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7/10

Invictus regia di Clint Eastwood

Drammatico
recensione di Alessio Tommasoli

Sconfitto l'apartheid, Nelson Mandela, capo carismatico della lotta contro le leggi razziali, diventa presidente del Sudafrica grazie alle libere elezioni. Anche il mondo dello sport viene coinvolto dall'evento: il Sudafrica si vede assegnato il mondiale di Rugby del 1995 e sulla scena internazionale ritornano gli Springboks, la nazionale sudafricana dagli anni '80 bandita dai campi di tutto il mondo a causa dell'apartheid. Il rugby, infatti, è sempre stato lo sport più seguito dagli Afrikaner e ai cittadini sudafricani di colore veniva riservato negli stadi un misero settore, di solito occupato per tifare la squadra avversaria. In occasione della cerimonia di apertura del campionato mondiale, l'ingresso in campo del presidente Mandela che indossa la maglia di jersey degli Springboks segna un passo decisivo nel cammino verso la pace tra bianchi e neri. A collaborare con lui a questo progetto di integrazione e pacificazione attraverso lo sport, Francois Pienaar, il capitano della nazionale Sudafricana.

Come da attore, nel suo celebre ruolo di pistolero, Clint Eastwood puntava diritto al cuore del suo nemico, da regista punta diritto al cuore dello spettatore. Nei suoi capolavori precedenti come Mystic river, Million dollar baby, Lettere da Iwo Jima, Gran Torino, Eastwood costruisce il film attraverso una struttura che pone lo spettatore di fronte a un crescendo di emozioni, fino a scatenare in lui una reazione tanto forte da rendere difficile trattenere le lacrime. Nel suo ultimo lavoro, Invictus, Eastwood adopera lo stesso schema, questa volta però correndo il rischio di non riuscire a scatenare nella totalità dei suoi spettatori le emozioni che vorrebbe: la storia che egli rappresenta infatti ha il grande limite di essere strettamente legata ad uno sport non alla portata di tutti, il rugby.  

Eastwood, come già ha fatto con Lettere da Iwo Jima e Flags of our fathers, esce dalla narrazione di storie particolari che aspirano all’universalità, per rappresentare la Storia nel suo aspetto universale: l’enorme lavoro di riconciliazione sociale nel Sudafrica dell’apartheid compiuto da Nelson Mandela con il fondamentale aiuto del rugby. Di fronte a una nazione lacerata al proprio interno da un odio atavico tra bianchi (“africaner”) e neri, in una condizione nella quale anche la politica è impotente, c’è un solo modo per riunire ogni singolo individuo sotto una bandiera: un nemico comune.

Nelson Mandela però, convinto pacifista dopo la riflessiva esperienza del carcere, è cosciente che non c’è bisogno di altra violenza per eliminare l’odio, ma che tuttavia una guerra sia necessario che l’intero paese sudafricano la combatta per trovare unità: egli individua nel rugby il campo della sua guerra e nella squadra nazionale del Sudafrica il proprio esercito irregolare. Il rugby, concepito dai neri come sport esclusivo dei bianchi (considerato dai bianchi “sport selvaggio praticato da nobili” e dai neri “sport da duri praticato da signorine”), simbolo fino ad allora della divisione intestina al Sudafrica, viene sottoposto allo sforzo di Mandela, che, facendo fare dei tour nelle bidonville alla squadra nazionale, riesce a farne una passione anche per la popolazione nera.

Una volta stimolata l’unione, è allora necessario un evento che la sancisca definitivamente, uno scopo che sia comune a tutti, come potrebbe esserlo un nemico: questo è la coppa del mondo di rugby. Un nobile sport guerriero si trasforma in una nobile guerra sportiva, una battaglia che riesca ad unire sotto la bandiera sudafricana un intero popolo nella sua insanabile diversità, un popolo “arcobaleno”, nel modo in cui nessuna fatica politica, né alcuna guerra, sarebbero in grado di fare. Ma vincere la coppa del mondo è realisticamente un’impresa tanto difficile quanto quella di riunire il paese, e per raggiungerla Mandela deve trovare un interlocutore che lo rappresenti all’interno della squadra, che sia, come lui è la guida politica e spirituale dello stato, la guida sportiva della squadra, un “capitano”: si tratta di Francois Pieneaar.

In lui Mandela infonde la consapevolezza della propria volontà, la padronanza di sé e del proprio destino, la cifra di un’invincibilità (invictus) che ha portato lui stesso a sopravvivere ai trent’anni di reclusione forzata e che, al modo in cui egli cerca di alimentarla nel suo “popolo arcobaleno”, anche Pieneaar infonde nella sua squadra. Nel gesto del capitano della nazionale che leva al cielo la coppa del mondo, finalmente si apre l’arcobaleno che Mandela aveva utopicamente cercato: bianchi e neri si abbracciano tra loro sotto una bandiera che era stata il simbolo di un’oppressione e di una guerra civile degli uni contro gli altri, un’intera nazione di quarantasei milioni di persone non ha più colore della pelle che non sia quello della bandiera sudafricana.  

