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6/10

Bella Addormentata regia di Marco Bellocchio

Drammatico
recensione di Fabrizia Malgieri

Quattro storie, con in sottofondo gli ultimi giorni di vita di Eluana Englaro. Un senatore deve scegliere se votare per una legge che va contro la sua coscienza o non votarla, disubbidendo alla disciplina del partito, mentre sua figlia Maria, attivista del movimento per la vita, manifesta davanti alla clinica dove è ricoverata Eluana. Roberto, con il fratello, è schierato nell’opposto fronte laico. Un “nemico” di cui Maria si innamora. Altrove, una grande attrice cerca nella fede e nel miracolo la guarigione della figlia, da anni in coma irreversibile, sacrificando così il rapporto con il figlio. Infine la disperata Rosa che vuole morire, ma un giovane medico di nome Pallido si oppone con tutte le forze al suo suicidio.

Quando un film lascia l’amaro in bocca. Attorno a La Bella Addormentata di Marco Bellocchio si è scritto tanto nei mesi scorsi, ancora prima di vedere i suoi fotogrammi scorrere, comprendere il suo iter narrativo, toccarlo con mano. Si è parlato, per partito preso, di un film scandalo: una pellicola che affronta, alla luce dell’annoso caso di Eluana Englaro, un tema – quello dell’eutanasia, o omicidio assistito o libero arbitrio sulla morte, dipende quale sia il proprio punto di vista – che avrebbe fatto discutere, avrebbe mosso gli animi, avrebbe riportato il tema in auge nella nostra agenda setting, offerta dai telegiornali o dai tanti talk show che affollano la nostra televisione.

Eppure, guardando La Bella Addormentata, la prima sensazione a pelle è quella di grande confusione, sia a livello narrativo sia a livello tematico. Confusione, dovuta ad una scelta narrativa corale poco strutturata: quattro storie, di cui solo due di queste si intrecciano,  dai toni vistosamente opachi, caricate talvolta di una recitazione molto sopra le righe, con attori che ciarlano di eutanasia (senza mai pronunciare la parola magica), attraverso frasi e discorsi fatti piuttosto stucchevoli. Tralasciando storie e personaggi, come quello esaltato ed esagitato interpretato da Isabelle Huppert, che sul finale cita persino Lady Macbeth, intenta a pulirsi e sfregarsi le mani dal sangue, l’unica storia degna di nota – e carica, al contrario, del vero spirito bellocchiano dei migliori tempi, tanto da far credere di essere di fronte ad un’altra pellicola – è quella che vede protagonisti Toni Servillo e Alba Rohrwacher. Senatore del PDL, vedovo e padre di una ragazza credente in viaggio verso la clinica La Quiete di Udine (dove si è spenta Eluana), il personaggio di Servillo si fa portavoce di quella contraddizione interna tipica dell’essere umano di fronte alla morte. E Servillo, attore anche questa volta impeccabile, ci regala uno dei monologhi più intensi dell’intero film, dove, dismessi gli abiti della sua figura politica e dell’Istituzione che rappresenta, riflette con umanità sulla difficoltà dell’essere umano a prendere confidenza con la morte, oggetto per noi da sempre di grande mistero e paura. Paura del dolore, paura della sofferenza.

Ma non basta la grande prova attoriale dell’interprete napoletano a rendere efficace un film come La Bella Addormentata, seppur non manchino atmosfere surreali di grande effetto – si pensi ai senatori romani, in attesa della discussione alla Camera del caso Englaro, ritratti in ammollo in un calidarium – dove la firma di Bellocchio appare più evidente che mai. Dopo circa due ore di narrazione, il tema eutanasia, tanto conclamato, sembra evaporare, affossarsi, lasciando spazio piuttosto a tematiche come il difficile rapporto genitori-figli con in background il tema della morte (che sia di un genitore o di un figlio), o la misericordia, come quella di un medico che tenta di offrire ad una donna allo sbando una seconda occasione, una rinascita (come nell’episodio che vede protagonisti Maya Sansa e Piergiorgio Bellocchio).

La domanda sembra venire da sé: Bellocchio voleva davvero portare avanti un polverone su un tema così caldo? O le coscienze, in alcuni casi un po’ “sporche”, che hanno cavalcato il caso di Eluana Englaro per riflettere l’annosa questione del “testamento biologico”, hanno riletto a proprio uso e consumo una pellicola che, invece, vuole raccontare tutt’altro? Ed è forse da qui che deriva l’amarezza e la confusione su La Bella Addormentata: abbiamo voluto plasmare e leggere un film con intenti forse diversi da quelli scelti dal regista piacentino, argomento – forse – per cui non siamo ancora pronti.

E vista l’attualità, forse, non lo saremo mai.

Perchè è l'Italia ad essere la vera Bella Addormentata.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 6 voti.

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p.muratori (ha votato 8 questo film) alle 13:34 del 9 settembre 2012 ha scritto:

“Bella addormentata”, l’ultimo film di Marco Belloccio, è un affresco moderno su un tema antico come la Vita.

