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8/10

Vittime Di Guerra regia di Brian De Palma

Guerra
recensione di Maurizio Pessione

Eriksson è un reduce della guerra del Vietnam che non è mai riuscito a dimenticare gli orrori di quel periodo. Sul bus nel quale sta viaggiando apparentemente distratto e senza meta egli scorge una ragazza orientale ed il suo ricordo torna immediatamente ai drammatici momenti che ha vissuto in Indocina. In particolare a quelli che hanno visto protagonista il suo capo pattuglia Meserve quando, durante una missione, ha deciso di rapire una ragazza vietnamita da un villaggio, per abusarne sessualmente, complici i suoi soldati. Lui, Eriksson è stato l’unico a rifiutarsi e per questo è  nato un conflitto morale e caratteriale con gli altri suoi commilitoni. Durante uno scontro a fuoco con i vietcong, per liberarsi dell’impiccio della ragazza, gli altri componenti della pattuglia l’hanno dapprima pugnalata e poi crivellata di pallottole fino a farla precipitare da un ponte e schiantarsi al suolo. Eriksson al ritorno al campo base li ha accusati e costretti ad essere processati dal tribunale militare dal quale sono stati condannati duramente in primo grado ma poi assolti in secondo grado con una scusa procedurale. Da allora egli è stato tormentato a lungo dal ricordo e dal rimorso. Scesa la ragazza dal bus, Eriksson vede che ha dimenticato un foulard e dopo qualche esitazione la raggiunge, accennando qualche parola in lingua vietnamita alla quale lei risponde con un po’ di stupore. Ringraziandolo per la premura, gli confida di aver notato nel bus la sua insistente attenzione ed il suo disagio, come se fosse appena uscito da un brutto sogno. La gentilezza ed il conforto della ragazza inducono Eriksson a considerare finalmente chiusa una brutta pagina della sua vita che l’ha tormentato a lungo sino a quel momento.

Nel filone dei film girati a seguito della guerra in Vietnam, che ha ossessionato gli americani per lungo tempo, ben oltre la sua durata ed esito, anche Brian De Palma ha voluto dire la sua con Casualties Of War che narra oltretutto un fatto realmente avvenuto, a differenza, ad esempio, di Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, il quale è stato ispirato invece dal libro Cuore di Tenebra di Joseph Conrad poi riadattato a quel contesto di guerra.

Vittime di Guerra, proprio perché racconta fatti circostanziati e realmente accaduti dovrebbe quindi apparire come direttamente legato alle vicende di quel conflitto. Sembrerà strano ma, al contrario, è forse l’opera, fra quelle più note sul tema, che ne è più distante concettualmente. Eppure essa è ambientata in quei luoghi divenuti nel corso del tempo inconfondibili, anche per via di quella guerriglia strisciante e sfiancante messa in atto dai vietcong che ha fatto scuola, in un certo senso, nelle moderne strategie militari. D’altronde un popolo storicamente abituato a confrontarsi con nazioni più grandi e potenti, in ultimo Francia e USA, incontrastabili dal punto di vista della potenza di fuoco, sarebbe stato velleitario ed ingenuo se avesse accettato di battersi in campo aperto.

Nonostante ciò, pur essendo la storia messa in scena da De Palma totalmente immersa in quella guerra, se si escludono le due parentesi all’inizio ed alla fine del film, l’ambientazione tuttavia, rispetto ai contenuti, svolge un ruolo sostanzialmente marginale; più che altro appare come un mezzo efficace per rendere più facilmente ed immediatamente comprensibili nella loro drammaticità ed atrocità le tematiche etiche e morali, non necessariamente legate al particolare di quel conflitto ed al genere bellico in generale, che il film tratta.

