Il Sorpasso regia di Dino Risi
CommediaAnni ’60, Roma, Ferragosto. Il quarantenne Bruno Cortona, immaturo e sfacciato, casualmente incontra il timido studente di legge Roberto, rimasto in città per preparare gli esami. Il ragazzo si lascia convince a seguire Bruno in un viaggio improvvisato a bordo della sua spider Aurelia decapottabile. mostra spoiler
Incapace di sottrarsi all’invadenza di Bruno, Roberto accompagnerà l’uomo in mete sempre più distanti, fino a quando il viaggio si interromperà in maniera inaspettata e drammatica.
Sulle strade assolate di una Roma deserta di agosto si apre il film che meglio ci rende una testimonianza di ciò che è stata l’Italia degli anni ‘60. Il Sorpasso (1962) rappresenta infatti lo spaccato più preciso di quegli anni, ma il suo valore non si esaurisce in questo né nell’aspetto stilistico che lo colloca a pieno titolo tra i capolavori della cinematografia italiana. Il valore del film è dato anche e soprattutto dalla Storia, alla luce della quale si rivela profetico sull’evoluzione della società italiana dal boom economico ai nostri giorni.
Il film si basa sulla contrapposizione dialettica di due generazioni e di due personaggi agli antipodi, la cui psicologia è definita da Risi con straordinaria precisione e profondità analitica. Il Sorpasso, pur rientrando nel filone della commedia all’italiana, si allontana da essa superandola e presentando dei tratti di rottura rispetto al genere. La commedia all’italiana, sebbene in molti momenti abbia dimostrato di sapere descrivere con sguardo critico e feroce la società italiana e la piccola borghesia ipocrita e perbenista che nasce e trionfa in quegli anni, privilegiava il tratteggio di ”macchiette” e la rappresentazione spesso bozzettistica e caricaturale di tipi a discapito della complessità psicologica.
Risi, in questo film, abbraccia la logica autoriale come mai più farà nella sua carriera, soffermandosi sulle sfumature dei tratti dei protagonisti, che risultano personaggi completamente definiti e a tutto tondo.
I due rappresentano atteggiamenti antitetici di fronte alla vita, ma Risi fuga il rischio di ogni luogo comune facendo incarnare la corsa verso il progresso dall’adulto, l’immaturo e cialtrone Bruno, interpretato magnificamente da Vittorio Gassman. Bruno, furbo, ignorante, fanfarone, accompagna l’ingenuo Roberto (interpretato da Trintignant) in un percorso iniziatico erotico e sociale che lo porterà ad allontanarsi dalle purezze adolescenziali e da una visione ingenua della vita e dei rapporti umani.
La dialettica centrale del film, però, non è solo quella adolescente-adulto e Bene-Male, ma principalmente il film ci mostra il “sorpasso” dei valori tradizionali da parte della modernità. Trintignant è infatti espressione di una borghesia urbana, fautore delle virtù di onestà, sacrificio, rispetto dell’autorità e della famiglia, che si lascia affascinare e travolgere dai miti dello sviluppo, del benessere, dei consumi e, al tempo stesso, della furbizia e spregiudicatezza. L’analisi sociologica di Risi sa farsi ancora più precisa ed efficace di quella psicologica: la colonna sonora utilizza le canzoni più in voga del momento, una scelta piuttosto originale per l’epoca; la Roma raffigurata non è quella felliniana delle zone centrali, ma quella sorta con il boom: la Balduina, il Quartiere Olimpico, da cui si intravedono in lontananza le baracche pasoliniane dei sotto-proletari.
Lo sguardo di Dino Risi non è mai accondiscendente né indulgente nei riguardi del mondo che rappresenta, sebbene riesca ad evitare il facile moralismo anche nell’impietosità della tragedia finale. La sua visione dell’Italia è spietata e pessimista, perciò non si limita a fotografare – anche con un certo taglio documentaristico – la realtà: la sua è anche e soprattutto denuncia, senza rinunciare tuttavia alla leggerezza nei toni del racconto e godibilità.
