per altro relegata in un film di soli 80 minuti che ovviamente ci fa pensare che egli avesse troppa fretta e poche idee da mettere in campo.
Chronicle sarebbe stato più adatto come videogame, guarda caso il film esce in contemporanea con il multipiattaforma Activision Prototype 2 anche qui con abbondanza di poteri alieni, caos in città, possibilità di volare etc. Se dovessi proprio scegliere tra film e videogame in questo caso preferirei il videogame perché in Chronicle i personaggi non sono avatar, che io posso muovere a mio piacimento, e il mio coinvolgimento nel film è pari a zero.
Gli attori recitano in modo stereotipato con dialoghi veloci e banali seguendo una sceneggiatura inesistente. Guardando questo film si rimpiangono Kick Ass per i temi e The Blair Witch Project per lo stile. Usciti dalla sala si ha un senso di noia misto al rimpianto di non aver scelto la sala di The Avengers.
“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità” riecheggiano le parole dello zio Ben, ma qui i poteri deresponsabilizzano e anche Josh Trank pur avendo a disposizione un budget di “soli!” 15 milioni di dollari lo spreca proprio come sono sprecati i poteri dei supereroi o superpredatori che dir si voglia.
Un accenno sulla mancata crossmedialità proposta dal film: pare strano che una pellicola che si propone come “ mockumentary amatoriale” manchi della componente dei Social network assenti dalla diegesi, che pure presenta personaggi molto giovani. È possibile che il regista fugga da un’ idea di convergenza che ormai domina anche il paesaggio filmico post-moderno?
Invece di finire con una inquadratura fissa su un monastero in Mongolia non sarebbe apparsa più adeguata la scritta: “The Game Is Over”?
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