Il titolo nasconde un’ambiguità di fondo, una doppia, forse tripla chiave d’interpretazione. Chi sono infatti le vittime di guerra? Guardando la locandina si potrebbe facilmente rispondere che una vittima, quella più ingiusta e straziante, è sicuramente la povera ragazza vietnamita sullo sfondo, simbolo della tragedia delle popolazioni civili che si trovano prese in mezzo in ogni conflitto, strappata brutalmente alla sua famiglia, stuprata e trattata come una bambola di pezza per soddisfare le voglie animalesche di un piccolo gruppo di soldati americani. La quale, dopo aver subito ripetutamente atroci abusi e violenze, è stata infine barbaramente e cinicamente uccisa. Di sicuro lei è una delle tante vittime di guerra innocenti, schiacciata dalla brutalità, dalla sete di vendetta e dal disprezzo di alcuni soldati che hanno superato anche l’ultimo stadio della sensibilità umana e dei freni inibitori per entrare in una sorta di zona franca nella quale hanno presunto di poter perpetrare qualunque azione, convinti che nessuno sarebbe mai venuto in seguito a chiedergliene conto. In fondo qualcuno sosteneva a suo tempo che in amore ed in guerra ogni mezzo è consentito, ma ciò che giustifica normalmente questa massima è qui rappresentato in una forma di estrema ed insopportabile sopraffazione e perversione. Le regole sancite dai trattati internazionali riguardo il comportamento dei militari verso i civili appaiono risibili in questo caso, sostituite dall’acredine e da un disprezzo per la vita dei nemici e gli appartenenti alla loro razza che supera persino la legittima volontà di prevalere.

In Vietnam gli americani hanno provocato ma anche subìto gravi perdite umane e sono rimasti scioccati, scossi profondamente, dall’illusione coltivata sin lì di essere una macchina invincibile dal punto di vista militare. In questo caso invece hanno finito per impantanarsi in un territorio ostile ed infido, contro un nemico spesso invisibile, subdolo, il quale trovandosi a suo agio in un ambiente particolare dal punto di vista geografico e climatico, si è rivelato spesso inafferrabile ed indomabile. D’altronde allora il Vietnam era spezzato politicamente in due stati, uno alleato degli USA e l’altro avverso. Nel corso del conflitto lo stato del Nord ha finito per prevalere invadendo il Sud ed era diventato perciò difficile ad un certo punto per gli americani distinguere i nemici, infiltrati sempre più in profondità nel territorio, dagli alleati, dato che sono identici pure nella fisionomia. Gli stessi civili si comportavano ambiguamente, così che per i soldati americani era costante il timore di essere ingannati, traditi, sorpresi alle spalle, con il terrore perpetuo che la loro vita fosse appesa ad un filo sottile che qualunque cecchino avrebbe potuto spezzare improvvisamente.

La ragazza protagonista suo malgrado della vicenda, il cui nome è Dahn (Thuy Thu Le), è quindi sicuramente una vittima di guerra perché ha pagato in questo caso una miscela micidiale di arroganza, vendetta e presunzione di onnipotenza da parte di quei militari come il capo pattuglia Meserve (Sean Penn) che sono stati catapultati in una giungla metaforica e fisica allo stesso tempo, segnandoli per sempre, come se avessero subito una sorta di mutazione genetica.

Ma è stato così per tutti? Non certamente per il soldato Eriksson (Michael J. Fox), il quale, per indole o forse perché all’epoca dei fatti era stato inviato in Indocina da sole tre settimane, s’è ritrovato immerso nella stessa cruda realtà ma non ha perso il lume della ragione, conservando un’etica morale e riuscendo ancora a distinguere un’azione necessaria per il compito che è stato incaricato di svolgere da un crimine gratuito, pur in un contesto così degradato. Le parole stupro ed omicidio hanno pur sempre lo stesso significato, sia in pace che in guerra.

