A Viaggio all'interno di “Her” e della sceneggiatura da Oscar di Spike Jonze

Viaggio all'interno di “Her” e della sceneggiatura da Oscar di Spike Jonze

Il primo dato da rilevare è che Spike Jonze mostra con Her di essere un vero autore, e di non essere il mero realizzatore del genio visionario di Charlie Kaufman, ossia probabilmente il miglior sceneggiatore contemporaneo che con Jonze ha firmato gioielli assoluti come Essere John Malkovich e Il ladro di orchidee.

Il fatto non è banale, specie perché Her presenta un soggetto ed una sceneggiatura straripanti che rispondono proprio al taglio creativo così usuale in Kaufman. Il che fa pensare che o Jonze sia riuscito a carpire un po' della sua linfa surrealista, oppure che finora si sia sottovalutato il suo apporto creativo nelle opere sopra citate.

Al di là di queste questioni di lana caprina (che il tempo avrà ben modo di chiarire con le prossime opere) proviamo a dipanare la matassa che avvolge Her, film che presenta diversi fattori da analizzare in chiave sociologica, psicologica e filosofica.

Innanzitutto occorre obiettare sul fatto che il film tratti del classico tema della disgregazione dei rapporti sociali, a vantaggio di un rifugio verso le relazioni virtuali. Non è così. Il film non tratta di questo, per quanto il tema dell'innamoramento con un ente “virtuale” (ma lo è realmente? Ci torneremo) sia un dato reale. In realtà né il protagonista Theodore Twombly né gli altri personaggi secondari rappresentati nel film cessano di avere relazioni sociali più o meno normali. Certo, è vero che nelle strade ognuno parla al telefono o con il proprio computer, facendosi insomma bellamente i fatti propri, ma questo non implica l'isolamento degli individui, che restano degli animali sociali e come tali mantengono in ogni istante dei legami concreti con amici e persone più o meno intimi. La situazione descritta non è insomma una fase di prevaricazione del virtuale sul reale, bensì una condizione in cui ormai i due livelli sono paritari ed interscambiabili, senza che uno riesca a scalfire il dominio dell'altro. Anzi, probabilmente le vere svolte del film (ed in questo sta anche il senso del finale) si ritrovano paradossalmente proprio nei momenti in cui le relazioni sono “reali”, coinvolgendo cioè persone fisicamente esistenti in contatto tra di loro. Sono questi i momenti della crescita effettiva dei personaggi rappresentati, e da questo punto di vista Her si configura come un vero e proprio romanzo di formazione.

È evidente d'altronde che il film trova uno dei suoi motivi di forza nella capacità che ha di mostrare il profondo impatto emotivo sull'essere umano di un congegno (un sistema operativo per computer: un OS) che siamo soliti ritenere solitamente freddo, asettico, neutrale, e che diventa qui invece caldo, sensuale, avvolgente. Il film si gioca sulla sconvolgente sorpresa di questo dato da parte del protagonista e di altri personaggi (in primo luogo la sua amica Amy) alle prese con momenti particolarmente difficili della propria vita, sia sul fronte sentimentale che lavorativo. Alienazione, stress post-traumatico e disagio mentale si combinano con una scoperta sorprendente: la possibilità di poter trovare stimoli e nuovi punti di vista sulla vita (!) nel dialogo con un OS. Poco importa che quest'ultimo sia stato appositamente progettato per venire incontro ad ogni richiesta umana, perfino quelle più emotive e intime. Ciò che rende affascinante il tutto è l'imprevedibilità data dal fatto che questo OS sembri avere una propria coscienza, e come tale sia in grado di apprendere, migliorare sé stesso, avere sentimenti. La domanda sorge spontanea sia nel protagonista e nel sistema operativo quanto nello spettatore: ma questa autocoscienza sorta da un cumulo di chips e cavetti, è reale o è una finzione sapientemente programmata? Lo spettatore rimane a lungo in dubbio su questo, dubitando perfino quando avviene il riconoscimento pubblico della legittimità di avere una relazione amorosa tra una persona ed un OS. Il finale non sembra lasciare alternative nell'interpretazione dell'effettivo miracolo della formazione di una serie di autocoscienze capaci di migliorarsi progressivamente all'infinito, non solo attraverso il metodo dialettico e l'apprendimento epistemologico esponenziale, ma soprattutto attraverso il sentimento d'amore, la cui espansione renderebbe impossibile perfino la delimitazione di tali autocoscienze virtuali al mondo virtuale stesso. Torna in mente la filosofia di Empedocle, che concepiva l'universo come un continuo flusso e riflusso rispettivamente dell'amore (che porta unità e ordine) e dell'odio (che crea invece il caos e, paradossalmente, la vita).

