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10/10

Apocalypse Now - Redux regia di Francis Ford Coppola

Guerra
recensione di Maurizio Pessione

Nella fase più acuta della guerra in Vietnam, il colonnello americano Kurtz sembra impazzito. Sì è proclamato monarca di alcuni indios e disperati nel mezzo della foresta al confine con la Birmania e con una radio lancia messaggi denigratori riguardo la politica degli USA e le sue finalità. Il comando generale USA incarica il tenente Willard di raggiungerlo ed eliminarlo in una missione che, ufficialmente, non esiste. Il viaggio lungo il fiume Mecong sarà come una discesa verso l’inferno, nel quale appaiono tutte le storture, le aberrazioni, le devastazioni e le conseguenze, anche a livello psicologico che la guerra, ogni guerra, genera nell’uomo. L’incontro fra Willard e Kurtz è uno scontro di personalità che, da fisico ed ideologico, si trasforma in horror metafisico ed allegorico.

 

Ci sono film che rappresentano, già nel titolo, il cinema in toto, come fossero biglietti da visita. Basta nominarli per avere immediatamente l’idea di un genere, un’epoca, un evento, ancor più, in certi casi, della realtà stessa della quale sono metafora o rievocazione. Apocalypse Now è una di queste opere.

Uscito nel 1979, successivamente rieditato in una versione Director’s Cut e quindi ulteriormente rivisto oltre venti anni dopo in quest’ultima, denominata Redux, che significa in pratica ‘ritorno’, contiene quattro sequenze in più che erano state tagliate originariamente in sede di montaggio per dare maggiore fluidità al racconto e soprattutto per non far durare troppo il film rispetto alla media. Non è una pratica consueta quella di riproporre versioni diverse della stessa opera ed avviene generalmente in due casi: per sfruttarne ulteriormente l’immagine e quindi gli introiti, dato il richiamo di quel particolare film nella memoria collettiva, oppure per completarlo e riproporlo, come non era stato possibile a suo tempo e renderlo ancora perciò, se possibile, più significativo. L’incognita quindi quando si affronta una versione Director’s Cut oppure Redux di un capolavoro come questo sta proprio in tale dualismo: è meglio o peggio della edizione originale? È stato arricchito il suo significato, la sua forza espressiva rispetto alla prima versione, oppure è stato appesantito o, peggio ancora, stravolto?

Le quattro sequenze che sono state aggiunte sono le seguenti: prima, quella che culmina con il furto della tavola da surf durante la celeberrima scena dell’attacco al villaggio accompagnati dalla musica della Cavalcata delle Valchirie di Wagner; seconda, l’intermezzo sex con le veline di Playboy durante la risalita del fiume Mecong per raggiungere il colonnello Kurtz; terza, la lunga scena dell’incontro e la gelida cena nella piantagione dei coloni francesi, durante la quale vengono alla luce alcune tensioni e considerazioni che riguardano la presenza storica di alcune nazioni occidentali del sud-est asiatico; quarta, l’articolo di Time Magazine che il colonnello Kurtz legge a Willard sulle distorsioni informative che vengono fornite al popolo americano a proposito dell’evoluzione della guerra in Vietnam.

È veramente difficile per chiunque abbia contatti, anche occasionali, con il cinema non conoscere la fama di Apocalypse Now e quello che racconta. Sintetizzando al massimo, la vicenda si svolge in Vietnam, al confine con la Cambogia, durante la guerra che porterà alla prima sconfitta degli americani e la conseguente precipitosa fuga, incalzati dai Vietcong di Ho-Chi-Minh. E la guerra in questo caso è anche il pretesto per formulare un atto d’accusa riguardo il cinismo della politica in generale e le distorsioni, a livello psicologico, materiale e fisico che comporta nelle vittime civili, ma pure negli stessi militari, trasportandoli in una realtà parallela alla vita di normale relazione. Le regole ed i principi etici a quel punto non esistono più, sostituiti da puro istinto di sopravvivenza o da forme di degrado psico-fisico in base alle quali la persona ritorna allo stato bestiale, oltrepassando a volte il baratro del non ritorno e della capacità di adattamento. Per cui alcuni, pur inviati in licenza a casa, non vedono l’ora di tornare al fronte sentendosi oramai estranei alla normalità e non potendo più fare a meno, per assurdo, di certe sensazioni e situazioni, come fossero una sorta di droga che determina assuefazione e crisi di astinenza. Il capitano Willard è proprio uno di questi uomini confusi, ma è capace nel suo mestiere, non nuovo ad operazioni ‘sporche’ e viene perciò incaricato dai servizi segreti americani di rintracciare ed eliminare, in una di quelle missioni che ufficialmente non esistono, il colonnello Kurtz.

