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6/10

Chained regia di Jennifer Chambers Lynch

Thriller
recensione di Alessandro Giovannini

In un'area rurale degli Stati Uniti, un padre di famiglia saluta moglie e figlio di nove anni, che stanno per andare al cinema, con la raccomandazione di prendere un taxi al loro ritorno, preferibile all'autobus. Seguendo il suo consiglio, i due entrano nel primo taxi libero che vedono. L'autista (Vincent d'Onofrio) si rivela essere un serial killer psicopatico: uccide la donna e segrega il piccolo Tim in casa, incatenandolo ad una branda e ribattezzandolo Rabbit. Da quel giorno fatidico Rabbit passerà tutta la sua esistenza a servire il suo nuovo padre-padrone.

Ricorrendo a suggestioni paterne (la scenografia della casa, con le sue lampade soffuse, in cui la steadycam si aggira fluttuante nella breve scena pre titoli di testa; il nomignolo Rabbit che richiama alla mente la Web-series Rabbits) Jennifer Lynch rappresenta una storia grottesca che purtroppo ha avuto diversi riscontri nella realtà: casi eclatanti di cronaca ci hanno spesso dimostrato che la realtà supera l'immaginazione. Ciononostante si fa fatica a volte a prendere sul serio questo film, specie nel colpo di scena finale, che pare davvero un po' esagerato.

Chained si focalizza sugli abusi degli adulti nei confronti dei minori, sia a livelli eclatanti come la vicenda mostrata in questo film, sia a livello più generale: i bambini sono spesso vittime innocenti degli sfoghi di genitori o adulti in genere che, incapaci di far fronte a situazioni della loro esistenza, scaricano stress e frustrazioni su chi è impossibilitato a difendersi. Questo non fa altro che far crescere il numero di bambini complessati, traumatizzati e costretti a convivere con psicofarmaci già in tenera età. Da vittime rischiano poi di diventare carnefici, proprio come il killer (a sua volta vittima di violenze domestiche) del film cerca di addestrare il piccolo Rabbit a diventare come lui. Se la psicologia del killer non è molto approfondita (qualche monologo farneticante e brevi flashback onirici bastano a chiarire il suo quadro clinico), quella di Rabbit è meglio riuscita: la sua crescita mentale è per molti versi rimasta ferma ai nove anni, età in cui è stato rapito, dato che da allora non è più uscito di casa e non ha fatto alcun tipo di esperienza umana. Rabbit conserva molte caratteristiche dei bambini: remissivo e docile nei confronti degli ordini superiori, eppure volenteroso e coraggioso come pochi adulti, perchè non ha mai conosciuto il compromesso.

In film in sè eccede in enfasi truculenta, sacrificando un po' troppo questa dimensione psicologica che pure riesce a passare. La regia indugia spesso su dettagli macabri, che dopo un po' finiscono per non impressionare nessuno, e l'ultima parte da thriller canonico mortifica gli intenti di originalità messi in campo fino a quel momento. Retto principalmente sull'interpretazione di d'Onofrio, lucidamente folle, Chained è un rape&revenge dove il "rape" è tutto psicologico: è la rovina di un'innocenza, trasformata in qualcosa di abominevole.

Buona la fotografia, nitida e sovente grandangolata; un po' anonima la colonna sonora.

 

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Marco_Biasio (ha votato 5 questo film) alle 14:15 del primo dicembre 2012 ha scritto:

Mai piaciuta, Jennifer. Per me, con la sceneggiature, ci sa fare proprio poco. Questo film parte da buoni presupposti ma si accartoccia subito. Colpo di scena finale, come dici giustamente tu, inverosimile. Di sicuro niente a che vedere con il padre.

alejo90, autore, alle 18:02 del 2 dicembre 2012 ha scritto:

non ho visto il suo tanto criticato esoridio Boxing Helena...ma questo film non mi invoglia a vederlo. Purtroppo la mediocrità è il destino che accomuna molti figli d'arte.