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7/10

La Meute regia di Franck Richard

Horror
recensione di Alessandro Pascale

Nel bel mezzo di una nevosa terra di nessuno, Charlotte conosce il viandante Max. I due decidono di fermarsi in un motel e di passare la notte in una camera. Dopo cena però l'uomo non rientra e Charlotte esce a cercarlo invano. Quando la donna fa ritorno viene però rapinata dalla barista, La Spack, che scopre essere la madre di Max. La rivelazione verrà presto seguita da una scoperta ancora più terrificante che Charlotte dovrà affrontare per sopravvivere.

Charlotte :Ci sono un erotomane, un assassino, uno zoofilo, un piromane, e un masochista in un manicomio che si stanno annoiando, ad un certo punto l’erotomane fa: «Perché non inculiamo un gatto?!» e l’assassino: «Sì, e dopo lo ammazziamo» e lo zoofilo: «E magari poi lo inculiamo di nuovo!» e il piromane: «E poi gli diamo fuoco!», sai cosa dice il masochista quando è il suo turno di parlare?

Max: No, cosa?

Charlotte«Miaaaaooo».

Opera diretta da Franck Richard, La Meute è uno squisito horror underground francese che che ha ricevuto il privilegio di essere ammesso al festival di Cannes nel 2010, riscuotendo notevole successo critico.

Successo meritato, per la capacità di riunire con garbo una serie di citazioni (La casa dei mille corpi di Rob Zombie, Hostel di Eli Roth e senz'altro ampio materiale tratto da gente come Romero, Carpenter, Hitchcock ecc.) senza strafare troppo, bensì inserendo il tutto all'interno di una sceneggiatura tutto sommato semplice e anche un po' caciarona, che non intende spiegare tutto con digressioni verbali noiose. La Meute è in effetti un film in cui si parla poco, anzi pochissimo, fin dalle prime battute, in cui assistiamo all'ingresso in scena di una deliziosa ragazza ribelle (Charlotte, alias Émilie Dequenne) che si fa ammaliare da un altrettanto misterioso e affascinante giovanotto (un “maledetto” Benjamin Biolay più noto alle cronache per la sua ottima carriera musicale) che si rivelerà essere la causa della sua rovina.

Quel che più conta sono le scenografie e la costruzione dei personaggi: campagne lerce e fangose, locali decadenti, fumosi e sporchi, con caratteristiche che in fondo non sono così distanti dagli stessi personaggi che li popolano. Nota di merito per la proprietaria del lugubre pub La Spack, ossia per quella Yolande Moreau recentemente amata nel gioiellino Louise-Michel.

Il finale, eccezionale, è la ciliegina sulla torta di un'opera horror che degenera spesso nello splatter gratuito, talvolta macabro e malsano, spesso auto-ironico e semi-satirico, in ogni caso strutturato su un umorismo noir di taglio grottesco, che ricorda ad esempio un'opera altrettanto eccellente e unpolitically correct come Ex Drummer.

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