Persona regia di Ingmar Bergman
PsicologicoUn’attrice fragile, una infermiera per aiutarla a risolvere i suoi silenzi e una casa lontana nella quale ritrovare una dimensione per vivere. Presente e passato nella speranza del futuro.
Opera complessa, controversa e impossibile da spiegare perche’ spiegare e’ definire e non e’ possibile stabilire un senso univoco quando il significato ultimo puo’ essere discutibile.
Gli amanti delle pellicole “psicologiche” sono serviti nell’ininterrotta esposizione di simboli da cogliere e svelare come e meglio di uno psicanalista con un sogno da interpretare.
Se ad inizio film viene fornito un dizionario a base di proporzioni tra uomo e materia, in seguito e’ lo spettatore a decidere i limiti tra psiche e ragione, limiti e legami tra identita’ e “persona” appunto.
Cosa stiamo assistendo? A un transfert o una introspezione? Introiezione o estrinsecazione?
È forse il capitolo ultimo di una mente o all’opposto la sua rinascita?
Dubito vi sia unico significato e all’opposto s’ammira l’intento compiuto di fornire risposte molteplici con un solo quesito.
Cinematograficamente Bergman si supera con un bianco e nero estremamente contrastato che da solo crea volumi quando la profondita’ di campo pare tendere all’infinito eliminando ogni prospettiva alla scena.
Del resto la Ullmann e Andersson si fondono e s’immergono l’una nell’altra grazie all’ombra e nell’ombra emergono e si rituffano nei ricordi e nel presente, negli incubi e nelle certezze.
Signori, rispolveriamo il dibattito…
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