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R Recensione

10/10

I Quattrocento Colpi regia di François Truffaut

Drammatico
recensione di Monia Raffi

L'azione si svolge a Parigi alla fine degli anni cinquanta. Antoine Doinel è un ragazzino di 12 anni, vive con i genitori che mal ne interpretano i bisogni affettivi e le inquietudini tipiche dell'adolescenza, la madre un poco civetta e poco disponibile alle effusioni del ragazzo, il padre (che in realtà è tale solo sotto il profilo legale), abbastanza bonario ma superficiale e solo interessato alle gareautomobilistiche. La famiglia vive in un piccolo appartamento, dove Antoine non possiede una propria camera da letto, infatti dorme nell'ingresso, vicino alla porta di casa. Anche a scuola Antoine si fa notare per la sua irrequietezza, lo scarso rendimento e per gli scherzi che combina, tanto che finisce in molte occasioni per diventare il capro espiatorio di marachelle altrui. Tutte le azioni di Antoine sono un mezzo, non sempre consapevole, per attirare l'attenzione degli adulti su di sé e per protestare contro la loro insensibilità e la loro ostilità. Il solo conforto alla sua solitudine è l'amicizia col coetaneo René, solidale con lui anche per la difficile situazione famigliare, con cui marina frequentemente la scuola andando al cinema, nei parchi parigini o al Luna Park...

L’adolescenza periodo di interminabili conflitti interiori che sfociano nell’insofferenza per ogni regola precostituita, periodo teso tra l’infanzia e la maturità, in cui ogni sbaglio, ogni cosiddetto errore diventa un insormontabile ostacolo. Truffaut presenta l’adolescenza come un periodo invaso da questi dissidi, imperniando il film sul dato biografico, o meglio sull’esperienza personale per raggiungere un discorso più ampio: la sordità degli adulti verso un momento difficile, l’ipocrisia di quei ragazzi che una volta diventati adulti smettono di ricordare obbiettivamente quello che erano stati. Attraverso la storia di Antoine Doinel tocca i punti cardine di questo periodo: il rapporto spesso difficile con la famiglia, l’incontro/scontro con le istituzioni e il ruolo fondamentale dell’amicizia. 

Ad interpretare la parte di Antoine Doinel troviamo Jean Pierre Léaud che da questo film in poi diventerà volto fedele della Nouvelle Vague. Truffaut lasciò molta libertà d’interpretazione al giovane Léaud che conferì fin da subito a Doinel una certo vigore e una certa sfrontatezza che questo personaggio a priori non aveva. Doinel non si pone quindi come l’alter-ego di Truffaut ma come un personaggio immaginario che si trova ad essere la sintesi di due persone reali* (Truffaut e Léaud). A les 400 coups seguiranno poi altri film che avranno come asse narrativo la figura di Antoine Doinel, che sarà seguita nelle varie fasi della vita: L’ amour à vingt ans (1962), Baisers volés (1968), Domicile conjugal (1970) e L’amour en fuite (1979).

Il rapporto controverso con la famiglia è il perno, il motivo scatenante delle azioni di Antoine. Truffaut traccia un ritratto disarmante di una famiglia dove il figlio è sentito come un peso costante, quasi un alieno (=altro), che si è interposto laddove non era voluto e quindi verso il quale non si ha neppure un umano dovere. La piccola casa dove i tre vivono, l’ingresso adibito a cameretta proietta in qualche modo lo spazio misero che Antoine occupa nella vita dei genitori, come un ospite poco gradito al quale si fa il favore di trovare un posto dove dormire. La madre è ritratta cinicamente come una donna dedita soltanto a se stessa, che trova sollievo nel mandare il figlio in riformatorio per potersene finalmente liberare. Il patrigno, forse capace di più amore rispetto alla madre, nei confronti di un figlio biologicamente non suo. Una figura non cinica ma limitata, che probabilmente non è capace veramente di educare e capire Antoine e che pensa in fondo di aver fatto tutto quello che era nelle sue possibilità.

Gli adulti appaiono come un mondo severo e intollerante anche laddove non ne avrebbe il diritto. Doinel ruba una macchina da scrivere, ma poi la restituisce perché non aveva tratto nessun vantaggio da questo furto. Il gesto di restituirla, avrebbe dovuto già di per se far attirare su Antoine una certa benevolenza da parte degli adulti (che avrebbe comunque potuto tenerla) ed invece crea un ascendente di cattiveria nei suoi confronti. Il patrigno che avvertito del furto lo conduce in caserma perché non sa più che misure adottare, l’arresto per furto e vagabondaggio e infine il riformatorio: un intero mondo che chiude le porte a questo nuovo figlio invece di cercare di capirlo.