Una lirica per immagini, le prime sequenze per descrivere con una rappresentazione eloquente e fiabesca il titolo del film, una Bella donna adagiata e addormentata su una panca di legno in una chiesa, scansata però, gradatamente, da un’inquadratura che cambia repentinamente scenario, riportando subito l’atmosfera verso una realtà secca e pungente, che solo una televisione accesa in una casa riesce a dare, sprofondando verso il fatto pesante del giorno che riguardo “il caso Englaro” (nei primi mesi del 2009, n.d.r.).

La drammatica decisione di un padre, Beppino, di interrompere l’alimentazione artificiale, grazie ad una norma di legge, recando morte certa a sua figlia in coma da 17 anni, in una clinica di Udine “La Quiete”, non è la storia del film, ma solo lo sfondo per raccontare altre storie, che ruotano attorno ai diversi aspetti e riflessioni inevitabili sul tema della vita.

Il clima di quei giorni, colmò la coscienza di molti italiani di un misticismo smisurato, la reazione, che coinvolse tutta l’opinione pubblica, non tardò ad arrivare in Parlamento, un fatto senza precedenti, pronto a trovare una legge d’urgenza in difesa estrema della vita, capace di annullare qualsiasi decisione presa da un Padre disperato !

Ma come spesso succede, in situazioni che scuotono la morale e la sensibilità di ogni persona, una nazione finisce sempre per diventare manichea, spaccandosi in due grandi fazioni, per poi frantumarsi, in ogni casa, in ogni luogo di lavoro, su opinioni diverse, come fosse una reazione sociale a catena, dove ogni persona ha voglia di improvvisarsi a Giudice per sentenziare la propria verità.

Un film, tre storie sfilacciate, un copione impastato densamente.

Storie sul valore della vita, che prende forma e colore attraverso delle scelte, che richiama ogni persona al proprio passato che come un fardello inesorabile appesantisce i sentimenti, spianati su un presente, fatto di morale e relazioni in ogni ambito di convivenza, sia essa personale e familiare, professionale o dentro l’aula di un Parlamento.

La prima storia riguarda proprio la politica e la famiglia, quella di un padre, un Senatore del Nord (PdL), Uliano Beffardi (Toni Servillo) in piena crisi di coscienza che dovrà affrontare un “viaggio” irto di problemi per le scelte coraggiose prese, non condivisibili dalla figlia e dal suo schieramento politico.

Il Senatore affronterà, come padre, da subito sua figlia Maria (Alba Rohrwacher), militante cattolica pro vita, in procinto di partire per Udine, per un sit - in davanti alla clinica della Englaro, per poi affrontare da li a poco il suo partito, che lo attende a Roma, con consapevolezza ed il coraggio di dover manifestare le proprie decisioni, non in linea con il suo schieramento politico.

La seconda storia, la più mistica delle tre, si svolge tra le mura domestiche, in una cornice bianca come la verginità, dove una Mamma (Isabelle Huppert), Divina, ex attrice di teatro, ha intrapreso un’altra carriera, quella della santità, diventando devota a sua Figlia, una ragazza bella come la vita che non ha più, che giace elegantemente su un candido letto, immobile, una scena che sembra evocare un quadro mitologico “Il ratto del sonno sulla vita”.

Una ragazza rapita da un dolce sonno, una scena che non riesce però a celare la triste condizione di una bellissima ragazza in coma, in una stanza ove presenzia unicamente il silenzio, violato solo dal rumore della macchina del respiro e dalla presenza di Pie donne che le prestano assistenza.

La terza storia, che si intreccia alle altre senza un ritmo predefinito, è la più surreale come la più vera, quella di un giovane Medico, che incarna l’essenza della Medicina con indiscussa passione, dal nome incredibile, Pallido (Pier Giorgio Belloccio), alle prese con Rossa (Maya Sansa) una sensuale quanto tossica donna che ha deciso di togliersi la vita nel suo Ospedale.

“Bella addormentata” è un film da non perdere, non solo per lo stile cinematografico di Bellocchio, ma decisamente per le storie raccontate e tramate con un ritmo di montaggio da improvvisazione jazz, senza predeterminazione, ma con una melodia finale, calzante, ineccepibile.

La maestria del regista sta nelle scene strappate dal fondo della concretezza per farle approdare, se pure per poco, in maniera credibile verso situazioni surreali, rendendo il film ancor più originale, su tutte, la scena della Sauna nei meandri oscuri del Parlamento, in pieno stile impero romano, dove i parlamentari avvolti da teli bianchi, seguono gli aggiornamenti del Senato attraverso schermi LCD, il dialogo tra il Senatore (Toni Servillo) e il suo collega di partito, nonché psichiatra (Roberto Herlitzka), che da una chiave esistenziale sui politici, sul perché dimorino nel nostro Parlamento, è un capolavoro di fotografia per il dialogo raccontato per immagini da due maschere teatrali.

