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7/10

La Regola del Silenzio regia di Robert Redford

Thriller
recensione di Alessandro Pascale

Jim Grant è un tranquillo padre single nonché un avvocato di successo, almeno fin quando la sua vera identità viene svelata da un giovane reporter a caccia di una storia. Ex pacifista radicale, l'uomo fugge infatti da un'accusa di omicidio che pende sulla sua testa dagli anni settanta: sarà quindi costretto a dimostrare la propria innocenza mentre tenta di fuggire ad una dilagante caccia all'uomo.

 

Sbrogliamo le formalità: La regola del silenzio è un bel film. Tecnicamente ineccepibile, girato bene ed in maniera assai più agile del recente The Conspirator (2010) che sembrava essere un po' troppo soffocato dal suo classicismo narrativo.

Non che qui Redford stravolga le sue tecniche registiche, ma senz'altro riesce a muoversi più abilmente in mezzo ad una storia robusta e intricata, in cui sarebbe stato facile perdersi tra sbadigli e confusioni sui diversi personaggi. Il genere è un incrocio tra il thriller/avventura e lo storico/politico, alternando bene i due momenti con le indagini (in stile Zodiac) svolte dal giornalista Ben Shepard (un Shia Labeouf che regge bene la prova) nei confronti di Jim Grant (interpretato da un Robert Redford apparso un po' sciupato, forse un po' troppo vecchio per la parte). In mezzo un cast stellare che vede la partecipazione di Nick Nolte (notevole nel suo breve cameo), Brendan Gleeson, Julie Christie, Stanley Tucci (perfetto) e l'immancabile (visto il tema “democratico”) Susan Sarandon.

Il vero motivo di interesse sta nel soggetto: l'omonimo romanzo di Neil Gordon, sulla cui sceneggiatura ha lavorato efficacemente Lem Dobbs (non senza ulteriori integrazioni proposte dalle tante prime donne del cast).

Su questo campo occorre fare una riflessione: cosa vuole dirci Redford con La regola del silenzio? Voleva solo mettere in piedi una storia drammatica mettendo in rilievo la tragica vicenda umana di un padre diviso da sua figlia e legato ad un filo dalla scelta di vita dei suoi vecchi compagni politici? Può essere, ma quel che è interessante constatare è il giudizio implicito e sotterraneo che viene espresso in tutta l'opera sulla stagione degli anni '70: un periodo romantico, genuino, con degli errori certo, ma passionale e speranzoso, anche se in fondo barbaramente violento e oggi anacronistico.

La regola del silenzio crea un profondo sconforto in chi arriva alla fine del film e rimane attaccato con la mente al significato di due scene: la prima, quella in cui Grant chiacchiera poco amabilmente con il professore universitario Jed Lewis (Richard Jenkins), il quale oltre a rimproverarlo del passato violento gli racconta di come catturi l'attenzione degli studenti raccontando con passione le lotte di quegli anni '70, senza però riuscire a scuotere davvero quei ragazzi che un attimo dopo tornano “ad aggiornare il proprio stato su facebook” come se niente fosse.

La seconda scena è quella finale: da una parte Grant, imborghesito, arreso, stanco, che pensa solo a ricomporre la propria famiglia, avendo smesso di lottare contro il sistema. Dall'altra Mimi Lurie (la Christie), rimasta nonostante l'età “fedele alla linea”, riaffermando le ragioni della sua lotta, persistendo attorno a lei le stesse ingiustizie e le deleterie logiche di una volta.

Il confronto ha un esito scontato: il trionfo di Grant è il vero atto politico di un film che in questa maniera toglie ogni speranza, ogni valore combattivo e potenzialmente eversivo a chi guarda. Rimane solo il senso di una sconfitta storica, della necessità di scontare le colpe del passato attraverso un'introiezione del punto di vista dei vincitori, e la volontà di ripiegare sulla propria piccola individualità, abbandonando la necessaria lotta collettiva per una gratificante ma sostanzialmente inutile azione progressista individuale. Il passato lo si guarda con tenerezza ed è ancora in grado di mantenere vive alcune regole del silenzio e complicità mai morte, ma non è altro che un ricordo sbiadito.

La Regola del Silenzio è insomma un bel film, ma terribilmente moderato nel messaggio che lascia. Decisamente un peccato, anche se non ci si poteva aspettare certo da un Robert Redford una proposta ficcante nell'analisi di quella stagione...

V Voti

Voto degli utenti: 6,3/10 in media su 3 voti.
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alexmn 7/10

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alexmn (ha votato 7 questo film) alle 10:50 del 3 gennaio 2013 ha scritto:

d'accordissimo con ale. l'ultimo film prima di questo mi aveva quasi cine-ucciso, ma devo dire che la regola del silenzio mi ha ridonato fiducia nell'attore-regista con il volto più segnato dalla vita! seppur manchi un'analisi critica di un periodo importante della storia Usa, il film a livello di meccanica di genere spy funziona, lento ma inesorabile. certo se penso a i tre giorni del condor o anche a quello spy game da molti bistrattato la differenza si sente assai..