Ma, come detto in apertura, il più grande valore del film gli viene conferito dalla Storia: è infatti inquietante, oggi, constatare quanto la sua simbologia sia stata tanto anticipatrice. La strada è la rappresentazione del percorso di una nazione che scopriva allora il benessere che il consumo le offriva; e non a caso la via che percorrono Roberto e Bruno è l’Aurelia, che collega Roma con le riviere, a simboleggiare la strada verso l’evasione, la vacanza, il disimpegno.
La vittoria del mito del benessere, dell’amoralità, della furbizia, dell’ansia di consumare l’esistenza, dell’ignoranza incarnati da Bruno, oltre che dell’automobile come forza motrice economica e sociale di una nazione: tutto ciò ha visto il nostro Paese accogliendo il progresso che ha sedotto e travolto il mondo tradizionale, cancellando di fatto una cultura’senza sostituirla con un’altra, a meno che si consideri cultura il consumismo imperante. Questo “sviluppo”, del resto, ha reso possibile il trionfo del fascismo moderno: non il clerico-fascismo che l’Italia ha vissuto nel Ventennio, ma quel Potere che veramente è riuscito ad omologare, sottomettere, privare della propria identità e coscienza il popolo italiano. Esemplare sopra ogni altra è la scena che mostra dei contadini ancheggiare al ritmo di twist: il fascino del consumo e di un falso progresso ha raggiunto ciò che il regime fascista non era riuscito ad ottenere. Questa corsa e questo sorpasso, come ha presagito Risi, si è rivelata auto distruttiva, trasformando gli italiani, per usare le parole di Pasolini, “in brutti e stupidi automi adoratori di feticci”.
Se Gassman incarna il vuoto, la volgarità, la presunzione dell’Italia moderna, nemmeno Roberto è un personaggio cui poter accordare la nostra simpatia. In lui si scorge infatti il germe della corruzione nella sua debolezza e completa incapacità di sottrarsi al proprio sfacelo. Subisce in poco tempo il fascino degli insegnamenti di Bruno, poiché il mito del consumo è già presente in lui. È perdente, in quanto privo di ogni vitalità, e inerme. Oltre che Bruno, sarà suo cugino, in cui tradizione e modernità hanno già trovato una loro sintesi perfetta - ed è proprio un fascista, nel senso moderno del termine –a suggerirgli i miti cui aspirare: lo studio a Rieti, una moglie che gli dia sempre ragione, e, soprattutto, la 1100.
Altrettanto indicativa è la scena della spiaggia, che a partire da quegli anni è il luogo deputato ai riti di socialità fasulla, euforia artificiale, esposizione e celebrazione del corpo. Acutissimo è Risi a soffermare la camera sulla solitudine e lo smarrimento nascosto negli sguardi vuoti dei ragazzi che ballano un twist, tristissimo, nel bar della spiaggia. Citando ancora Pasolini, “tutti i giovani d’oggi hanno l’imperdonabile colpa di essere infelici”.
Emerge sullo sfondo anche la moderna immagine della donna: tentatrice, spudoratamente seduttrice, ma allo stesso tempo in balìa di un potere maschile che, in un modo o nell’altro, la rende oggetto.
Le figure femminili (ricordiamo ad esempio lo sguardo della cameriera di Civitavecchia) oltre che simboleggiare l’iniziazione sessuale di Roberto, sono in qualche modo l’allegoria della modernità e del progresso, che seduce e al tempo stesso rovina. La recitazione essenzialmente “fisica” di Gassman in questo film risulta perfetta nel rappresentare la moderna cultura italiana che si esprime nel linguaggio dei comportamenti, nel linguaggio fisico, piuttosto che in quello verbale.
Nessun film più de Il Sorpasso sa raccontarci il momento di svolta della storia italiana, il passaggio da un mondo paleoindustriale a quello consumistico. Apre gli occhi allo spettatore di oggi, più che ai suoi contemporanei, su come e perché avrebbe trionfato l’edonismo disperato e autodistruttivo: l’Italia dei nostri giorni ne emerge illuminata.
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