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R Recensione

7/10

Toto e Carolina regia di Mario Monicelli

Commedia
recensione di Antonio Falcone

L’agente di P.S.Antonio Caccavallo (Totò), vedovo con un figlio e l’anziano padre a far da “donna di casa”, nel corso di una retata a Villa Borghese esce dai ranghi d’autista, desideroso com’è di una promozione (9.000 £ in più di stipendio), ed  inserisce nel gruppo delle lucciole una ragazza dall’aria assente, identificata in questura come Carolina De Vico (Anna Maria Ferrero), domestica. Il commissario (Arnoldo Foà), appurato che la donna ha tentato il suicidio, per paura di uno scandalo intima a Caccavallo di riportarla al suo paese, alla ricerca di parenti o di “un povero fesso” che la prenda con sé, ma lungo il tragitto imprevisti e sorprese non mancheranno …

Totò e Carolina, probabilmente tra i titoli meno noti della vasta filmografia di Totò, viene spesso ricordato soltanto come uno dei casi più eclatanti di censura cinematografica del nostro paese, avendo subito tanti di quei tagli e “aggiustamenti” da uscire nelle sale un anno dopo la prevista distribuzione e ridimensionato nella durata complessiva: la versione “integrale” attualmente disponibile in dvd è frutto di una paziente opera filologica di recupero, ad opera del critico Tatti Sanguineti in collaborazione con la Cineteca di Bologna, rispettosa del montaggio originale, come voluto da Mario Monicelli, qui alla sua prima regia autonoma dopo i trascorsi con Steno. In realtà, i motivi per apprezzare l’opera sono ben altri: in primo luogo Monicelli, autore anche della sceneggiatura insieme a Sonego, Age e Scarpelli, su soggetto di Ennio Flaiano, inizia con mano sapientemente ferma a spargere i semi di quei succosi frutti che nasceranno in seguito, cerca di staccarsi tanto dal Neorealismo che dalla comicità propria dell’avanspettacolo e vira, con punte drammatiche, verso la sapida satira di costume, pur se al riguardo l’opera si ferma allo stadio di valido tentativo, causa una certa indecisione tra i vari stilemi che la privano di una connotazione propriamente definita. In secondo luogo è l’occasione per gustare ogni sfumatura della poliedricità propria del Principe della risata, qui, come già in Guardie e ladri, attore a tutto tondo, capace con pochi gesti e sguardi di passare dal comico al tragico, conferendo toni estremamente realistici e pregni di profonda umanità alla sua interpretazione. Le sequenze a suo tempo eliminate ed ora visibili, insieme ad alcuni dialoghi riportati all’originalità, dal “scusate eccellenza” rivolto da un agente a qualche altolocato aprendo la portiera di un’auto durante la suddetta retata, a Bandiera Rossa intonata da un gruppo di comunisti a bordo di un camion (con Totò che durante un sorpasso urla “buttatevi a destra”…), rendono la pellicola più compiuta e caratterizzata, confermando l’estrema validità del suo assunto di base, un impietoso ritratto dell’ Italia del dopoguerra, chiaramente fastidioso per i politici dell’epoca, specie se a farsene rappresentante era un attore fortemente popolare come Totò. È lui infatti, affiancato dalla brava Ferrero, l’attonito testimone dei cambiamenti in atto in un paese in bilico tra tradizione e modernità, incerto su come conciliare le diverse istanze che derivano da entrambe e su quale direzione prendere definitivamente, dove un certo bigottismo insieme alla rigidità propria dell’ordine costituito divengono parametri di riferimento: ma se la carità cristiana dei vari pretonzoli (il curato del paese) si espleta solo all’interno di un confessionale e quella dei buoni borghesi (i prozii di Carolina) nel tenere un rosario tra le mani, e se le regole codificate si esauriscono in una pedissequa applicazione, allora a prevalere saranno le leggi scritte nel cuore degli uomini, quelle della bontà d’animo e della solidarietà, le uniche che possono dare ai “poveri fessi” come Caccavallo e alle donne illuse dalla vita come Carolina una vera e profonda ragione d’esistere, all’insegna del rispetto della dignità umana e della comprensione reciproca.

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