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R Recensione

8/10

Gorbaciof regia di Stefano Incerti

Drammatico
recensione di Enzo Barbato

In una Napoli fredda e fin troppo scontata, un viscido cassiere del carcere di Poggioreale, vive per inerzia dilapidando gli incassi nel gioco d'azzardo. Tutto procede fino a quando non incontra Lila, la figlia di un ristoratore cinese che concede l'angusta sala per i giocatori...

In una città che potrebbe anche non essere quella che si immagina. Che nonostante tutto purtroppo si riconosce. A cui si potrebbe azzardare un accostamento per velleitario depistaggio. Ma nonostante tutto non si smentisce mai. I capelli unti tirati indietro, poca cura per il resto, quasi il minimo indispensabile. Una camicia aperta fino all’estremità inferiore dello sterno e un vestito. Sempre lo stesso. Quando una giornata inizia con uno sguardo freddo, assuefatto, in una casa circondariale, non può essere una buona giornata. Uno strano cenno di saluto, gli odori dei grassi che giacciono sui metal-detectors di circostanza, gli umori pesanti e sudati dei familiari dei detenuti, i bigliettoni stramanipolati da contare, il passo certo, spedito e una schifezza di panino freddo da addentare con l’avidità che non risparmia neanche la carta stagnola. E se la giornata si chiude con la prima e unica parola pronunciata, uno stentato “vafàmmocc’”.

No, non è stata una buona giornata.   Marino Pacileo è uno dei cassieri del carcere di Poggioreale. Una specie di uomo non proprio raccomandabile se analizzato sommariamente. Estremamente schivo e posseduto dal demone del gioco. Il suo dopolavoro è una stanza occulta di un lugubre ristorante cinese. Nessun aperitivo o sigaretta per distendere i nervi, anzi. Un poker ad euro tintinnanti tra qualche camorrista, viscidi felloni e uno sporco avvocato corrotto e strozzino. Un antro funereo massacrato dallo spugnoso fumo delle sigarette e le birre nazionali da 66cl servite dall’unico raggio di sole di tutta quest’atmosfera plumbea, nebulosa e troppo familiare. Lila, la figlia del ristoratore. Quando dai diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fior. Grazie Faber. Unico petalo candido, vivo, di una pianta morta bruciata alle radici. Figlia di quel padre che per debiti può anche diventare orco. Fino a quando incontra il più improbabile dei giustizieri che se ne curerà.  

I debiti si moltiplicano e Gorbaciof rimpingua le sue tasche a discapito delle casse carcerarie. Lo sanno tutti, ormai. Per riempire la cassaforte vuota lo costringono a ricorrere anche a metodi abbietti, criminali. Ma lui sembra abituato. Lila proverà a rapirlo da quella vita oscura ma un vortice bastardo li spazzerà.   Toni Servillo è bravissimo. Basta. E la bravura di Stefano Incerti riesce a farlo diventare anche un pezzo di merda, nel senso che gli apre un fornito guardaroba di maschere e animacce per una libera scelta. E Servillo sa benissimo quale scaffale sondare. Una carogna non come quella fin troppo esposta col sorriso furbo, scaltro e la mano sul sedere pronta a raccoglierti di “Gomorra”. No. Gorbaciof, così soprannominato per una voglia sulla fronte che ricorda il rimpianto leader sovietico, è una merda d’uomo. Uno che vive soltanto perchè in qualche modo è stato gettato sulla terra come un rifiuto. Privo di sentimenti, di affetti, caratterialmente glaciale, egocentrico nella sua inutile dimensione, strafottente e viscido. Alla fine, per quanto voglia indossare i panni del più grezzo dei minerali, c’è sempre un cuore che, nolente, batte. Anche le pietre si sciolgono con il tempo e in quell’amore anomalo, privo di baci e prevedibili effusioni coinvolgenti ma ricco di sguardi incantevoli, sorrisi devastanti, carezze accennate, ferite curate e carrelli d’aeroporto, c’è veramente tutto. Al di là di ogni fervida supposizione.  

Poche parole, tanti sguardi che però ne contengono. L’anima del film. Yang Mi è bellissima e riesce a pungerti il cuore. Una tenerezza toccante, calorosa, che ti tocca il diapason dell’emozione in una scena dove era riuscito, a memoria mia, solo Mastroianni. Un pianto sommesso dove c’è una sola lacrima a percorrere il viso. Di rilievo anche la bravura già affermata del buon Geppy Gleijeses, nella parte dell’infimo magistrato. Bel film del bravissimo Stefano Incerti, davvero. In attesa che si decidano a trasferire su dvd “Il verificatore”.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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alexmn 7/10

C Commenti

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Peasyfloyd (ha votato 8 questo film) alle 10:33 del 16 dicembre 2010 ha scritto:

splendida recensione per un film davvero incantevole. Toni Servillo è un fenomeno. La sua capacità facciale e mimica riesce ad eguagliare in certi momenti il miglior Totò, ovviamente in chiave drammatica (ma anche nei brevi sprazzi comici). Il suo personaggio è micidiale, la storia un pugno allo stomaco. Pulita la regia di Incerti. Niente altro da aggiungere. Strepitoso!