Un militare modello, sino ad un certo punto il quale, scalando tutte le gerarchie, avrebbe potuto puntare addirittura ad arrivare ai massimi vertici e si è trasformato invece, dopo essere entrato nei reparti speciali in Vietnam, dapprima in un contestatore della politica e della ideologia americana e quel che è peggio, in seguito, in una sorta di autoproclamato monarca nella giungla cambogiana. E da allora decide della vita e della morte dei tanti disperati che gli stanno intorno, indios in particolare, che lo idolatrano come fosse un dio, mentre lancia occulti e deliranti messaggi via radio, imbarazzanti per l’establishment militare. Il timore di chi non riesce più a controllarlo è però più marcato e contradditorio di quello che potrebbe sembrare, poichè Kurtz non solo è un pericoloso testimone di segreti militari, ma da primo della classe non può avere avuto solo una inaspettata crisi depressiva o di coscienza. E poi, soprattutto, nei comportamenti non è peggio di altri comandanti che operano ancora sul campo, senza morale e con atteggiamenti dissennati, come ad esempio il tenente Kilgore che ama, come dice lui stesso, l’odore del napalm la mattina presto e, per organizzare una sessione di surf con una recluta capitata casualmente al suo comando, suo idolo in questo sport, non esita a distruggere un inerme villaggio, senza scomporsi neppure di fronte alla perdita di un suo elicottero ed i soldati che lo occupavano.

Francis Ford Coppola, all’epoca reduce dal doppio Padrino, ha realizzato in questo caso un’opera che tocca vari livelli, di contenuti, prima ancora che estetici o di denuncia e che appare attuale nonostante il tempo trascorso da allora. Chi ha visto recentemente The Hurt Locker ad esempio, può ritrovare lo stesso imbarbarimento nei protagonisti, la stessa crisi di identità e di frustrazione nei soldati americani impiegati in Iraq rispetto a quelli in Vietnam 40 anni prima. Ed è facile intuire che la dura lezione appresa allora non è stata sufficiente per evitare di ripetere gli stessi errori oggi, sia nel merito che nel metodo. Ma forse, per chi muove i fili, tutto questo fa solo parte del gioco ed è l’inevitabile ma anche risibile prezzo da pagare per soddisfare la sete di potere.

Lei è un galoppino mandato qui dal droghiere ad incassare i sospesi’. È la sentenza che il colonnello Kurtz (un Marlon Brando statuario ed indimenticabile nella sua lucida follia, che il suo personaggio definirebbe piuttosto di raggiunta consapevolezza e rottura dagli usuali schemi) dà al capitano Willard (bravissimo anche Martin Sheen, l’opposto di Kurtz persino nel fisico) a proposito della missione che è stato incaricato di portare a termine e per la quale il colonnello si aspettava, prima o poi, qualcuno che venisse a cercarlo per metterla in atto. Il sottile e sofferto confronto fra i due militari, di personalità, prima ancora che nei rispettivi ruoli, trasforma il film ad un certo punto in una sorta di horror metafisico evidenziato e scandito dal parallelismo, anche nella dinamica, fra l’esecuzione del bovino da parte degli indigeni e quella di Kurtz, preceduta dall’ostinato tentativo di piegare Willard alla sua ‘verità’, con un senso di onnipotenza spinto sino alla perdita del contatto con la realtà, che sprofonda addirittura nell’idolatria. Eppure Kurtz, che potrebbe facilmente eliminare Willard se solo lo volesse, non solo lo risparmia, ma ne agevola infine persino il compito, offrendosi appunto come un agnello sacrificale, esaurito da una lotta senza ulteriori prospettive. Una parte dell’opera tuttora di grande impatto emotivo.