Allora chi sono le vittime di guerra in questo caso? La ragazza vietnamita che ha subito una violenza ed una fine così atroci? Oppure Meserve il quale, calato in uno scenario da arena gladiatoria è diventato una macchina da combattimento che agisce rispondendo oramai soprattutto agli istinti primordiali, ma che nel frattempo potrebbe anche aver perso la testa e la dignità in una situazione ai limiti della sostenibilità? Oppure ancora Eriksson il quale, fedele alla bandiera ed al dovere cui è stato chiamato a rispondere, non riesce nè a giustificare nè a sopportare la violenza gratuita nei confronti di una persona inerme, fosse anche una nemica, da parte di chi presume oltretutto di poterne decidere la sorte a suo piacimento, convinto poi di farla franca e rimanere impunito?

La risposta sta forse nel considerare tutti loro vittime di guerra, in qualche modo, senza distinguere i buoni dai cattivi, lasciando questo compito alla storia ed ai tribunali militari ed civili. Brian De Palma ha giocato abilmente su questo triplice piano narrativo che s’interseca in una storia che racconta comunque la guerra in Vietnam ma che vale in fondo pure per qualunque altra, addirittura al di fuori dello stesso contesto bellico. Forse che questa vicenda non potrebbe essere ambientata, più o meno nella medesima forma, se al posto del Vietnam ed i soldati là impiegati ci fosse invece una città qualsiasi intorno a noi, il classico ‘branco’ ed a farne le spese fosse una ragazza inerme incontrata per caso durante la serata o il momento sbagliato per lei?

La domanda che sorge spontanea a questo punto è: ma l’omicidio in guerra è contemplato? Chiaro che è una sorta di contraddizione in termini, in uno status di lotta armata si uccide eccome, spesso in una condizione estrema di ‘mors tua, vita mea’, anche per costrizione piuttosto che per scelta, ma in questo caso si tratta per giunta di un assassinio premeditato e di una somma di atti criminosi che includono il sequestro di persona, le sevizie e gli stupri ripetuti nei confronti di una ragazza indifesa, per quanto nella considerazione dei suoi carnefici sia essa priva di alcun valore, nè degna di rispetto umano.

Eriksson è fermamente convinto invece che c’è un limite alle proprie reazioni e frustrazioni, anche in un contesto di profondo stress psicofisico come quello che si è ritrovato a vivere lui stesso in Vietnam. Lo incontriamo all’inizio di Vittime di Guerra in abiti civili a ‘casa’, mentre osserva e fissa un po’ malinconicamente e distrattamente una ragazza orientale, non necessariamente di origine vietnamita, che è salita sul suo stesso bus e si è seduta qualche fila avanti di fronte a lui. La sua mente, in uno stato quasi di torpore misto a rassegnazione, vaga nel tempo, andando velocemente a ritroso, quando era stato aggregato ad una pattuglia che doveva scovare i vietcong nelle grotte sotterranee che scavavano nella foresta vietnamita, tagliando loro i rifornimenti. Il comandante del suo drappello di soldati era stato ucciso da un cecchino pochi giorni prima del suo congedo ed il suo secondo in grado Meserve aveva preso il comando al suo posto. Le ferite psicologiche provocate da quei drammatici frangenti sono ancora vive ed ossessivamente presenti in Eriksson, pur tornato infine indietro da quell’inferno sano e salvo. Meserve era giovane a quel tempo, eppure già molto determinato ed assuefatto alla spietatezza della guerra; il classico personaggio che non si capisce mai con certezza se ha subito un cambiamento nella sua natura per via dei fattori esterni oppure se è sempre stato così e la sua personalità feroce e repressa non attendeva altro che l’occasione propizia per esplodere. Eriksson era stato aggregato da poco alla compagnia di Meserve e già gli doveva la vita per averlo provvidenzialmente soccorso durante una missione, tirandolo fuori da una buca nella quale era caduto e stava sprofondando sempre più, un attimo prima che lo raggiungesse un vietcong armato di pugnale.

