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8/10

Full Metal Jacket regia di Stanley Kubrick

Guerra
recensione di Alessandro Giovannini

L'addestramento di un plotone di marines nel campo militare di Parris Island e la missione al fronte vietnamita.

Ovvero: la più disastrosa delle guerre moderne come monito antimilitarista e come atto d'accusa alla disumanizzazione dell'individuo da parte dell'istituzione militare.

Quello che è forse il più pessimista dei film di Stanley Kubrick si apre con una scena emblematica: la rasatura a zero dei ragazzi che entrano nel campo di addestramento. La spersonalizzazione dell'individuo e la sua trasformazione in macchina (di morte) è il tema principale della prima metà del film, dominata dalla celebre figura dell'istruttore Hartman (Lee Ermey). Giunti in Vietnam, nella seconda parte della pellicola, si assiste alle imprese militari di un plotone cui Jocker, fotoreporter di guerra, si unisce per registrarne l'azione e scrivere i suoi articoli. Questa parte, francamente più noiosa della prima, vede come già in Orizzonti di gloria i soldati combattere contro il nulla (il nemico non si vede praticamente mai, se non da lontanissimo) per una causa a loro sconosciuta. Film che ha per protagonisti tutti e nessuno (Lo stesso soldato Jocker, voce narrante del film, non è che una delle tante marionette mosse dal burattinaio del potere militare e politico), nettamente diviso in due parti come già accadeva in 2001: odissea nello spazio (che per la verità è diviso in tre), Barry Lyndon, Orizzonti di gloria e Arancia meccanica, supportato da un'accattivante colonna sonora che attinge alle canzoni dell'epoca, caratterizzato da un uso ripetuto della telecamera a spalla che segue i soldati facendoci protagonisti dell'azione assieme ad essi, ricco di momenti suggestivi fra cui uno splendido finale che mostra la coincidenza della raggiunta maturità dei soldati con una regressione infantile, costruito sotto il segno dell'ambiguità della persona (la scritta "Born to kill" sul casco di Jocker compensata dalla spilla col simbolo della pace), è un film che lascia ben poche speranze di riscatto per l'umanità, precipitando in un baratro di cosmico pessimismo.

Qualche scompenso nella generale asetticità dello sguardo registico, più concentrato nella composizione dell'immagine che interessato ai suoi personaggi: nonostante i nobili intenti, Kubrick dà l'impressione di voler creare, ancor prima di un film di contenuto, un film che sia esteticamente bello da vedere. Generalmente il regista viene criticato per la sua freddezza: sebbene io non appoggi tale critica per il cinema Kubrick-iano tout-court, l'accusa mi pare giustificata in particolare nei confronti di questo film. Sebbene ciò possa dipendere da una precisa scelta registica, il grado di coinvolgimento di Full Metal Jacket non è molto elevato, almeno per il sottoscritto.

Rimane potente l'assunto del film (esplicitato in un altro film sul Vietnam, Platoon di Oliver Stone): in Vietnam gli americani non hanno perso, bensì si sono persi.

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Voto degli utenti: 9,1/10 in media su 9 voti.

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