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7/10

La mia classe regia di Daniele Gaglianone

Docu-fiction
recensione di Giulia Bramati

Il regista Daniele Gaglianone decide di fare un film su una classe di immigrati a cui un docente insegna l'italiano. La revoca del permesso di soggiorno ad uno di loro provoca un problema all'interno della produzione, a tal punto che il regista pensa di rinunciare al progetto.

In un'Italia sempre più spaventata dalla diversità e dall'immigrazione, si fa spazio Daniele Gaglianone, che, con la sua nuova pellicola La mia classe, mostra con coraggio le difficili condizioni che i nuovi italiani si trovano a dover vivere per colpa di una burocrazia severa e sbagliata.

L'idea iniziale del regista era quella di girare un film di finzione su una classe di immigrati che cercano di imparare l'italiano con l'aiuto del loro insegnante, interpretato da Valerio Mastandrea. Il meccanismo sarebbe dovuto essere a metà tra finzione e documentario, perché si intendeva sviluppare le vicende autentiche degli studenti attraverso una serie di interviste. Un'idea, insomma, molto vicina alle attuali tendenze del cinema italiano, di cui hanno dato prova soprattutto Alina Marazzi (Tutto parla di te) e Tizza Covi e Rainer Frimmel (La pivellina). La situazione si complica quando subentrano problemi di permessi di soggiorno per alcuni degli interpreti. Gaglianone non può continuare la lavorazione del film, pensa di interrompere le riprese, ma decide poi invece di girare un'opera metafilmica, mostrando in stile documentaristico i problemi che si trova a dover affrontare.

"Realtà, finzione, finzione!" scriveva Pirandello, lo stesso sembra fare Gaglianone, trovandosi a mescolare diversi elementi, senza più distinguere quelli reali da quelli di finzione.

Ad una prima parte più tradizionale, dove vengono presentati i personaggi e dove si vengono a conoscere le diverse vicende, segue una seconda parte più complicata, dove il regista stesso si pone di fronte alla macchina da presa per mostrare i problemi da cui è affetta questa produzione.

Il ritmo del film è molto buono, le prime scene sono dedicate alle lezioni di italiano: l'insegnante Mastandrea crea dinamiche estremamente divertenti, mostrando con serenità il difficile cammino che questi studenti hanno deciso di percorrere. Nel momento in cui lo Stato decide che alcuni di questi ragazzi non sono più autorizzati a restare nel nostro Paese, è naturale provare empaticamente la loro stessa sofferenza ed è spontaneo interrogarsi su quanto possano essere giuste queste leggi.

Il Festival di Venezia, dopo aver accolto Terraferma di Emanuele Crialese e Cose dell'altro mondo di Francesco Patierno, mantiene saldo il suo interesse per i film italiani che trattano il tema dell'immigrazione, con la speranza di sensibilizzare il pubblico. Come ha sottolineato Gaglianone alla presentazione del film alle Giornate degli Autori, l'immigrato non è più un numero o un elemento distante, ma diventa una persona che si trova ad affrontare problemi che la nostra legislatura gli impone. Ma anche il cinema diviene incapace di entrare in questa storia, e dunque non è possibile limitarsi alla finzione. Il documentario diviene necessario, come anche l'improvvisazione, ben presente nell'opera, che diventa così un prezioso esempio di connubio tra finzione e realtà, che permette di attuare una riflessione più profonda sulle condizioni degli immigrati nel nostro Paese e offre una visione più umana ed intima del fenomeno, mostrando quanto l'istruzione sia una utile forma di aggregazione sociale nonché di riscatto e che sia dunque necessario poterla garantire a tutti.

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