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8/10

Il Giovane Favoloso regia di Mario Martone

Biografico
recensione di Gloria Paparella & Francesco Ruzzier

Leopardi è un bambino prodigio che cresce sotto lo sguardo implacabile del padre, in una casa che è una biblioteca. La sua mente spazia ma la casa è una prigione: legge di tutto, ma l’universo è fuori. In Europa il mondo cambia e Giacomo cerca disperatamente contatti con l'esterno. A ventiquattro anni, quando lascia finalmente Recanati, l'alta società italiana gli apre le porte ma il nostro ribelle non si adatta. A Firenze si coinvolge in un triangolo sentimentale con Antonio Ranieri, l'amico napoletano con cui vive da bohémien, e la bellissima Fanny. Si trasferisce infine a Napoli con Ranieri dove vive immerso nello spettacolo disperato e vitale della città plebea. Scoppia il colera: Giacomo e Ranieri compiono l'ultimo pezzo del lungo viaggio, verso una villa immersa nella campagna sotto il Vesuvio.

 

Gloria Paparella (voto 8)

Struggente, appassionante e assolutamente romantico (nel senso artistico del termine): è tutte queste cose il ritratto che Mario Martone fa di Giacomo Leopardi ne Il giovane favoloso, una delle tre pellicole italiane in gara alla 71esima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Un’opera che procede lineare nel seguire il percorso di vita del poeta, prigioniero nella sua stessa casa, una vera e propria biblioteca creata da parte di un padre attento ma severo. Dentro quella biblioteca la mente infinita di Giacomo (Elio Germano) impara tutto, ma il vero mondo è fuori, lontano, ed è lì che egli vuole andare. La prima parte del film punta così sull’amore/contrasto tra il protagonista e il padre, Conte Monaldo (Massimo Popolizio): le poesie del ragazzo mostrano non solo riflessioni interiori sulla sua sofferenza fisica (la scoliosi dovuta all’eccessivo studio oltre ai problemi alla vista) ma anche sul suo pensiero: un senso laico di vedere le cose e una lucida capacità di scorgere le ipocrisie di una società dominata dal cattolicesimo che non piacciono affatto al Conte Leopardi, il quale non vede di buon occhio nemmeno la frequente corrispondenza del figlio con Pietro Giordani (Valerio Binasco), portatore, secondo lui, di idee progressiste e rivoluzionarie.

Con un salto temporale di 10 anni, troviamo Giacomo a Firenze, legato a Antonio Ranieri (Michele Riondino), bohèmien napoletano che rimarrà sempre al fianco del poeta, nonostante le sue condizioni di salute continuino a peggiorare. Qui si invaghisce di Fanny (Anna Mouglalis), amante di Ranieri, ed è qui che il suo pensiero sull’infelicità umana giunge al punto più alto.

Infine, Leopardi incontra Napoli, città plebea invasa dal colera. Alle pendici dl Vesuvio scrive uno dei suoi capolavori, “La ginestra”, che racconta il suo pensiero e la sua esperienza umana.

Elio Germano è un tutt’uno con il personaggio: la sua sofferenza fisica, quella interiore per la volontà di scoprire l’universo che sta al di fuori dei libri negata dal padre, l’entusiasmo che porta la visita del Giordani, l’innamoramento per Fanny, la sua visione della società; ogni esperienza della vita di Leopardi viene trasmessa dall’attore con una vitalità e una passione uniche. Le sue pose, a volte nostalgiche, a volte di dolore, abbracciato dalla natura fredda e ostile dei monti di Recanati, sono metafore di un’anima inquieta ed infelice che trova sfogo in una scrittura autobiografica. Anche se non è compito semplice leggere versi poetici tramite lo schermo, Germano ci riesce alla grande e la sua prova culmina nell’umile  disperata confessione: “Io ho bisogno di amore!”.

