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7/10

Repo Men regia di Miguel Sapochnik

Thriller
recensione di Alessandro Pascale

In un futuro prossimo, ogni persona avrà la possibilità di acquistare organi artificiali, pagandoli a rate. Ma se i pagamenti non verranno effettuati, gli organi, a volte vitali, dovranno essere restituiti, anche in maniere poco ortodosse. Questo è quello che succede a Remy, fresco di trapianto al cuore, che dopo essere stato uno dei “recuperatori” di organi si trova all'improvviso a dover fuggire dai suoi ex colleghi di lavoro.

In un futuro prossimo, ogni persona avrà la possibilità di acquistare organi artificiali, pagandoli a rate. Ma se i pagamenti non verranno effettuati, gli organi, a volte vitali, dovranno essere restituiti, anche in maniere poco ortodosse. Questo è quello che succede a Remy, fresco di trapianto al cuore, che dopo essere stato uno dei “recuperatori” di organi si trova all'improvviso a dover fuggire dai suoi ex colleghi di lavoro.

A pensarci bene non è nemmeno un'opera così fantascientifica Repo men, perchè con le propagande ideologiche che fanno per esaltare la sanità privata e sfiduciare quella pubblica non mi stupirei se tra cinquant'anni si arrivasse davvero ad una situazione in cui ti strappano di dosso l'organo impiantato pochi mesi prima per non aver pagato le spese mediche... D'altronde qual è la differenza di fondo con l'America di un paio d'anni fa, quando un barbone che arrivava in ospedale senza assicurazione medica veniva praticamente lasciato morire sul marciapiede?

E' tutta una questione di forma, ecco tutto. La violenza in Repo men diventa pienamente visibile, tanto da legittimare legalmente l'omicidio per garantire gli interessi di un'azienda privata che spende lacrime e sangue per fare il “bene pubblico” con la sua produzione di organi artificiali. C'è insomma un'enorme differenza tra il lasciar morire un poveraccio per strada e un ammazzarlo direttamente dopo un periodo di sei mesi in cui l'hai guarito fregandogli tutto il patrimonio...

A chiudere il cerchio di un film evidentemente progressista sta la denuncia della mentalità militaresca e legalitaria dei due protagonisti (Remy impersonato da un eccellente Jude Law e l'amico-collega Jake, un Forest Whitaker leggermente sottotono per come ci ha abituato in passato), incapaci di uscire dallo schema per cui “il lavoro è lavoro” (motto assai prossimo alla mentalità nazista dei campi di concentramento: “il lavoro rende liberi”) e “il nostro lavoro è importante perchè si occupa di far rispettare le regole”.

Regole e lavoro non sono tutto, anzi talvolta è bene infrangerle se ci si rende conto che sono nocive per le persone. Per giungere a questa banale conclusione però Remy deve capitare di forza tra i malcapitati che si beccano un cuore finto in petto, compiendo una metamorfosi morale del personaggio quasi stupefacente per quanto è repentina.

A chiudere l'ottimo cast l'emergente Alice Braga e il buon Liev Schreiber, perfetto nei panni del capitalista avvoltoio freddo e speculativo.

Buono il ritmo generale di un'opera che non annoia, anzi, semmai risulta, a tratti, decisamente estrema per certi contenuti ai limiti dello splatter totalmente gratuito (cioè si vedono ginocchia aperte letteralmente in due e braccia infilate sotto le costole di un vivente!).

Il resto è un fanta-thriller basato su un'opera di Eric Garcia che odora molto di squisito Isaac Asimov, e che viene resa cinematograficamente in una versione opposta (tanto è negativa e truculenta) alla tematica di L'uomo bicentenario, uscendo dalla visione positivista che lo caratterizzava. Buono il finale, che riesce ad evitare le sacche dell'irrealtà nobilitando una progressione narrativa alquanto sbilanciata (per non dire favolistica) con una evidente citazione di un altro classico del cinema “distopico”: Brazil.

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