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8/10

Leoni Per Agnelli regia di Robert Redford

Drammatico
recensione di Cristina Coccia

Vengono narrati gli eventi che accadono in un'unica giornata e che mettono in correlazione tre storie: un ambizioso senatore di Washington che spiega ad una giornalista la sua linea d'azione, un maturo professore che si confronta con uno studente sveglio e capace e due militari americani in Afghanistan che combattono per la loro sopravvivenza.

Lo sceneggiatore Matthew Michael Carnahan, partendo da un concetto fondamentale, arriva ad esplicitare la sua tesi con convincenti argomentazioni e relative contro-argomentazioni: il suo punto di vista  è che la guerra possa essere percepita e rappresentata come un processo in evoluzione, instabile e pluristratificato, che si nutre di giustificazioni contrapposte e contrapponibili. Sulla base di questo punto cardine è strutturato l’intero film di Redford, in cui tre situazioni apparentemente dislocate vengono ad intersecarsi in più parti del montaggio, portando lo spettatore a porsi interrogativi apparentemente inconciliabili ma necessari per arrivare alla conclusione a cui lo vogliono condurre i tre contesti.

La sicurezza nazionale è effettivamente la cosa più importante per chi si trova a governare un paese? Contemporaneamente, però, si può asserire che il sacrificio in vite umane dei soldati, mandati dalla nazione in guerra, possa davvero servire a salvare numerose altre vite?

Nella storia, intesa come intreccio narrativo, sono presenti tre location che delimitano tre momenti e tre diverse facce della guerra, rappresentate partendo da quella più in alto e più astratta per arrivare a quella più concreta e vicina all’azione: la politica che si contrappone ma che contemporaneamente sfrutta la stampa, il mondo intellettuale che sprona i giovani a prendere coscienza e infine la vera guerra, il fronte, le sue tattiche strategiche e le sue motivazioni.

Nella prima situazione c’è un acceso dibattito che parte da un fine propagandistico per arrivare ad uno scontro verbale, basato pur sempre su un grande rispetto reciproco, ma su due diversi interrogativi e due tesi contrapposte. Da un lato è ritratto perfettamente il senatore repubblicano, interpretato da un eccellente Tom Cruise (convincente e convinto quanto basta del suo modus operandi e dell’idea che sia necessario il sacrificio di pochi eroi per salvare l’equilibrio e la sicurezza degli Stati Uniti dopo l’11 settembre), mentre, dall’altro lato, troviamo la figura della giornalista che, lentamente, sulla base dei quesiti posti durante la presunta intervista, esprime l’altra faccia dell’opinione pubblica e intellettuale, che non riesce a convincersi di una linea d’azione che conta le perdite umane e si impegna per far crollare la precedente visione della guerra. Meryl Streep è naturalmente perfetta nel suo ruolo di attenta e sarcastica osservatrice dei fatti e di giornalista che crede ancora nel potere e nella funzione della stampa e che non accetta di diventare solo uno strumento per amplificare le idee di un senatore impassibile anche nel momento in cui gli viene comunicato che due militari stanno per essere sacrificati per le sue idee. (La sua freddezza e la sua determinazione a manipolare l’opinione pubblica è definitivamente esplicitata dall’ultima battuta in cui afferma che non si candiderà mai alla Presidenza).

La seconda situazione è invece ben più legata alla terza e molto più concreta perché riguarda due generazioni a confronto: un professore universitario e un suo studente apparentemente disilluso e demotivato che sceglie volutamente di non schierarsi, di restare inerte mentre qualcun altro prende decisioni per lui e partecipa agli eventi. Redford, nel ruolo del docente e dell’intellettuale, usa come arma la dialettica e come argomentazione la sua ferma presa di posizione per portare alla maturità il suo allievo. La vera forza del film, e di questa scena, sta nel dibattito, in cui non c’è una semplice speculazione sulla posizione dell’autore (che è ovviamente contrario alla partecipazione alla guerra, come lo è il professore), ma dove vengono analizzate tutte le posizioni e le possibili contrapposizioni ad esse, e in cui ogni visione è dibattuta nei suoi pro e contro, senza tralasciare nulla.

Così, mentre il senatore e una parte della politica scelgono come linea di condotta quella della strategia romana di conquistare le alture per avere più facilmente il controllo dei territori da occupare (come avviene in Afghanistan nella terza location), contemporaneamente, parte dell’opinione pubblica, come afferma il professore, riesce a realizzare che, metaforicamente, Roma sta bruciando, comprendendo che non ha senso fare ancora finta di credere in un’ideologia che porterà molti giovani alla morte e sceglie, comunque, di essere coerente con i propri principi, anche a costo di lasciare il lavoro (come fa in realtà la giornalista alla fine del film, lasciando che il telegiornale annunci la notizia che lei non avrebbe voluto dare).

Infine, la concretezza del messaggio dell’intero film è data dalla scena dei due giovani soldati volontari nella missione in Afghanistan, che scelgono di rappresentare il loro Paese e si impegnano a farsi ascoltare in nome del coraggio e a credere nelle loro convinzioni anche a costo della vita.

L’ultima scena ricorda Butch Cassidy e il bellissimo finale lascia un unico interrogativo pieno di sfaccettature, di imperfezioni e di punti di vista differenti: cosa fare adesso? Cosa fare in questo particolare momento in cui è necessario più che mai prendere posizione e credere fermamente nelle proprie convinzioni? È possibile continuare la propria vita senza battere ciglio mentre, in tante altre parti del globo, popolazioni intere muoiono e si disperano?

Il cinema è, talvolta, destinato ad essere anche questo (nonostante accese polemiche sull’argomento) e la sua funzione come mezzo di comunicazione non è unicamente quella emotiva, ma spesso anche quella referenziale, ovviamente volta a sensibilizzare e a creare nello spettatore quella riflessione che spesso non riesce a scaturire dalla semplice esposizione dei fatti. Ben venga allora questo genere di film, a patto che tutto non finisca con i titoli di coda, ma che continui ad essere sempre presente nella nostra vita quotidiana e nella nostre scelte.

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alexmn 6/10

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