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8/10

Talk Radio regia di Oliver Stone

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

La storia fa perno sul conduttore radiofonico Barry Champlain, star di “Voci della notte”, programma radiofonico a telefono aperto su un'emittente locale. È il ritratto sfaccettato di un personaggio contraddittorio, affascinante ed egocentrico. È anche un'immersione allucinante nell'odierna America amara e un'analisi eccitata dell'odio razziale e antisemita. Barry si attira una larga schiera di fan ed una ben più larga sfilza di nemici, tra i quali un gruppo neonazista che non vede di buon occhio la sua attenzione verso le minoranze razziali, gli omosessuali ed il fatto che egli è di confessione ebraica.

mostra spoiler

Il gruppo inizia a minacciarlo, prima mandandogli un topo morto via posta, in seguito inviandogli lettere minatorie allo studio dove lavora. Allo studio arriva la proposta di essere trasmesso in diretta nazionale, per via dello strepitoso aumento di audience dell'ultima settimana. Ovviamente Barry accetta, ma il fatto di lavorare a contatto con giovani sbandati, estremisti di destra ed emarginati lo mette sempre più sotto pressione: si aggiunge a questa serie di fattori anche il fatto che l'ex-moglie è appena giunta in città. Barry inizia a diventare sempre più scontroso nei confronti del pubblico, continua a ricevere chiamate da parte del gruppo neonazista e riconquista l'ex-moglie, che sembra quasi tormentarlo con i suoi discorsi iperretorici. A questo punto, sotto pressione da tutte le minoranze che ha sempre aiutato, si sfoga e inizia un lungo monologo in cui riverserà tutto l'odio verso la gente che ha sempre tentato di aiutare e che lo sta facendo ammalare. Alla fine di questo, esce dalla stazione radio, raggiungendo il massimo dell'audience, accontentando il titolare dell'emittente e la sua ragazza. Fuori dalla stazione, viene raggiunto dal neonazista che lo uccide. Il giorno dopo, alla sua morte, tutte le persone che lo detestavano, inneggiano a suo favore e lo decorano come un eroe dell'epoca della telecomunicazione.

Datemi un locale interno addobbato a studio radiofonico, un attore emergente (Eric Bogosian) che mi aiuti anche a sistemare la sua opera teatrale da cui è tratto il film, tre-quattro comparse di lusso (Alec Baldwin, John C. McGinley) a contorno e una fucina micidiale di battute e parole in piena, da non permettere allo spettatore di prender fiato. Ecco, datemi tutto questo, e io, Oliver Stone, vi tirerò fuori un capolavoro, ovviamente “impegnato” e progressista, facendovi spendere praticamente solo due soldi.

Lontani dall’imperioso affresco bellico di Platoon e dall’altrettanto grandiosa inquadratura mirabile della finanza americana di Wall Street, Stone con Talk radio sposta il mirino sui temi dell’antisemitismo, del neonazismo, del ruolo dei media nell’influenza dell’opinione pubblica e del declino etico della civiltà moderna. Antisemitismo e neonazismo corrono di pari passo ovviamente, e alla fin della fiera sono forse la parte meno interessante e ricca di spunti dell’opera, essendo un elemento che lascia assai poco spazio per la riflessione, quanto piuttosto la sola amara costatazione che di idioti in giro ce n’è sempre in abbondanza.

È interessante però notare il legame che viene a crearsi tra pubblico conservatore-reazionario e la star radiofonica Barry Champlain, ebreo progressista antipatico, saccente e arrogante ma dotato di una cultura e di una parlantina tale da affascinare per lo stile schietto e solido. Tutti lo odiano eppure tutti lo ascoltano. E in molti lo chiamano per insultarlo, per minacciarlo, per contrastarlo. È questa la perversità della situazione, messa più volte in rilievo dallo stesso Champlain-Bogosian: se non mi sopportate perché mi ascoltate? E perché chiamate? È questo il succo dell’opera: la denuncia del declino etico e democratico di una civiltà che rifiuta il contraddittorio, disprezzando anzi profondamente il suo più illustre rappresentante, ma che al tempo stesso abbisogna di questo “nemico”, per rafforzare la propria comune identità, far fronte comune, trovare motivo della propria esistenza e portare avanti una relazione che ha tutti i tratti della perversione masochistica.

La radio diventa quindi un media totalmente ostile e “caldo” nella misura in cui riesce ad accendere passioni forti solo in senso negativo, aizzando l’odio e l’ostilità. Solo con la scomparsa di Champlain i toni tornano a farsi pacati, con la colpevolizzazione collettiva e il rimorso per la scomparsa di un personaggio brillante e sagace. In un certo senso il percorso di Champlain sembra quello di un messia incompreso che accetta e quasi ricerca inconsciamente il martirio per salvare un popolo che finge di disprezzare profondamente ma che in realtà cerca invano di scuotere dal letargo con un misto di paternalismo e denigrazione.

Ma quanto durerà il risultato di questa espiazione? E quanto impiegheranno i topi neonazisti ad alzare la testa ed uscire di nuovo dalle fogne? A queste domande purtroppo non c’è risposta. Rimane solo lo splendido monologo di un superlativo Begosian la cui enfasi e oratoria si sono meritati un ritaglio importante nella storia del cinema. Riascoltare tale discorso e prenderne coscienza quotidianamente forse è la solita unica risposta che si può dare alla decadenza dei popoli: la cultura come richiamo alla civiltà.

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