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8/10

Jimmy's Hall regia di Ken Loach

Politico
recensione di Alessandro Pascale

Nel 1921, in un'Irlanda sull'orlo della guerra civile, Jimmy Gralton aveva costruito nel suo paese di campagna un locale dove si poteva danzare, fare pugilato, imparare il disegno e partecipare ad altre attività culturali. Tacciato di comunismo era stato costretto a lasciare la propria terra per raggiungere gli Stati Uniti. Dieci anni dopo Jimmy vi fa ritorno e sono i giovani a spingerlo a riaprire il locale. Gralton è inizialmente indeciso ma ben presto cede alle richieste. Chi gli era stato ostile in passato torna a contrastarlo.

Ken Loach ci riporta nelle verdi terre d'Irlanda. Stavolta non per raccontare la violenza dell'imperialismo britannico (vedi il gioiello pluripremiato Il vento accarezza l'erba, 2006) ma per narrare una storia di pura lotta di classe tutta interna al popolo irlandese. Siamo negli anni '30: la guerra contro gli inglesi è ormai soltanto un ricordo amaro per gli irlandesi, concluso con un compromesso siglato dall'IRA giudicato da molti insoddisfacente. L'ala più combattiva del movimento indipendentista, quella comunista, non rinuncia però a coniugare il proprio impegno patriottico con quello sociale, continuando la battaglia contro i settori più prepotenti della borghesia locale. Sono gli anni in cui in Europa impera il nazifascismo, con una conflittualità che si estende a tutta l'Europa (si ricordi a riguardo l'altro capolavoro di Loach ambientato in Spagna: Terra e Libertà, 1995). Anche in un paese marginale e periferico dell'Europa quale l'Irlanda i contadini, che si trovano per di più alle prese con le durissime conseguenze socio-economiche della crisi capitalistica mondiale del 1929, cercando di sopravvivere, superare le sconfitte del passato e ritrovare un motivo di piacere nella riaggregazione sociale, simboleggiata dalla Jimmy's Hall, un centro sociale ante-litteram gestito direttamente dagli abitanti di un piccolo paese di campagna, dove poter ballare, studiare, imparare a suonare strumenti musicali e più in generale svolgere attività utili socialmente per creare momenti di svago in una vita acerba e priva di floride aspettative. A contrastare però tali progetti è la Chiesa cattolica, nell'azione del vescovo locale, Padre Sheridan: un burbero e gretto anti-comunista ossessionato dai pericoli insiti nell'azione emancipatrice del marxismo, incarnato qui nella figura del protagonista James Gralton, un comunista tornato in patria dopo un esilio durato dieci anni negli USA. Di fatto l'opera è una rielaborazione del Footlose (1984) di Herbert Ross, da cui riprende il tema anticlericale. Loach però spinge sull'acceleratore e assieme allo sceneggiatore Paul Laverty carica il soggetto politicizzandolo all'estremo, legando l'azione reazionaria e oscurantista del clero all'alleanza con la privilegiata classe proprietaria borghese, difesa e sostenuta a sua volta dalle squadre fasciste. Loach ricorda insomma il classico blocco sociale-criminale (borghesia-clero-fascismo) giudicato responsabile di un'ingiustificabile serie di violenze e soprusi tesa a fermare le conquiste sociali della classe proletaria ridotta alla fame. L'impegno politico alla base della gran parte dei film di Loach raggiunge qui una delle sue vette più esplicite e dichiarate, tesa quasi ad indicare agli odierni europei alle prese con l'altrettanto dura crisi capitalistica del 2007-08 quali siano da sempre i nemici storici degli oppressi contro cui occorra combattere. Ma al di là della questione politica, pur centrale dell'opera, emerge la solita consueta raffinatezza nella rappresentazione dei drammi individuali, nella costruzione psicologica di personaggi sfumati e schiettamente campagnoli, nella ricostruzione e valorizzazione di usi, tradizioni e folklore popolare, oltre che nella tenue messa in scena di una tragedia sentimentale di un amore irrealizzabile a causa della stessa questione politica. Quest'ultimo tema, che potrebbe sembrare secondario e marginale, assume in realtà valore proprio nella volontà del regista di legarlo al problema politico: Loach afferma che senza un impegno attivo nello sviluppo della propria comunità anche la felicità individuale va a risentirne. Che non solo quindi “il personale è politico” ma che soprattutto “il politico è personale”, ossia va a influenzare in maniera preponderante le singole vite di ogni essere umano, impedendone la propria piena realizzazione in ogni aspetto, non solo quindi in quello economico-sociale. Un'opera potente, questa di Loach. Un film politico come in Occidente non se ne vedevano da anni.

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alexmn 4/10

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alexmn (ha votato 4 questo film) alle 17:58 del 22 dicembre 2014 ha scritto:

ne sono uscito parecchio deluso. non mi era mai capitato con loach. storia interessante, ma sceneggiata e girata in modo tale da risultare disinnescata, al limite del noioso. la colpa credo sia anche del protagonista, per me poco empatico e con una faccia più televisiva che cinematografica.