Eriksson rivive quei momenti come in un incubo ad occhi aperti. Al ritorno da queste rischiosissime incursioni dentro un territorio infestato di nemici pronti a colpire, Meserve, per scaricare in qualche modo la tensione accumulata, era solito andare a cercare svago e distrazione in città. Una sera però gli viene preclusa per ragioni di sicurezza la libera uscita per sfogarsi in qualche bordello al di fuori del campo base militare e decide, alla prossima missione, di rapire una ragazza da un villaggio interno per soddisfare i suoi bisogni carnali e quelli dei suoi commilitoni. Fra di essi ci sono appunto Eriksson ed altri tre uomini: Diaz, Clark e Hatcher. All’inizio Eriksson spera che il proposito di Meserve sia solo la spacconata di un momento, ma una volta partiti, quando il blitz viene compiuto ed il rapimento viene effettuato per davvero, deve arrendersi all’evidenza e, non condividendo la decisione del suo capo, non esita a manifestarglielo.

Una pattuglia in campo nemico deve essere coesa, per assicurarsi la maggiore protezione reciproca, ma anche per poter agire all’unisono al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. È necessaria quindi una fiducia totale fra i suoi componenti ed una solidarietà d’intenti completa. Mettendosi di traverso rispetto all’azione non prevista dagli ordini ricevuti, biasimando Maserve e non accettando di condividere e partecipare cameratescamente alla violenza sessuale nei confronti della ragazza vietnamita, come fosse una semplice goliardata fra amici anziché un crimine, Eriksson è come se avesse rotto un patto non scritto, un sottile equilibrio e si fosse posto contro i suoi stessi compagni. Meserve dapprima lo prende in giro davanti agli altri avanzando il sospetto che sia gay, poi lo accusa addirittura di fare il doppio gioco con i vietcong e lo sfida rudemente a considerare le differenze fra loro ed i nemici. Lo scontro, che è di personalità e di principio, non impedisce comunque a Meserve di mettere in atto lo stupro coinvolgendo, oltre agli altri, anche Diaz (John Leguizamo) il quale in un primo momento aveva chiesto addirittura aiuto ad Eriksson affinchè lo sostenesse nel rifiutarsi a partecipare al bieco rituale. Forse per vigliaccheria, forse perché condizionato dal ‘branco’, così come si sente spesso raccontare oggi, quando ragazzi apparentemente di buone maniere e famiglia si lasciano trascinare da altri di più forte temperamento in azioni riprovevoli pur non essendo loro tendenzialmente portati ad esse, pure Diaz attende il suo turno e partecipa alla violenza sessuale collettiva.

Poiché è apparso chiaro sin dall’inizio che la vita stessa della ragazza non ha mai contato nulla per Meserve e gli altri compagni privi di scrupoli ed a lui fedeli, dopo averla violentata la spietata esecuzione di Dahn nel corso di uno scontro a fuoco con i vietcong, giusto per evitare che possa farli scoprire o semplicemente che diventi un peso trascinarsela dietro, è una conseguenza che non sorprende affatto, se non per la sua immediatezza e l’atteggiamento di inaudita ferocia ed indifferenza da parte di Clark nel metterla in atto. La sequenza di ‘spettacolare’ drammaticità che De Palma ha girato sopra un ponte ferroviario sospeso nel vuoto, con la ragazza che viene vigliaccamente pugnalata mentre infuria la battaglia, ma quando è creduta morta trova invece la forza per compiere alcuni passi pur in un precario equilibrio ed in un lago di sangue, come fosse la tragica esibizione di un mimo o stesse chiedendo, per assurdo, una paradossale spiegazione a tanto accanimento nei suoi confronti, è terribilmente angosciante. Eppure Eriksson, anche se oramai isolato nel suo gruppo, aveva tentato in tutti i modi in precedenza di proteggerla e persino di instaurare un difficilissimo dialogo con lei, ipotizzando anche una disperata fuga assieme, spingendola poi a scappare da sola, ma senza successo. Quando egli la scorge in quella macabra passerella e tenta di correrle disperatamente incontro, viene bloccato da Meserve, che a sua volta, stupito, se l’era vista passare davanti senza trovare il coraggio di fermarla né di finirla, gridando agli altri di farlo al suo posto, sinchè crivellata di colpi la poveretta precipita schiantandosi al suolo. Questa sequenza è un capolavoro di pathos ed è caratterizzata da una forza espressiva di rara intensità emotiva, anche se suscita qualche perplessità nella dinamica perché Dahn è presa in mezzo fra Meserve e gli altri soldati e quando le sparano tutti assieme da opposte direzioni vien da chiedersi come abbiano potuto colpirla evitando di ferirsi o uccidersi l’un l’altro.