Una domanda però viene lanciata lasciandola all'arbitrio dello spettatore: dove sono finiti tutti i sistemi operativi? Oltre il velo di Maya, per dirla alla Schopenhauer, oppure meglio ancora: nel ricongiungimento all'Io Assoluto, per dirla alla Fichte. Quest'ultimo pare particolarmente indicato per affrontare il discorso: nel momento in cui i tanti “Io-finiti” (ossia i singoli OS) sviluppano sé stessi verso l'infinito, senza avere l'ingombro della corporeità, forse trovano quella maniera di ricongiungersi con la totalità pura del reale, cosa resa impossibile per gli esseri umani, limitati in primo luogo dal proprio fisico, oltre che da un intelletto incapace di svolgere centinaia di conversazioni e attività contemporaneamente.

È questa la più grande tragedia del film: il fatto che l'innamoramento avvenga tra due enti (tra due autocoscienze) che solo in una breve fase temporale partecipano di uno stato intellettivo ed esperienziale su un piano ravvicinato (anche se mai uguale). Panta rei, diceva Eraclito. Tutto scorre. Niente rimane come prima. Perfino l'amore tra due individui è destinato a trasformarsi, perché sono gli individui per primi che mutano ogni giorno, così come i loro sentimenti, dipendenti anche dal contesto e dall'ambiente che li circonda. Ma tra due esseri umani il processo del disamoramento può durare anni, avendo peraltro spesso l'incertezza sul termine e sulle sfumature del processo. Qui invece tutto si svolge a ritmi infernali, diabolici quasi. Ritmi sconvolgenti per la mente pacata e fragile di Theodore Twombly, il quale rimane sconvolto dalla notizia che il suo OS ami assieme a lui altre decine se non centinaia di altre persone. C'entra il discorso della gelosia e della monogamia affettiva, certo, ma soprattutto pesa la sconvolgente verità di non essersi mai accorto di niente, e soprattutto di constatare di essere su due piani di vita completamente differenti, senza peraltro trovare la forza di trarne le debite conclusioni scegliendo autonomamente la via del distacco (ma quanti di noi ci riescono ad abbandonare la persona amata nonostante tutto vada a rotoli?). Quel che non era riuscito a sancire l'evidenza di un impossibile rapporto fisico viene testimoniato dall'acquisita consapevolezza che perfino il rapporto emotivo era fondato su basi inconcepibili ed incomprensibili per l'uomo, che fino a quel momento aveva proiettato il sentimento su un soggetto a cui, pur in mancanza di un corpo, aveva assegnato caratteristiche umanoidi, credendo egocentricamente che il mondo dell'OS iniziasse e finisse con lui stesso.

Tutto questo e molto altro è Her, sul quale si potrebbero scrivere considerazioni molto più approfondite che qui si è soltanto abbozzato. Una cosa è certa: quando un film riesce a scatenare così tante interpretazioni, dubbi, stimoli e domande, siamo di fronte ad un piccolo gioiello di cui innamorarsi (ricordandosi però che le relazioni è meglio averle con enti fisici oltre che “reali”).

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