Se la sequenza del surf inserita in questa edizione Redux è grottescamente drammatica, quasi comica, marcatamente esagerata nei termini, con il tenente Kilgore che insegue Willard ed i suoi con un elicottero per farsela restituire, giusto per evitare una figuraccia al ritorno alla base, ed invece quella dell’incontro amoroso con le conigliette di Playboy nulla aggiunge a quanto il film sta cercando di esprimere, le altre due: il lungo incontro con i coloni francesi, limitatamente alla cena e la lettura di Kurtz a Willard dell’articolo del Time Magazine sono molto importanti e funzionali nel contesto dell’opera, aggiungendo nuovi risvolti più marcatamente politici sulle finalità di quella guerra ed il ‘malsano’ comportamento del colonnello, come lo definisce all’inizio il comandante che incarica il tenente di sopprimerlo.

Alcune scene di Apocalypse now sono da tempo oggetto di cult: su tutte quella già citata ed in Redux persino dilatata nei tempi, del tenente Kilgore, interpretato da un grande Robert Duvall, che usa gli elicotteri dell’esercito americano come fossero soldati nordisti a cavallo lanciati contro i pellerossa, a suo uso e servizio perciò, senza limitazioni e con l’arroganza tipica del despota che non deve dar conto a nessuno delle sue azioni, ‘gasato’ dalla musica impressionante delle Valchirie e che idealmente sostituisce i trombettieri di tanti film western. Quindi quella che vede i soldati ballare sulla motovedetta, lungo la risalita del fiume, sulle note di Satisfaction dei Rolling Stones, pur in un contesto di guerra e di morte, a discapito di ogni rischio personale, laddove ogni momento è buono per essere attaccati. Un’atmosfera che è l’esatto contrario di quello che la musica, quella musica, vorrebbe significare ed esprimere. Lo spettacolo delle conigliette che si esibiscono davanti al pubblico dei soldati come se fossero in uno show qualsiasi in territorio americano, anzichè in mezzo alla foresta lungo il Mecong, metafora dell’illusione e della mistificazione. Ed infine, ma è giusto per non farla troppo lunga, l’arrivo a destinazione dell’imbarcazione di Willard ed i suoi, con gli indios schierati sulle canoe a fare da sentinelle e la visione spettrale, con i numerosi cadaveri e persino i teschi sparsi intorno alla ‘tana’ dove regna Kurtz e nella quale l’unico segno di normalità, se così si può dire, è rappresentato dalla figura del pazzoide fotoreporter, interpretato da Dennis Hopper, in un teatro degli orrori che nessuna foto potrà mai immortalare appieno nella sua drammatica e macabra ritualità.

Impressionante  dal punto di vista dell’impatto visivo e delle musiche, con Apocalypse now, Redux o meno, Francis Ford Coppola ha realizzato uno dei suoi massimi capolavori, grazie anche all’uso accurato delle inquadrature e dei primi piani, che arricchiscono, se possibile, la storia ed i contenuti. Un’opera che, rivista oggi a distanza di 30 anni dalla sua uscita, non perde nulla della sua efficacia, sia dal punto di vista della rappresentazione che dei contenuti. Una curiosità: il militare che affianca il comandante che affida la missione a Martin Sheen, altri non è che un giovane Harrison Ford poco prima di diventare famoso come protagonista nei panni di Indiana Jones.

 

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Voto degli utenti: 9,7/10 in media su 14 voti.

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Peasyfloyd (ha votato 10 questo film) alle 1:11 del 19 febbraio 2011 ha scritto:

il mio film preferito

che altro aggiungere di più? Il bravissimo Maurizio ha detto tutto quel che bisognava dire! Forse un accenno a Cuore di Tenebra di Conrad, testo fondamentale per ispirare la sceneggiatura, l'avrei fatto. ma sono inezie.

Marco_Biasio (ha votato 9 questo film) alle 15:51 del 19 febbraio 2011 ha scritto:

Recensione impressionante, Maurizio, i miei complimenti. Il film l'ho sempre trovato di un'angoscia inesprimibile.

fabfabfab (ha votato 9 questo film) alle 14:38 del 22 febbraio 2011 ha scritto:

Mi associo ai compliementi per la recensione...

dalvans (ha votato 10 questo film) alle 0:15 del 12 ottobre 2011 ha scritto:

Epocale

Il terzo capolavoro di Coppola