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9/10

I Ponti di Madison County regia di Clint Eastwood

Sentimentale
recensione di Cristina Coccia

1965. In un’afosa estate nell’Ohio, Robert Kincaid, seducente fotografo di mezz’età, si perde nei campi e giunge ad un’anonima fattoria, dove vive Francesca Johnson, casalinga con due figli adolescenti. È rimasta sola per quattro giorni, i figli e il marito sono partiti per una fiera e, mentre si appresta a rilassarsi e godersi la solitudine, ecco che si ritrova davanti un elegante vagabondo che non ha bisogno di niente e di nessuno e che le chiede indicazioni: Ho la netta sensazione di essermi perduto, le dice. Per quattro giorni, in realtà, entrambi si perderanno, cercheranno di allontanarsi dalle loro rispettive prigioni che li hanno intrappolati, inglobando sogni e speranze (I vecchi sogni erano bei sogni…Non si sono avverati…comunque li ho avuti…)

Robert e Francesca si conoscono profondamente, diventano appassionati amici e accrescono sempre di più quella che era già una vera e propria affinità elettiva. (Goethe chiariva perfettamente questo concetto, scrivendo: Si ha dunque una separazione e una nuova composizione, il che giustifica l’uso della parola “affinità elettiva”, perché in realtà si ha l’impressione che un rapporto venga preferito all’altro, venga eletto in luogo dell’altro.)

Alla fine, la loro storia arriverà ad un bivio e, come chi si trova sotto i ponti coperti di Madison County, Francesca dovrà scegliere quale strada percorrere: se tornare alla sua vita familiare e alla sua routine, o se andare avanti con Robert, esplorando il mondo e, con esso, anche se stessa. La sceneggiatura e il contesto delineano due temi importanti: la prigione, in cui ognuno si sente costretto e che può essere tanto interiore quanto esterna, e la scelta di seguire le proprie passioni o la responsabilità degli affetti consolidati.

Secondo me ci sono troppi  limiti  e troppo senso di possesso… Voglio bene alla gente… sento il senso dell’ipocrisia del controllo,  della prigionia che deriva dal possesso. Così, secondo questa visione della vita, Robert, nella sua esistenza, ha sempre cercato di ignorare questi limiti, non fermandosi mai in un posto solo, lasciandosi guidare dal suo istinto e dal suo lavoro, nei suoi viaggi come nelle sue fotografie. Spettatore di un mondo che ha sempre guardato attraverso il suo obiettivo, alla ricerca di certezze che non ha mai trovato, si perde tra le braccia di Francesca, arrivando a dichiararle il suo amore più totale:Te lo voglio dire una volta sola, non l’ho mai detto prima d’ora: questo genere di certezza si ha soltanto una volta nella vita.

La trasposizione dell’omonimo romanzo di Robert Walker diventa, nelle mani di Eastwood, un viaggio epistolare attraverso i diari che Francesca scrive ai suoi figli, un intenso duetto di attori che riescono dare corpo e anima a due personalità contrastanti e visivamente divergenti: Clint Eastwood è sempre statico, statuario e impassibile fino alla fine (anche nella scena sotto la pioggia), Meryl Streep è dinamica e sempre presa da incessante inquietudine. Entrambi danno una prova magistrale delle loro capacità e delle loro caratteristiche interpretative, che li hanno contraddistinti da sempre.

La singolarità del cinema di Eastwood è la scioccante concretezza delle sue immagini: è un regista che si sporca le mani, che non ha paura di mettere a nudo la sua anima, che prolunga il nostro sguardo sulla vita, la riduce ai minimi termini e la rende tanto reale quanto profondamente tormentata. Non si riesce a credere, alla fine, di vedere un film e non si può immaginare una storia d’amore se non attraverso gli occhi di Francesca e Robert, dopo aver vissuto la loro storia. Francesca dice ai suoi figli: Se le mie parole non sono state abbastanza chiare lo saranno le sue fotografie: è questo che un vero artista riesce a fare! Così Eastwood, da artista, utilizza le sue immagini, i suoi lenti e impercettibili raccordi, accarezzati dalle vellutate melodie jazz della pregevole colonna sonora di Niehaus, le dissolvenze in nero che enfatizzano la sua ineguagliabile abilità nell’uso della luce per catturare ogni dettaglio degli ambienti e della vita dei personaggi. Si arriva a pensare come loro, a provare quello che sentono e che immaginano, a scegliere per loro e a invecchiare con loro. Raramente i registi riescono a dare una tale percezione della narrazione: C’era una volta in America, In the Mood for Love, Il Cacciatore e poche altre pellicole sono allo stesso livello de I ponti di Madison County, che sicuramente merita uno dei primi posti in classifica tra le opere del “cavaliere pallido”.

Siamo tutti intrappolati nella vita di Francesca, nella routine, nella paura di Robert di lasciarsi possedere dalla donna che ama. Non è umano non sentirsi mai soli e non è umano non avere mai paura e le loro scene sono la prova che tutti ci sentiamo, prima o poi, ad un bivio, a dover decidere se alimentare una passione destinata a vivere nei nostri ricordi o se impoverirla con la routine fino a consumarla della sua singolarità. Ci sono innumerevoli modi di amare, così come sono infiniti e inimmaginabili gli esiti di una storia d’amore, ma le passioni devastanti sono sempre lì a costringerci a soffrire, a scegliere e a sentirci imprigionati nell’abitacolo di una macchina sotto la pioggia incessante, a domandarci se restare o scappare via, a metterci di fronte alle nostre paure e a combattere contro noi stessi per ottenere ciò che desideriamo. Per i samurai: L'amore più profondo è l'amore nascosto. Chi esprime il suo amore prima di morire, non ama profondamente. Solo l'amore che rimane celato fino alla morte è infinitamente nobile. E Eastwood, si sa, è il vero samurai del cinema contemporaneo. Questa è la sua dichiarazione d’amore, semplice, reale, delicata e lontana come le antiche ceneri che il vento porta via dai ponti di Madison County, liberandole per sempre dalla loro materialità.

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Voto degli utenti: 8,7/10 in media su 3 voti.

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dalvans (ha votato 9 questo film) alle 16:47 del 12 ottobre 2011 ha scritto:

Ottimo

Ottimo film