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9/10

Mystic River regia di Clint Eastwood

Thriller
recensione di Cristina Coccia

In un quartiere operaio della Boston degli anni Sessanta, tre ragazzini, Sean, Dave e Jimmy, decidono di scrivere i loro nomi sul cemento fresco, per lasciare una loro traccia indelebile, ma la firma di Dave resterà a metà, perché verrà rapito da due finti poliziotti che lo terranno imprigionato per quattro giorni, violentandolo, finché non riuscirà a fuggire. Il suo nome resterà per sempre incompleto e lui stesso rimarrà segnato da quella vicenda che gli impedirà di crescere interiormente. Dopo 25 anni, i tre amici si incontreranno nuovamente per l’assassinio della figlia di Jimmy, la giovane Katie. Sean è il poliziotto che seguirà le indagini insieme al sergente Whitey Powers e Dave, per una serie di sfortunate coincidenze, diventerà il maggiore sospettato. Nemmeno sua moglie Celeste crederà nella sua innocenza e, come quando era bambino, si ritroverà a fuggire ancora, forse senza colpa. Tutto si concluderà in una bellissima scena nei pressi del fiume Mystic. Qui si seppelliscono i nostri peccati, qui vengono lavati sentenzierà Jimmy.

Clint Eastwood, nel 2003, dirige, in soli 39 giorni, una delle sue migliori opere, portando sullo schermo il romanzo La morte non dimentica di Dennis Lehane. Il risultato è un film doloroso e carico di riflessioni intime e tormentate. Mystic River ritrae le modalità di interpretazione delle vicende esistenziali, le differenti elaborazioni del lutto e del dolore che emergono in alcuni di noi a seconda delle esperienze vissute in passato. È un film che guarda indietro, continuamente, con flashback e analogie, attraverso un viaggio interiore che i tre protagonisti si trovano a dover affrontare.

A contendersi la scena ci sono Sean Penn (Jimmy), Tim Robbins (Dave) e Kevin Bacon (Sean), affiancati da caratteristi celebri, come Eli Wallach (amico di Eastwood dai tempi de Il buono, il brutto e il cattivo) e da comprimari del calibro di Laurence Fishburne, Laura Linney, Marcia Gay Harden e dell’incantevole Emmy Rossum, nel suo primo ruolo cinematografico di rilievo. Le interpretazioni di Penn e Robbins sono da Oscar, come testimoniano le due statuette vinte nel 2004, rispettivamente come miglior attore protagonista e come miglior attore non protagonista, ed entrambi riescono a tratteggiare due personaggi contrastanti e complessi come pochi nella storia del cinema americano. Jimmy è un uomo risoluto (un re che sa cosa deve fare e lo fa anche se è difficile), che si porta dietro il peso degli anni di galera (la cui tensione si localizza alle spalle) e di una figlia di cui si è sempre occupato in maniera quasi ossessiva; è tanto sicuro di sé quanto dilaniato dal lutto. Il suo dolore è amplificato dai dialoghi e dal taglio particolare delle sue inquadrature, che portano in superficie una latente oscurità nelle sue azioni e reazioni. Il regista cerca di ritrarlo quasi come un boss, girando spesso le sue sequenze con un montaggio che ricorda quello de Il Padrino.

Dave, al contrario, è un uomo introverso, completamente stravolto dalle sofferenze adolescenziali e da quel tragico episodio legato alla sua infanzia. Si vede come un vampiro, come una presenza oscura che cerca di allontanarsi da qualcosa che continua a perseguitarlo. In realtà, crede di dover fuggire da se stesso, di cui non si fida, da quella persona che è diventato dopo l’esperienza che l’ha cambiato per sempre. Un bambino sfuggito ai lupi, un animale notturno invisibile, silenzioso, che vive in un mondo inaccessibile agli altri, un mondo di lucciole rivelato soltanto da un chiarore appena percepito, svanito nel momento in cui ti concentri per guardarlo.

Ecco una possibile chiave di lettura: il chiarore appena percepibile come unica fonte di luce in scene completamente calate nell’ombra. Eastwood scolpisce le figure dei suoi protagonisti con nostalgici chiaroscuri, li immerge in un mondo plumbeo, in cui l’unico colore che risalta spesso è il blu, da sempre attribuito all’acqua, lo stato della materia più indecifrabile, senza una forma definita e adattabile alle circostanze. L’acqua è  anche il filtro attraverso cui si può percepire la realtà alterandone i contorni, così come le ombre che lasciano intravedere solo una minima parte dell’animo dei personaggi, solo quello che resta della loro natura, ormai segnata irrimediabilmente dal dolore. L’impercettibile zona di demarcazione tra la luce e l’ombra segna quello che siamo, figure dai contorni sbiaditi, che si dissolvono nel buio, a causa del male che penetra nella nostra indole, deformando i nostri valori e spostando, da un lato o dall’altro, il precario equilibrio tra giusto e sbagliato. L’amore e la disumanità possono essere due facce della stessa medaglia se, a causa dell’ambiente e degli eventi che ci logorano, la linea di confine inizia a diventare sempre più oscura ed è proprio in questa terra delle ombre che ci muoviamo come fantasmi che cercano di eludere il proprio destino e di tornare nel mondo delle lucciole, come il piccolo Dave che ancora cerca di sfuggire ai suoi lupi.

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Voto degli utenti: 8,7/10 in media su 7 voti.

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dalvans (ha votato 9 questo film) alle 16:45 del 12 ottobre 2011 ha scritto:

Ottimo

Ottimo film