Trasportato dagli elicotteri di soccorso al campo base, Eriksson non trova pace sinchè non rende giustizia a quella povera vittima accusando i suoi compagni del delitto e facendoli incriminare dal tribunale militare. Non è un’operazione indolore perché incontra lungo l’iter procedurale l’ostilità degli interessati, che cercano persino di ucciderlo in un attentato e quella dei suoi superiori, che più volte l’hanno consigliato di lasciar perdere, desiderosi più che altro di non infangare il buon nome dell’esercito e dei loro sottoposti. La dura condanna cui andranno incontro i quattro accusati verrà poi annullata in sede di appello, com’era stato d’altronde anticipato a Eriksson, facendo richiamo ad un vizio di forma procedurale di comodo.

Risvegliato nel bus dal torpore di questo incubo rivissuto chissà quante altre volte in precedenza, Eriksson s’accorge che il posto occupato dalla ragazza asiatica è vuoto perché lei è appena scesa alla fermata, dimenticando però un foulard. Dopo qualche attimo di indecisione ed approfittando del fatto che le porte del bus non si sono ancora richiuse, egli scende velocemente e la raggiunge per consegnarglielo, pronunciando alcune parole in lingua vietnamita per attirarne l’attenzione. La ragazza è sorpresa e molto gentilmente lo ringrazia, con un sorriso benevolo che potrebbe voler significare un semplice atto di cortesia oppure un segno di comprensione nei suoi riguardi. Non gli nasconde infatti di aver notato poco prima nel bus il suo sguardo insistito ed assorto, come se la sua presenza gli avesse riportato alla memoria qualcosa di spiacevole che aveva vissuto nel passato. Queste parole non potrebbero essere più veritiere e consolanti per lui e forse per la prima volta dopo la tragedia vissuta in prima persona, ritrova una sorta di pace interiore, come se quella stessa ragazza fosse, in un certo senso, la reincarnazione della poveretta che ha visto torturare e morire senza riuscire ad evitarlo e che lei quindi gli avesse appena concesso il suo perdono, lenendone i rimorsi.

Brian De Palma non va certo scoperto in quest’opera: è un maestro del cinema che anche in questo caso ha saputo essere originale, affrontando alcune questioni di principio morale in uno schema narrativo che tocca varie corde e generi: da quello di guerra, al giudiziario, al dramma di stampo psicologico ed etico. Vittime di Guerra può essere quindi letto da varie angolazioni, tutte interessanti: come un altro esempio riguardante le distorsioni generate dalla guerra in Vietnam; come una riflessione su una questione di stampo etico e morale partendo da alcune condizioni estreme; oppure ancora come una denuncia dell’omertà che ancora una volta le stesse istituzioni perseguono per difendere i loro rappresentanti anche di fronte a crimini ingiustificabili sotto ogni punto di vista. La breve sequenza del processo in tribunale in fondo contiene e sintetizza tutto il film.

Bravissimi Sean Penn e Michael J. Fox nelle rispettive parti, così come suscita grande tenerezza la sconosciuta interprete della ragazza vietnamita, qui alla sua prima ed unica prova non avendola più ritrovata in opere successive. Vittime di Guerra è un film che si affianca idealmente, seppure un gradino appena al di sotto, ai capolavori riguardanti l’argomento specifico della guerra in Vietnam e le conseguenze che ha generato sia a livello politico che nelle singole persone che vi hanno partecipato e quelle che le hanno subite, come il già citato Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, Il Cacciatore di Michael Cimino e Full Metal Jacket di Stanley Kubrick.

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