Non a caso l’unica persona di cui si può fidare Antoine e l’amico Renè trasposizione cinematografica di un vero amico del regista, Robert Lachenay. Truffaut sembra non scordare che nell’adolescenza l’amicizia è un sentimento fortissimo, fondamentale che va a costituirsi come una nuova famiglia, che ci comprende più di quella vera indipendentemente se questa sia presente o meno. Renè è la persona ideale con cui divertirsi e vagabondare per le vie di Montmartre, e per condividere le stesse passioni, come quella per il cinema. Ma è anche l’unica persona su cui Antoine può veramente contare, che si occupa di lui come avrebbe dovuto fare la madre, che gli trova un posto in cui stare quando tutti sembrano essersi scordati i lui. Slanci di amicizia disinteressata che raramente si possono trovare nel mondo adulto, un’amicizia che non ti lascia nei momenti di difficoltà. Esemplificativa la sequenza in cui Renè va a trovarlo in riformatorio, dove non lo lasciano entrare e dove vediamo Antoine aggrapparsi al vetro nella speranza di incontrare l’unica persona che voleva veramente vedere.

La maggior parte delle esperienze che vive Antoine Doinel, sono state realmente vissute da François Truffaut, anche se in un intervallo più ampio: l’esperienza del carcere, la forte amicizia con Lachenay, il rapporto con la madre. Anche l’ambientazione, Montmartre e in particolare Pigalle richiama i luoghi della gioventù del regista. 

Il film ha una bellezza intrinseca innegabile, grazie a piani e sequenze veramente splendidi. la sequenza iniziale dove vediamo la Torre Eiffel far capolino tra i tetti di Parigi. L’incantevole sequenza girata al teatro dei burattini, dove Truffaut coglie, con una cinepresa opportunamente nascosta, sguardi ed espressioni di bambini; ed è proprio la verità di queste inquadrature, la naturalezza espressiva dei bambini ad essere assolutamente bellissima. Il piccolo Doinel che portato in carcere, lancia dalla camionetta gli ultimi sguardi verso quel mondo che ha rappresentato fino a quel momento la sua vita e dove per la prima volta lo vediamo piangere.

E La sequenza finale, Antoine che scappa, Antoine che va verso il mare. 

Finalmente il mare, un lunghissimo piano: Antoine che scende le scale per arrivare sulla spiaggia, Antoine che corre verso quel mare che non aveva mai visto; ormai è come se tutti fossimo su quella spiaggia con lui, aspettiamo col fiato sospeso il momento in cui toccherà finalmente l’acqua. Una sequenza estremamente emozionante, resa tale dal tempo naturale, perché Truffaut non ha fretta, il minuto che scorre sulla pellicola è esattamente quello che impiega Léaud a percorrere la spiaggia; fino alla fine, quando, una volta raggiunto lo scopo si volterà e guarderà indietro, e Truffaut stringendo sul viso di Léaud/Doinel, ferma l’immagine e il film su uno splendido primo piano, in un’espressione che trattiene in se tutti i quesiti che si pone Doinel, che si pone il film e che tutti ci poniamo durante l’adolescenza.

Les 400 coups è un film capolavoro se oltre alla storia pensiamo a come è stato girato e al fatto che all’epoca delle riprese Truffaut aveva solo ventisei anni. Un’opera importantissima sia per la Nouvelle Vague che per il cinema tutto, davanti alla quale ogni parola detta appare più che mai riduttiva.

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Voto degli utenti: 9,5/10 in media su 4 voti.
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alexmn 10/10
nanda 10/10

C Commenti

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lorenzof.berra alle 23:08 del 9 dicembre 2013 ha scritto:

Bellissima recensione, se posso osare ,i 400 colpi,è il film che rappresenta ancora oggi un meraviglioso affresco, la componente filmologica, permette ,senza fatica ,e senza spigolosita',di poter analizzare questa pellicola ,secondo un procedimento che si potrebbe definire "chiasmotico".L'anno 1959,è stato un anno di svolta per il cinema europeo;Se in Italia" Rocco e i suoi fratelli", del regista Visconti, inaugurera' il festival di Venezia, chiudendo definitivamente l'epoca del tanto amato e criticato, "neorealismo" Italiano vissuto come:"un coro collettivo di voci". In Francia ,accade un fatto similare,il film di Truffaut,"i 400 colpi",inaugurera' il festival di Cannes, aprendo la strada alla corrente detta della :"nouvelle vague"...Non ho molto da dire sul film, so solo che l'ultima sequenza detta della "fuga", rappresenta uno "iato" che il personaggio ,vuole fare con il suo passato ,un modo per crescere ,lontano da un mondo familiare non piu' appagante.'l 'io vive il mondo come estraneo ,ma poi secondo un moto "circolare "il personaggio attraverso la fuga ritrova l'identita' iniziale,non piu' in una logica familiare, ma in totale unicita' empatica con se stesso,e con la realta' circostante."il mondo come volonta' e rappresentazione ,avrebbe osato dire Schopenhauer,di un soggetto in cerca di sé e della sua identita'.la goiventu' è il perno del nuovo cinema francese.!.Rammento ,che Jean Luc Godard ,a proposito della Nouvelle Vague, disse:" E' lo splendore del vero"...