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7/10

Wall Street regia di Oliver Stone

Drammatico
recensione di Dmitrij Palagi

Bud Fox (Charlie Sheen) è un broker disposto a qualsiasi sacrificio per raggiungere successo e gloria nel mondo della finanza. A seguito di perseverante ostinazione ottiene un colloquio con lo squalo della borsa Gordon Gekko (Michael Douglas), idolo degli yuppie di New York. Sacrificando la moralità insegnatali dal padre (Martin Sheen), operaio sindacalista integerrimo, Bud ottiene la strada del successo, conquistando fama, denaro e la donna ideale. Il sogno si interrompe quando entra in gioco la compagnia area per cui lavora il padre. Lo scontro tra economia reale e finanza, tra speculazione e lavoro è messo in scena attraverso attori di alto spessore, che cercano di personificare una realtà limitata, per i più,  agli schermi televisivi dei telegiornali.

Il più ricco 1% del paese possiede metà della ricchezza del paese, 5 trilioni di dollari. Un terzo di questi viene dal duro lavoro, due terzi dai beni ereditati, interessi sugli interessi accumulati da vedove e figli idioti, e dal mio lavoro, la speculazione mobiliare-immobiliare. È una stronzata, c'è il 90% degli americani là fuori che è nullatenente o quasi. Io non creo niente, io posseggo!

Il titolo del film in origine doveva essere Greed. Un richiamo a Stroheim troppo impegnativo, meglio far riferimento alla realtà, a una Wall Street che a cicli regolari (compreso il 1987) si arresta, si mostra in televisione per annunciare di aver bruciato diversi milioni, spaventa (senza mai esagerare) e poi riparte come niente fosse. Stone, che conosce bene l’argomento visto che il padre era agente di borsa, si cimenta in un manifesto cinematografico lanciato contro un tipo di economia che non crea niente, se non denaro sul denaro, attraverso la speculazione e il raggiro. Unico punto a favore della classe profittatrice è la battaglia ingaggiata contro alcuni manager di bassa lega (elemento che si è andato perso negli ultimi anni, viste le recenti cronache): il resto è capitalismo della peggior specie.  

Il regista, si sa, non è avvezzo a mezze misure e non prova mai a celare le critiche. Sarà che l’ispirazione è venuta mentre scriveva la sceneggiatura dello Scarface di De Palma, ma qui l’estremizzazione e la schematizzazione della trama (soprattutto dei personaggi) mette in imbarazzo. C’è il cattivo che ha snaturato il messaggio americano del self-made, marciando senza pietà sulla testa di chiunque fosse per la sua strada (se vuoi un amico, prenditi un cane). C’è il padre della volpe che è un onesto sindacalista ed operaio, privo di qualsiasi ombra morale. Nel mezzo il ragazzo-volpe (Fox appunto) tra i due opposti e in balia della sua astuzia. Lanciato verso il successo mira al denaro e alla fama. Non desidera una vita di sacrifici, preferisce fare lo yuppie. Allo stesso tempo non riesce a diventare come il suo idolo, sempre tirato da un’etica che in famiglia gli è stata insegnata e lui non riesce ad esorcizzare.  

La storia è attinente alla realtà, si fa specchio di tante sfumature inattaccabili, senza mai evitare di ricordarci che siamo davanti ad un film idealizzato in tutte le sue posizioni. D’altronde l’intento del cinema di Stone non è mai quello di alludere e accarezzare lo spettatore, che anzi è bene si faccia travolgere da una carica di elefanti indiani. La fotografia di Robert Richardson (già presente in Platoon) inquadra l’ottima recitazione di Michael Douglas, per la quale vincerà un Oscar, un National Board e un David di Donatello. All’altezza si dimostrano anche i due Sheen, mentre la biondona Daryl Hannah sfigura senza pietà lungo quasi tutto il film. A loro si aggiunge il fascino britannico di Terence Stamp e le musiche curate da Stewart Copeland (vedi batterista dei The Police, per chi non avesse collegato i nomi).  

Il ritmo è coinvolgente e l’amalgama di recitazione, sceneggiatura e fotografia si fa apprezzare ad ogni secondo, portando una realtà spesso mitizzata e lontana alla portata di tutti. Per certi aspetti il film mostra quello che il pubblico vuole vedere, dà uno strumento visivo a chi critica un certo tipo di capitalismo e un certo modo di gestione dell’economia. Per altri si dimostra del tutto inappropriato per un livello di discussione più elevato. Come già detto l’unica pecca è appunto lo scontro bene-male, giusto-sbagliato, morale-immorale, privo di zone intermedie e di angoli d’ombra. Peccato, verrebbe da dire. Ma in fondo è Oliver Stone: il film è fortemente suo, oltretutto con richiami autobiografici e intenti personali, quindi poco da obbiettare.  

Al di fuori della ricerca di originalità - il dannato che vende l’anima, si gode il frutto desiderato, decade, paga il prezzo della sua scelta ed infine si redime – c’è di che passare due ore di buon cinema, seppur retorico. Dinamico, potente e in un certo senso sobrio è una lezione morale piacevole che mai stupisce e mai delude, oltretutto mantenendosi più che attuale anche a distanza di venti anni.  

Non sarai tanto ingenuo da credere che viviamo in una democrazia, vero Buddy? È il libero mercato e tu ne fai parte.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.

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dalvans (ha votato 8 questo film) alle 17:03 del 12 ottobre 2011 ha scritto:

Buono

Buon film