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6/10

Noi Credevamo regia di Mario Martone

Storico
recensione di Alessandro Pascale

Il film racconta la storia di tre ragazzi del Cilento: Salvatore, con spirito patriota, Domenico, che crede nell'amicizia e Angelo, votato all'azione violenta. Nel 1828 scelgono di prendere parte al movimento politico repubblicano della Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Le loro vite, in seguito a questa decisione, prenderanno strade diverse, ripercorrendo alcuni episodi della storia del Risorgimento italiano.

Ci sono almeno tre momenti davvero vibranti in Noi credevamo, in grado di far scattare un piccolo tumulto nel cuore: il primo si pone all'inizio dell'opera: è il giuramento dei tre novelli mazziniani, che sanciscono di mettere la propria vita al servizio della gloriosa causa repubblicana. Camera fissa su sfondo nero e spazio a parole che non lasciano spazio a dubbi o incertezze moderate. Brividi...

Il secondo è a metà dell'opera, durante la lunga e spettrale narrazione dedicata alla prigionia di Domenico (Luigi Lo Cascio), che intransigente più di molti altri, afferma sprezzante “a me non interessa sostituire il re Borbone con un re Savoia! Io voglio un'Italia senza re!” (e quanto dovrebbe far riflettere ancora oggi per l'attualità di questo Paese che si propone di mettere al posto di un ometto politico pornografo uno più “morale” ma che fa le stesse cose di fondo).

Il terzo è nel finale, nel raduno delle camice rosse al servizio di Garibaldi, nella sfrenata passione politica che anima centinaia di giovani venuti da tutta Italia, uniti dalla volontà di cambiare il Paese dandogli una forma priva di padroni, e riuscendo a mettere in riga chi cerca di mantenere le gerarchie ortodosse (di qui l'altrettanto simbolico episodio della satira su Crispi).

La tragicità de Noi credevamo sta però tutta nel fallimento completo che colpisce ogni singolo atto qui descritto. I tre giovani amici non solo non riusciranno nell'intento di creare la repubblica, ma moriranno dilaniati da sensi di colpa o azioni ingiuste che ne “sporcheranno” l'anima.

I garibaldini si vedono sparare addosso dallo stesso esercito italiano che non sarebbe potuto nascere senza di loro... Le belle azioni etiche, passionali, talvolta violente e terroristiche (come l'attentato a Napoleone III) sono atti di personaggi carismatici ma ingenui e inesperti, viziati da un'idealismo di fondo privo delle proprie reali forze e capacità strategiche di successo. Insomma Noi credevamo, affresco storico di volontà monumentali, è sostanzialmente una storia di sconfitti, raccontati in maniera cruda e realistica (pur romanzata), senza tentare di glorificare o idealizzare troppo i suoi protagonisti. Sullo stesso Mazzini (Toni Servillo) gravano oscure ombre, non sempre dissipate adeguatamente nemmeno dai suoi sostenitori. Su Domenico, l'unico personaggio che mantiene sempre un valore positivo, pesa il fallimento e la rovina della propria famiglia aristocratica, causata dalla sua azione politica e dal suo orgoglio bello ma sterile.

Le speranze che emergono durante la narrazione vengono progressivamente fugate da altrettante sconfitte, morti, esecuzioni, fallimenti. Fino alla fine, senza appello. Il che rende l'opera non solo una tragedia semi-claustrofobica, ma un racconto ai limiti del grottesco e del masochismo politico e sociale. Il pessimismo di fondo dell'opera si lega bene a scenografie spesso tetre e buie, in cui la luce-speranza non è che il fioco candore di una candela subito soppressa (indelebile a riguardo la lunga parentesi della prigionia di Domenico, che assume un rilievo centrale).

Anche per tutti questi motivi però Martone fatica a mettere in piedi un film che sia in grado di essere attraente e vitale. La narrazione scorre lenta, impantanata in lunghi silenzi e in costumi ora sontuosi, ora lugubri. La divisione dell'opera in episodi permette di focalizzare l'attenzione sulla psicologia dei singoli protagonisti ma limita di molto la compattezza e la stabilità complessiva della sceneggiatura, schiacciata e frammentata tra eventi troppo distanti tra loro.

In generale Noi credevamo sembra un buon quadro in cui solo qualche angolino ha la statura di un capolavoro, mentre la visione complessiva dell'insieme lascia, oltre all'amaro in bocca, un po' di perplessità per la mole (oltre due ore e mezza) forse un tantino inconcludente vista la dimensione abnorme.

Rimane ciò nonostante un'opera che merita di essere vista, soprattutto in occasione del centocinquantenario dell'unità d'Italia, perchè capire qualcosa in più sulla storia del proprio Paese non può certo far male. Una volta si diceva “O Roma o Morte”. Il tempo ha smussato certi slogan ma capire i nemici del cambiamento resta sempre la priorità numero uno.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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alexmn 6/10
unprof 8/10

C Commenti

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alexmn (ha votato 6 questo film) alle 1:39 del primo luglio 2011 ha scritto:

son d'accordo.

la forza di quest'opera è quella di mostrare come è nata l'Italia di oggi, con pregi e ahimè tanti difetti che col tempo si sono incancreniti..ma in nuce tutto c'era già.

poi la destinazione forse televisiva dell'opera gli ha fatto perdere quella forza che una narrazione più asciutta e tirata avrebbe avuto.

come hai ben evidenziato, i momenti notevoli ci sono..certo che se penso, parlando sempre di opere dal respiro ampio, alla meglio gioventù, qualche conto non torna. il film di giordana è su un'altro livello.

Peasyfloyd, autore, alle 2:37 del primo luglio 2011 ha scritto:

eh si. Da quel punto di vista Giordana (non stiamo a scomodare Bertolucci poi) sono tutt'altra cosa...

unprof (ha votato 8 questo film) alle 2:21 del 16 giugno 2020 ha scritto:

Vedo ora, 9 anni dopo.a differenza del conterraneo alexmn qui sotto lo trovo un bellissimo affresco, ben montato, validamente sceneggiato, per nulla "bolso" o inconcludente come la recensione del Sig. Pascale. Parliamo di due secoli orsono , dal XXI sono scomparsi completamente, salvo forse in enclavi socioculturamente "strette" queste istanze, la rivoluzione silente del global ha reso il suo venefico effetto depassionalizzante e uniformante, che poi l'Italia sia rimasta quella che era , lo si sa e se lo merita..garibaldino mazziniano cavouriano e vabbeh, via giu tu che vengo su io, 13 secoli prima era longobardo vescovo romano o bizantino di Totila, cambia nulla... penso a Leopardi che chiedeva il lasciapassare per visitare la Madama napoletana, era giusto cosi', caro Alexmn l'Italia non e' nata li', la Penisola coi Bruzi i Latini e sopra i Celti ha una storia un po' piu' lunga ihihi