Le storie particolari di Eastwood, quelle sull’integrazione, sull’eutanasia, sulla vendetta e il rimpianto, colpivano lo spettatore perché lo trascinavano dentro sé stesse fino a costringerlo all’immedesimazione. Anche in Invictus lo spettatore cammina tra le bidonville, visita il carcere dove Mandela è stato recluso, entra nello stadio dove si disputa la finale della coppa del mondo, esulta, sente il cuore gonfiarsi nel momento glorioso dell’ultima meta, è egli stesso un membro della popolazione arcobaleno del Sudafrica.

In questo il regista è aiutato da un lavoro perfetto compiuto dai suoi due attori principali: Morgan Freeman compie una recitazione esemplare della figura di Nelson Mandela, rappresentando meravigliosamente il volto ferito dalle cicatrici del passato, riflessivo, pacato e allo stesso tempo deciso nelle sue convinzioni; Matt Damon, nel ruolo di Francois Pieneaar, è convincente forse più che in ogni sua altra interpretazione dai tempi di Will hunting - Genio ribelle”. Eppure il limite al quale Eastwood va incontro è quello di rappresentare sullo schermo l’emozione di una partita di rugby, di far passare necessariamente, dato il tema di cui tratta, le emozioni attraverso il filtro di immagini nelle quali non tutti gli spettatori riescono ad immedesimarsi, perché non tutti sono padroni di questo sport, e si crea in questo modo una barriera che impedisce di raggiungere quell’apice emotivo nel quale le lacrime sono difficili da trattenere.

Paradossalmente la storia universale diventa più particolare di quanto non siano quelle tratte dalla vita quotidiana e un film che racconta l’unione, la comunione e l’uguaglianza, rischia di trasmettere un’emozione esclusiva.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 6 voti.

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SanteCaserio (ha votato 6 questo film) alle 18:14 del 12 marzo 2010 ha scritto:

Dunque

Complimenti per la recensione, anche se da appassionato rugbysta non ritengo si possa definire elitaria la versione che Eastwood dà della palla ovale (anzi, direi che passano quegli aspetti più superficiale che evidentemente rispecchiano anche la consapevolezza di Mandela rispetto a questo sport). Ho trovato deludenti i dialogi (che spero pagassero un pessimo doppiaggio) e la colonna sonora (tra le peggiori di Eastwood). Credo che come soluzioni di regia si testimoni una stanchezza non particolarmente scandalosa. Ottima la recitazione di Freeman ma non ho trovato altro di entusiasmante. Comunque da vedere, come tutto Eastwood

SanteCaserio (ha votato 6 questo film) alle 18:18 del 12 marzo 2010 ha scritto:

Dunque

Complimenti per la recensione, anche se da appassionato rugbysta non ritengo si possa definire elitaria la versione che Eastwood dà della palla ovale (anzi, direi che passano aspetti più superficiali che evidentemente rispecchiano anche la consapevolezza di Mandela rispetto a questo sport). Ho trovato deludenti i dialoghi (che spero pagassero una pessima traduzione) e la colonna sonora (tra le peggiori di Eastwood). Credo che come soluzioni di regia si testimoni una stanchezza non particolarmente scandalosa. Ottima la recitazione di Freeman ma non ho trovato altro di entusiasmante. Comunque da vedere, come tutto Eastwood

p.muratori alle 23:56 del 3 maggio 2010 ha scritto:

RE: Dunque

Lo so per un appasionato rugbysta come te si può comprendere la delusione, ma il film, come annunciato dal regista non è sul rugby,l'evento sportivo rientra solo perchè parte integrante della storia di Mandela.

pietro.muratori (ha votato 10 questo film) alle 0:33 del 23 marzo 2010 ha scritto:

Invictus (Invincibile) “The past is past”

La storia di Nelson Mandela da leader dell’African National Congress, a Presidente del nuovo Sudafrica, che ha convinto Clint Eastwood a firmare la regia, non ha bisogno di essere colorata o commentata con stupore, è la storia di un leader che dopo ventisette anni di prigionia, trascorsi in una minuscola cella a Robben Island, ritrova un paese diviso e segnato da quarant’anni di segregazione razziale, consumata con la politica dell’apartheid.

La grandezza del film non è solo nella storia di un presidente come Mandela, ma come Clint Eastwood l’ha raccontata questa storia, di come sia riuscito nelle riprese, nel montaggio, nella credibilità interpretativa di ogni attore, realizzando un prodotto cinematografico che può definirsi un capolavoro del cinema.

Sudafrica maggio 1994 Nelson Mandela viene eletto presidente, la sua macchina sfila per le strade di Pretoria, tra l’indifferenza dei ricchi ragazzi afrikaner che giocano al rugby, e l’esultanza dei bambini neri su un povero campetto di calcio, il clima del nuovo Sudafrica è già descritto dalle prime sequenze del film.

Un film sulla riconciliazione, tema caro al vecchio Clint, come già realizzato in maniera eclatante nella doppia pellicola di guerra “Flags of Our Fathers”-“Lettere da Iwo Jima”, e nella multietnica intollerante provincia americana in “Gran Torino”.