Quello che Mario Martone ci regala non è solo un’opera biografica, ma anche il sublime racconto di un’anima ribelle, libera di pensiero, emarginata dalla società: genio tormentato e illustre dell’Ottocento italiano.

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Francesco Ruzzier (voto 9)

Probabilmente la realizzazione di un film sulla vita di Giacomo Leopardi ha rappresentato per generazioni di studenti delle scuole superiori la materializzazione di uno dei peggiori incubi collettivi di sempre. Per nostra fortuna Il giovane favoloso di Mario Martone non ha niente a che fare con quella terribile categoria di film etichettati con l'appellativo "per le scuole", anzi è un'opera monumentale e complessa che ha il pregio di non limitarsi a compiere una lettura della vita di uno dei mostri sacri della letteratura italiana in maniera schematica e ricca di luoghi comuni, e soprattutto ha il pregio di sfruttare il giovane poeta per costruire un parallelismo con le nuove generazioni che abitano l'Italia di oggi. Il Leopardi descritto inizialmente da Martone è un genio dal talento straripante e, nonostante la gracilità  del proprio corpo, in possesso di un'energia "interiore" tale da portalo a volersi liberare dalla gabbia di regole dogmatiche costruita attorno a lui dal padre. Supportata da una straordinaria colonna sonora firmata da Sascha Ring, dalle sonorità  affini ai Sigur Ros, la prima parte del film racconta la fase della vita di Leopardi confinata a Recanati - quella dello "studio matto e disperatissimo" - cercando di restituire, attraverso le immagini e un montaggio che alterna oggettivo e soggettivo, i pensieri, le sensazioni e la poetica del giovane artista, caratterizzati dall'oppressione paterna, dagli scambi epistolari con Pietro Giordani e dalla voglia di fuggire altrove. In contrasto con questa prima parte, che nonostante tutto risulta essere la più "sognante" e viva, c'è una seconda parte in cui Leopardi, riuscito ad abbandonare definitivamente Recanati, attraversa l'Italia fino a Pompei, inseguendo una felicità , un benessere fisico e un successo letterario che non incontrerà mai. La discesa verso il sud va quindi di pari passo con il peggiorare della salute del poeta e con l'aumentare della disillusione nei confronti della vita. La regia accompagna il suo protagonista in un viaggio sempre più cupo, riuscendo a rendere l'atmosfera progressivamente più pesante soprattutto attraverso l'uso, spesso antinaturalistico ed onirico, degli ambienti. Come accennato precedentemente, l'aspetto probabilmente più interessante de Il giovane favoloso è l'abilità con cui Martone ha costruito la propria opera non come una banale e sterile biografia classica, ma come un discorso per riuscire a parlare dei giovani di oggi, della loro voglia di fare grandi cose e del loro continuo fallimento. Liberatosi dalle costrizioni paterne il Leopardi del film diventa quasi uno studente fuori sede, schiavo dei (pochi) soldi inviatigli dai genitori e costretto a vivere una vita da precario perenne, incapace di trovare una propria posizione all'interno di una società che non riesce a capirne le potenzialità . Questo parallelismo con i giorni nostri viene ulteriormente rafforzato dalla sopracitata colonna sonora che propone delle musiche che, nonostante non abbiano nulla a che fare con l'ambiente in cui il poeta si muoveva, si sposano alla perfezione con le immagini del film. La riflessione che viene proposta dal regista napoletano è strettamente correlata al decadimento fisico e alla perdita di speranza del poeta e quindi il parallelismo con l'oggi assume toni sempre più pessimistici, fino ad arrivare alla rassegnazione al dolore de La ginestra. L'efficacia del discorso messo in scena da Martone non sarebbe mai stata tale senza la straordinaria interpretazione di Elio Germano nei panni di Leopardi, abilissimo a rendere credibili le disfunzioni fisiche del poeta, ma soprattutto per essere riuscito a recitare le poesie del suo personaggio con un'enfasi tale da investire di emozioni lo spettatore.

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