Un film che vuole suscitare una riflessione sulle diverse prospettive che la vita porta con se, valori e disvalori sul campo della convivenza che il film richiama, ponendo prospettive ed interazioni filosofiche diverse, religione, laicità, politica, etica, famiglia e persona, contrapposizioni e contraddizioni sull’universo umano tra preghiere e slogan.

L’aspetto interessante di questo ultimo film di Marco Belloccio è l’aver saputo introdurre, a sorpresa, diversi spunti, che la visione del film lascia cadere lentamente sul tavolo della discussione, che non riguardano solo il senso della vita.

Attraverso le metafore, le allegorie e le licenze del caso, il film è una ricerca della verità, che non trova soluzioni, nell’ambito umano delle opinioni spesso è negazione di ogni assolutezza, anche se dovrebbe da sempre portare in maniera intrinseca, verso la strada dell’unicità.

Attraverso le sue storie, il film di Marco Belloccio riesce a disegnare una visione cubista sulla vita, aspetti frastagliati che portano ad un concetto astratto quanto concreto sul soffio vitale, una vita ha senso solo addormentata, se “vissuta” con dignità, l’aspettativa del risveglio è l’unica traccia di verità.

Uno stimolo, una speranza, la vita abbandonata nel sonno, che sembra allargarsi oltre la persona umana, indirizzato anche verso questa Nazione che si chiama Italia, indegnamente rappresentata da un Parlamento, dove la politica è la vera personalità in coma irreversibile, volutamente chiamata in campo dal film di Bellocchio.

Le scene che tracciano la storia del film descrivono al meglio come ogni scelta ha la sua complessità, un suo percorso decisionale tortuoso, ma quando è la vita ad essere in discussione e l’arbitrio non è più libero e personale, ma delegato ad altri, il dubbio di verità prende le forme della trascendenza, e di umano rimane ben poco, quando bisogna decidere per gli altri.

Tra le sequenze del film traspare una lucida umanità, che riguarda le scelte di eutanasia (parola che non viene mai pronunciata nel film, n.d.r.), molto spesso intonacate e appesantite dalla religione e dalla voglia di venerabilità, una malta che rischia di sovrastare qualsiasi decisione e togliere ogni certezza a cui si è approdati, ma che a volte riesce a scuotere la coscienza umana riportandola verso aspetti più semplici e laici, intrisi d’amore e di pietà.

Marco_Biasio (ha votato 7 questo film) alle 14:21 del 19 settembre 2012 ha scritto:

Attenzione, Fabrizia: il film si chiama Bella Addormentata, senza l'articolo. E' una precisazione che potrà essere di poco conto ma che, in realtà (e come tu stessa fai capire a fine recensione) non lo è, dato che la vicenda di Eluana è un semplice contorno al dispiegarsi di varie tragedie umane particolari, e la "bella addormentata" mi pare possa riferirsi a ben altri soggetti, prima tra tutti la politica, composta da esponenti che sono burattini teatrali, mestieranti di avanspettacolo che recitano ruoli consunti (basti vedersi Quagliariello, alla fine del suo intervento in Senato, come curi la gestualità e subito si guardi intorno con aria trionfante, quasi fosse un attore che ricerca il consenso di una platea a sipario calato, e non un senatore a cui è stato richiesto un voto su una questione sociale delicatissima e importantissima...) calati in alto dal Partito, senza fare i conti con la propria coscienza di uomini. Ho visto il film ieri, a Padova, in presenza del regista. Quello che posso dire è che ho apprezzato la delicatezza interpretativa con cui Bellocchio ha deciso di approcciarsi al tema: si intravede una presa di posizione, ma mai netta, sempre sfumata... Splendide le prove di Servillo e Rohrwacher, e molto belle le storie dell'attrice teatrale disintegrata dalla vegetazione della figlia e del complesso rapporto salvatore-salvata del medico e della tossica. Altre osservazioni sparse: gli intrecci sentimentali sono funzionali allo sviluppo della storia, ma li ho sentiti un po' vacui, un po' stucchevoli, forse non necessari. Nelle scene più "surrealisti" Bellocchio paga evidentemente pegno a Il Divo di Sorrentino: si vedano i senatori a mollo nel tepidarium (il flash immediato è Andreotti, circondato dai suoi in un segreto gabinetto democristiano, che si fa punturare il viso per risolvere i problemi di emicrania...) e la lista di votanti contro l'interruzione di idratazione ed alimentazione forzata per i pazienti in stato vegetativo (quella sorda colonna di "sì" quasi paranoici che riporta alla mente anche le storture pirandelliane del maestro Petri...). Non è un film politico, è un film profondamente sociale, il cui sviluppo - ma, d'altro canto, si poteva aspettare qualcosa di diverso dal maestro Bellocchio? - può essere in grado di coordinare e stimolare un dibattito serio e complesso attorno al tema in questione. Fossi stato in giuria a Venezia, non mi sarei sentito di votarlo come Leone d'Oro... Ma sicuramente ha il suo perché, ed è tutto tranne che "provinciale".