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8/10

The Conspirator regia di Robert Redford

Drammatico
recensione di Cristina Coccia

Washington, 1865. Frederick Aiken è un ufficiale nordista, reduce della Guerra Civile e deciso a dare la sua vita per una nazione unita. Al suo ritorno, il Presidente Abramo Lincoln viene assassinato da una pallottola mentre è a teatro con sua moglie. Vengono arrestati i colpevoli e i possibili complici, tra cui Mary Surratt, proprietaria di una pensione che, probabilmente, era il luogo in cui si riunivano i cospiratori. Madre di John Surratt, amico e frequentatore di uno dei sette uomini coinvolti nel delitto, Mary si dichiara innocente, ma deve essere giudicata da un tribunale militare. A difenderla viene chiamato Aiken, che, inizialmente, non crede in lei, ma che poi si appassiona alla causa, difendendo, insieme alla Surratt, il suo personale ideale di giustizia, di libertà individuale e di equo processo a cui tutti hanno diritto, anche in tempo di guerra. Frederick, nella sua ricerca della verità nel rispetto della Costituzione, resterà solo, alienato dagli amici e dalla fidanzata, ma finalmente aprirà gli occhi sulla violenza che la guerra porta dietro di sé, anche nelle aule di tribunale, ipotetici templi della giustizia, sempre più avvolti nell’isterismo e nella brutalità.

Maestoso, pungente, asciutto ritratto storico che denuncia una visione della giustizia contaminata dalla vendetta. Redford torna dietro la macchina da presa dopo quattro anni da Leoni per Agnelli e dirige un dramma giudiziario sull’illusione democratica del giusto processo, sulla morte di un ideale di integrità che viene a mancare nel popolo americano proprio in uno dei momenti chiave della sua storia.

Redford porta ancora avanti la sua idea di cinema, in cui analizza precise situazioni storiche con l’occhio critico della realtà attuale, della sua disapprovazione verso la politica americana e verso il suo sistema giudiziario. Utilizza un linguaggio da cinema classico, si sofferma su decisi primi piani dei protagonisti, tagliati e analizzati dalla simbolica luce che invade le scene. La fotografia di Newton Thomas Sigel riesce contemporaneamente a calare il dramma in un’atmosfera ottocentesca da cartolina d’epoca, ma anche a dare la suggestione che ci sia un elemento ideale, rappresentato dalla luce, che inonda le immagini, che illumina l’azione donandole una valenza catartica.

Le interpretazioni di Kevin Kline, Tom Wilkinson e delle bellissime Evan Rachel Wood e Alexis Bledel, creano un importante substrato su cui lavorano i due protagonisti: il bravissimo James McAvoy, che usa un penetrante sguardo per esplicitare la sua fermezza, e la divina Robin Wright, che riesce a creare il personaggio di una madre perennemente in bilico tra la figura di un angelo e quella di un fantasma. Un’interprete unica! Le riprese dal basso donano spesso solennità alle scene e ai dialoghi, facendoli risaltare rispetto al resto delle sequenze, ma ci sono due o tre scene che meritano di restare nella storia: McAvoy ripreso in campo lungo, due volte, parzialmente illuminato dalla luce artificiale, solitario giustiziere che resta, malgrado tutto, a combattere contro il sistema e, soprattutto, va ricordata la sequenza dell’impiccagione.

I personaggi fanno il loro ingresso, la luce è sempre più forte, ma è immediatamente oscurata da un ombrello nero che si apre per riparare dal sole, un ombrello simbolicamente utilizzato per rappresentare un ideale ancora oscurato dal desiderio di vendetta e dall’odio della massa. In un climax di tensione si arriva al finale, in cui lo spettatore, quasi senza respiro, si trova ad assistere alla morte della Giustizia, alla fine di un’illusione di integrità, annientata dalla violenza, in un tempo di guerra e di oscurità in cui, forse, ancora adesso veniamo a trovarci. 

Inter arma silent leges affermava Cicerone nel Pro Milone, dichiarando che non esiste legge in tempo di battaglia, e Redford, su queste basi, porta sullo schermo non più una sua opinione, ma la storia, come testimone, è proprio il caso di dirlo, di una paura che aleggia sulle nostre vite, che governa le nostre convinzioni in tempo di crisi e che oscura, talvolta, la nostra umanità e gli ideali che dovrebbero guidarci. Il cinema può essere spettacolo, artistica e personale interpretazione della realtà, ma il cinema di Redford riesce ad essere sempre avanti, dando all’intrattenimento una sfumatura di critica sociale che, in quest’epoca sempre più caotica, non può non essere apprezzata. Una nota di merito a lui e al suo coraggio!

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.

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alexmn (ha votato 7 questo film) alle 21:04 del 14 luglio 2011 ha scritto:

la storia vera è notevole, così come l'ottima messinscena di redford. però, a pelle, ho avvertito lo stesso 'difetto' di leoni per agnelli, ovvero la lunghezza.

soprattutto nella prima parte si sarebbe potuto asciugare i tempi per conferire un minimo di ritmo in più.

dalvans (ha votato 6 questo film) alle 12:16 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Sufficiente

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