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5/10

Defiance regia di Edward Zwick

Thriller
recensione di Alessandro Pascale

Nel 1941 nel pieno della seconda guerra mondiale la Germania invade l’Unione Sovietica mietendo successi straordinari e conquistando gran parte dell’Est Europa, tra cui la cui la Polonia e l’attuale Bielorussia. Un gruppo di ebrei polacchi si rifugia nelle foreste per salvarsi dalle deportazioni e fucilazioni operate dai nazisti. Sono i quattro fratelli Bielski che in breve si troveranno a capo di una piccola e tenace comunità di ebrei che sceglierà di resistere nascondendosi e combattendo.

Un film sui partigiani. Un altro? Sì signori, però stavolta c’è una novità: i partigiani in questione sono ebrei. Il che non è certo una cosa da poco se consideriamo che il novanta per cento di film che combina l’argomento ebrei a quello della seconda guerra mondiale tratta inesorabilmente del grande orrore della “soluzione finale” nazista. Edward Zwick (in passato film come L’ultimo dei Samurai e Blood Diamond) porta sullo schermo una storia vera raccontata da Nechama Tec nel libro Defiance, gli ebrei che sfidarono Hitler. Un’opera sorprendente che narra come un gruppo di fratelli, stravolti dalla rabbia, dall’istinto di sopravvivenza e dalla voglia di vendetta, sia riuscito a scappare e creare una piccola brigata di resistenza tra le foreste dell’attuale Bielorussia, in parziale collaborazione con una brigata di guerriglieri sovietici.

Non so voi d’altronde, ma io me lo sono chiesto spesso come mai gli ebrei confinati nei vari ghetti e campi non abbiano avuto la forza e/o la volontà di prendere in mano le armi come qui fanno i fratelli Bielski. Nel film la spiegazione apparente che pare essere risuonata nei vari ghetti è quella di un’incredulità assoluta per il progetto hitleriano di eliminazione totale della razza. Un po’ pochino come spiegazione forse, ma d’altronde non così implausibile per un popolo che era abituato da secoli a persecuzioni e maltrattamenti di vario tipo. In ogni caso se proviamo a spogliare il film del carattere di “eccezionalità” dato dal motivo ebraico rimane ben poco di cui godere.

Avremo infatti un altro discreto e tutto sommato convenzionale film di guerra, in cui la trama appare fin troppo convenzionale sia per ciò che concerne le questioni belliche (il susseguirsi di piccole vittorie contro i tedeschi), sia per quelle amorose (lo sbocciare sistematico e strutturale di amori timidi e a lieto fine), sia infine per quelle del “politically correct”, che tendono a equiparare di fatto gli opposti totalitarismi nazista e sovietico (pur con un netto accento di gravità sul primo). Non siamo insomma ai livelli del Katyn di Wajda ma emerge nettamente quanto meno il clima ideologico per lo più tipico degli anziani che non vedevano salvatori né ad est né ad ovest, entrambi orizzonti storicamente portatori di persecuzioni.

Daniel Craig è sicuramente un personaggio ideale per interpretare il capo partigiano per eccellenza, eroe che si erge sopra nemici (interni ed esterni), malattie e difficoltà di vario tipo. Più che un contadino appare un politico illuminato, capace di misurare con sapienza quando alzare la voce, quando ascoltare il rabbino, quando l’intellettuale, quando prendere le armi e via dicendo. Un personaggio talmente idealizzato da apparire estremamente irreale insomma, con tanto di momenti epico-patetici come il discorso alla comunità fatto dalla sella di un maestoso cavallo (Napoleone docet).

Questa patina di esagerazione trova il suo apice nell’attraversamento della palude, in un restyling religioso che aggiorna il mito di Mosè in maniera davvero grossolana, oltrettutto con tanto di maturazione personale di uno dei fratelli Bielski che fino a quel momento si era dimostrato un personaggio decisamente minore e incapace. Tutto va nel verso previsto insomma, e il film scorre via senza grandi sorprese, con un Zwick che ci mette il suo mestiere, con una fotografia talvolta tendenziosa (vedi le nevicate “sospese” nell’aria) ma suggestiva, e una rappresentazione realistica della violenza ormai tipica del cinema di guerra contemporaneo. Niente di che insomma, Defiance è un film buono per le scuole e per chi volesse un corrispettivo lineare del libro della Nechama Tec. È mancata la trasposizione cinematografica quindi, e vien da dire che sia mancato anche un certo coraggio nella scelta di modificare in maniera più intrigante la sceneggiatura.

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