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7/10

Miracolo a Sant'Anna regia di Spike Lee

Guerra
recensione di Alessandro Pascale

Le indagini su un omicidio compiuto in un ufficio postale di New York, sono il pretesto per raccontare la storia dei soldati afroamericani appartenenti alla 92ª divisione Buffalo che combatterono lungo la linea gotica in Italia, intrecciando contatti con la Resistenza partigiana dipinta in maniera non sempre idilliaca.

Ha destato scandalo e rumore il film di Spike Lee ambientato in Italia durante la seconda guerra mondiale. Senza svelare troppa trama diciamolo pure subito il motivo, così ci togliamo il sassolino dalla scarpa: c’è un certo partigiano che non si comporta molto bene tradendo i compagni. Ops, che ho fatto! L’ho detto davvero? Ho detto che un partigiano si è comportato male? Caspita ma si può dire sui giornali? Non vorrei che Napolitano venisse a bacchettarmi con una mazza chiodata rammentandomi il valore storico della Resistenza. Io che ho ventitre anni suonati ovviamente non ho vissuto un periodo ormai remoto (fortunatamente mi vien da dire) eppure non ho certo bisogno di essere uno studente in storia contemporanea per capire che se oggi sono qui e posso scrivere, pensare, agire liberamente lo devo soprattutto alla Resistenza. E non posso certo non omaggiare quella massa ribelle che a un certo punto prese la via della montagna senza armi né cibo per portare un nuovo messaggio di riscatto all’Italia.

Tutto questo è OVVIO, direi; solo qualche fascistello da due soldi può dissentire sull’importanza del movimento partigiano. Ma siamo arrivati al punto che non si può neanche svolgere in santa pace un’opera di finzione artistica in cui una parte irrisoria di tale movimento non veste panni eroici e santi? Siamo arrivati al punto da dover mitizzare indiscriminatamente ogni persona che agisse al di fuori dalla legge e da una certa morale nel periodo 1943-45?

Credo ci sia ancora un po’ di barlume razionale che permette di distinguere nel film di Spike Lee quali sono i valori partigiani, le loro sofferenze, le loro idealità, e quali invece siano le deviazioni isolate ispirate più che altro da uno stato di guerra civile tra fascisti e antifascisti. Sangue, stragi, violenze efferate, sangue, battaglie, razzismo, ancora razzismo, troppo razzismo. Se non l’avete capito è questo il messaggio centrale di Spike Lee, il razzismo. E sai che novità, direte voi, è lo stesso da più di venti anni, dai tempi di Lola darling passando per Fa’ la cosa giusta e Malcolm X. Verissimo! Però quanto continua a stupire il vecchio Spike? E comunque mai come ora appare attuale in Italia (in America meno, come dimostra il fattore Obama), il Bel Paese che di colpo alle soglie del nuovo millennio si scopre intollerante e xenofobo.

Ma no, fermiamoci qua per carità, niente attualità politica che di ideologie ce ne sono già troppe in Miracolo a Sant’Anna: come in quella scena in cui tutti, tedeschi, neri, soldati, civili, fascisti, preti, contadini si trovano uniti dal messaggio universale della preghiera e della speranza in Dio. Commovente. Magari un po’ stucchevole però. Molto meglio gli sguardi fissi in camera dei neri incazzati, trucchetti ormai trentennali (li usava già Fellini in Amarcord) ma che Lee carica di una forza evocativa incredibile. E come rimanere impassibili di fronte a una scena tremendamente inquietante come quella della strage attuata dai nazisti? Nessun appello per loro. Eppure spiragli per i tedeschi e per certi fascisti popolani. A volte stanchi individui incapaci di tollerare ulteriori bestialità, a volte semplici abitudinari attaccati a vecchi valori più o meno anacronistici (la grandeur o la pagnotta…).

Ne escono male i bianchi in definitiva, anche e soprattutto gli americani, che trattano da scimmie i compagni d’arme di colore e magari si rifiutano di servirli al bar a scapito di prigionieri nazisti. Ma al di là dei messaggi politici e sociali Spike Lee è davvero riuscito a costruire un piccolo capolavoro, capace di spaziare tra le tette di Valentina Cervi, scene neorealistiche di vita quotidiana, riuscitissimi ritratti di guerra che incrociano Vietnam-style e crudezza di spielberghiana memoria (Salvate il soldato Ryan), incantevoli elementi fiabeschi e una trama certo non banale con un finale che non ti aspetti.

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Voto degli utenti: 5/10 in media su 6 voti.

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Victor Baia (ha votato 4 questo film) alle 14:50 del 28 aprile 2009 ha scritto:

Imbarazzante

Dialoghi di una banalità sconcertante, scene al limite del ridicolo e un soggetto totalmente inverosimile. Il presunto revisionismo di quest'opera è l'ULTIMO dei problemi di un film pretenzioso e realizzato pessimamente. Da Spike Lee ci si aspetta ben altro. Un 4 solo perchè sappiamo che uno come lui può fare di meglio e speriamo che questa sia solo una breve parentesi.