La squadra di rugby, la nazionale sudafricana degli Springbok, da sempre espressione della minoranza afrikaner e ricordo dell’apartheid, emblema di una frattura politica oltre che sociale, è in piena crisi di risultati.

Ma il 1995 oltre a sancire un anno di presidenza di Mandela è l’anno dei mondiali di rugby ed il Sudafrica è la nazione che ospiterà l’evento.

Quando in ballo c’è una coppa del mondo ogni nazionale concentra nei propri colori l’orgoglio di una nazione e di un popolo, si mettono da parte le differenze regionali, e per tutta la partita ci si ricompatta, ma per il Sudafrica del ’95 neanche una nazionale di rugby è adatta allo scopo, durante l’amichevole con l’Inghilterra, “Tutti i bianchi tifano per il Sudafrica, tutti i neri tifano per l'Inghilterra ... questo deve cambiare!” (frase pronunciata da Mandela, n.d.r.).

Solo il fascino di un leader carismatico come Madiba (è il nome con cui la sua gente chiama Nelson Mandela, n.d.r.) potrà convincere i suoi dirigenti di partito a non cambiare radicalmente la squadra ed i suoi simboli, e a sensibilizzare François Pienaar, un afrikaner doc, capitano e autorevole riferimento degli Springbok, ad impegnarsi per rilanciare la squadra verso il mondiale ormai alle porte.

Il dialogo tra Mandela, interpretato alla perfezione da Morgan Freeman, ed il capitano della nazionale sudafricana Pienaar (Matt Damon), è la chiave di svolta del Sudafrica da riconciliare, non basta l’esempio per essere leader ma l’ispirazione, sono queste le parole che il Presidente rivolge al capitano, oltre che ha svelare il segreto che lo ha tenuto vivo in tutti quegli anni di prigionia.

Il finale del film lo lasciamo alla storia, sicuramente suggestivo e di grande impatto emotivo.

Le scene di rugby sono un capolavoro di ripresa e di regia, come anche le riprese e la post produzione audio, che enfatizzano ogni contatto fisico, quasi a percepire versi animaleschi negli sforzi, e nei contatti violenti di placcaggio.

Ma per chi si aspettava un film sul rugby rimarrà deluso, anche se le scene più coinvolgenti, di forte impatto spettacolare che arrivano a commuovere, riguardano la partita all’Ellis Park, lo stadio dei Springboks.

Ogni attore, dai protagonisti di questa impresa cinematografica, recita magistralmente la sua parte, dalle guardie del corpo alle comparse speciali, sin dall’inizio Morgan Freeman si confonde con Nelson Mandela, alla fine del film si fa fatica pensare che sia solo un attore e non il Presidente del Sudafrica.

Morgan Freeman riesce ad incarnare e a far convivere il carisma deciso di Nelson Mandela con le sue debolezze familiari.

La musica (Kyle Eastwood, Michael Stevens II) accompagna bene le scene di tutto il film, dando i giusti toni colorati del Sudafrica, ed enfasi alle scene di rugby.

Il film è un crescendo di situazioni politiche e sociali verso la ricostruzione di un Pese pieno di difficoltà e contraddizioni, la tensione sportiva verso i mondiali di rugby coincide con l’ascesa politica di Mandela con le sue imprese politiche, nazionali ed internazionali.

Muoversi tra i binari della Storia per realizzare un film biografico non è impresa semplice, non lascia troppo spazio alla creatività, può aiutare la sceneggiatura, ma l’originalità del soggetto che può stupire è tagliata fuori, la grandezza è stata dare credibilità alle scene per raccontare una storia già consumata e vissuta dai suoi protagonisti autentici, ed è per questa peculiarità che “Invictus“ ha una valenza superiore ed una difficoltà intrinseca da realizzare.

Il cineasta californiano con questo suo ultimo film si conferma, giocando con la traduzione del titolo del film, come Clint Eastwood, l’invincibile !

Pietro Muratori

Peasyfloyd (ha votato 8 questo film) alle 0:08 del 24 giugno 2010 ha scritto:

finalmente visto. L'ho trovato un pochino sbilanciato nelle parti, nel senso che c'è una certa discrepanza tra gli eventi sportivi e quelli politici, con una seconda parte tutta dedicata sui primi. Per il resto ha ragione Alessio quando elogia Clint per la sua capacità di immedesimare lo spettatore a livello emotivo. La capacità del regista è senz'altro questa: di riuscire a raccontare grandi storie con precisione, semplicità, equilibrio e soprattutto classicità. Il suo cinema è classico fin dalla prima visione, e questo può forse sembrare un segno di conformismo, ma personalmente io lo trovo un elemento positivo nel momento in cui viene correlato ad una tematica di fondo progressista (anche se in questo caso più moralista e umanitaria che realmente politica).

C'ha ragione anche Sante quando fa notare la pessima colonna sonora. Peccato perchè la fotografia è splendida e le recitazioni eccellenti. Voto in bilico tra il 7 e l'8.

dalvans (ha votato 6 questo film) alle 12:21 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Sufficiente

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