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7/10

Coffee And Cigarettes regia di Jim Jarmusch

Commedia
recensione di Fulvia Massimi

Undici brevi incontri si consumano intorno al tavolino di un bar, tra chiacchiere surreali, silenzi imbarazzati  e schermaglie condite da una dose extra di nicotina e caffeina.

 

Il progetto di un film a base di caffè e sigarette era nel cassetto di Jim Jarmusch già da molti anni: nel 1986, su sceneggiatura (ma sarebbe più corretto dire ‘canovaccio’) di Roberto Benigni – futuro interprete di Daunbailò – vedeva la luce il primo “volume” di Coffee and Cigarettes (seguito nell’89 e nel ’93 dal secondo e dal terzo), trilogia di corti confluiti (insieme ad altri otto) nel lungometraggio omonimo datato 2003.

In Strange To Meet You – questo il titolo del segmento da sei minuti che apre il film – Benigni e Steven Wright si incontravano in uno squallido caffè per intavolare una conversazione senza né capo né coda, conclusa con lo scambio di un appuntamento dal dentista: gli elementi chiave della nona pellicola di Jarmusch erano già stati definiti con diciassette anni d’anticipo.

Il tema del doppio, in primis, è la cifra numerica su cui si articolano i rapporti tra personaggi, raramente da soli (Renée French) o in terzetto (con l’entrata in scena di un personaggio di spalle e non visibile – la fan di Stave Coogan, il cameriere di Cate Blanchett, o di un “volto noto” – Steve Buscemi e Bill Murray), meglio ancora se legati da rapporti di parentela veri o presunti: è il caso dei gemelli (“good” e “evil”) Joie e Cinqué Lee nel segmento Twins, degli allora coniugi White (che si spacciano per fratelli) in Jack Shows Meg His Tesla Coil, della Blanchett “sdoppiata” e di Steve Coogan e Alfred Molina.

È in questi ultimi due segmenti, collocati al centro della pellicola e non a caso speculari nel titolo (Cousins e Cousins?) e nel contenuto (due cugine e due, forse, cugini), che trova modo di esprimersi una delle riflessioni su cui Jarmusch si sofferma con maggiore efficacia: quella sullo star system, incarnata tanto dalla sovrabbondanza di camei e di attori/cantanti nel ruolo di se stessi (Iggy Pop, Tom Waits e i White Stripes) che dal paradossale rovesciamento di tale ruolo.

Se Cate Blanchett offre una prova schizofrenica e strepitosa del proprio talento interpretando tanto la diva impegnata e dalla facciata accomodante quanto la cugina problematica e ribelle che ne smaschera le pose, è nel pietoso incontro tra Coogan e Molina che la frecciata sarcastica di Jarmusch al mito contemporaneo della celebrità spocchiosa e insofferente coglie maggiormente nel segno.

Iniziato come una serie di barzellette che non fanno ridere (tutt’al più sor-ridere), raccontate  nella cornice di bar da quattro soldi e accompagnate (tranne che in due cai) da litri di caffè annacquato e fumo di sigaretta (uniche portate di un pasto tutt’altro che sano, come non si stancano di ripetere i personaggi più salutisti, tra cui i rapper RZA protagonisti dell’assurdo segmento Delirium), Coffee and Cigarettes acquista via via maggiore consapevolezza e corposità riflessiva, creando fra gli episodi interconnessioni tematiche e stilistiche sempre più frequenti.

Jarmusch torna al bianco e nero degli esordi (Stranger Than Paradise, Daunbailò), più congeniale a tracciare le strascicate traiettorie esistenziali (ed esistenzialiste) dei suoi personaggi, e nello spazio limitato del caffè piega movimenti di macchina e interventi di montaggio (suoi quelli del segmento Somewhere in California) alla funzionalità dialettica della scena, senza mai rinunciare al plongée della tavolata (rigorosamente a scacchi), vera e propria firma d’autore. Ed è anche, e soprattutto, nella compenetrazione tra immagini e musica (la soundtrack, a differenza del jukebox californiano, contiene brani di Tom Waits e Iggy Pop) che Jarmusch trova modo di esprimere il proprio stile, paradigmatico di quel cinema indie statunitense allergico ad ogni genere di commercialità (da cui gli stravaganti titoli di testa) che trova nel regista newyorchese (d’adozione) il suo portavoce.

I sogni velocizzati di Wright (poi sperimentati da GZA), gli aneddoti surreali di Steve Buscemi, cameriere “per contrappasso” (a cui probabilmente non verrà data alcuna mancia) e le schermaglie di Renée French con un barman insistente, lasciano il posto a conversazioni rarefatte, significate soltanto dall’esperienza dei due interlocutori (se non specchio della loro incomunicabilità) e a malapena comprensibili per lo spettatore, testimone passivo relegato ai margini delle vite degli altri. Il mondo, frammentato e scomposto in attimi rubati, decontestualizzati e sospesi in uno spazio-tempo imprecisato, si trasforma nella “cassa di risonanza” di un’umanità che non sembra avere coscienza della propria direzione, né fretta di seguirla.

La parabola ironica di una società underground, schiava del consumo e della dipendenza, scivola nella malinconica revivescenza dei fasti di un passato scomparso (rappresentato dalla Parigi anni ’20 e dalla New York dei Seventies) e nella celebrazione nostalgica della gioia di vivere e della vita stessa nel momento in cui se ne va, trovando la propria, legittima conclusione in un ultimo dialogo di commiato, dove il terribile caffè servito in tristi bicchieri di carta diventa champagne e con esso anche il gusto dell’esistenza si fa più dolce e sopportabile.

 

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Marco_Biasio (ha votato 8 questo film) alle 17:10 del 24 luglio 2011 ha scritto:

Una vita che lo cerco e una vita che lo voglio. Spero che prima o poi questa rincorsa abbia un lieto fine! Sempre in sintonia con la tua scrittura ed i tuoi giudizi, Fulvia

Marco_Biasio (ha votato 8 questo film) alle 20:02 del 7 settembre 2011 ha scritto:

Decisamente il mio tipo di film e decisamente triste il finale. Il tema centrale è soprattutto quello dell'incomunicabilità, almeno a mio modo di vedere: caffè e sigarette sono l'aiutino per portare avanti conversazioni che non vanno da nessuna parte e che non hanno senso di esistere (vedi quella iniziale di Benigni). Pagherei comunque per scrivere una trama del genere

Marco_Biasio (ha votato 8 questo film) alle 20:02 del 7 settembre 2011 ha scritto:

Tra parentesi, bianco e nero SPET-TA-CO-LA-RE!