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6/10

Il Solista regia di Joe Wright

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

Il film è basato sulla storia vera e straordinaria dell'odissea personale di un giornalista disincantato e cinico negli inferi delle strade secondarie di Los Angeles, e del suo incontro con un uomo che lì vive e si aggira, col quale costruisce un'improbabile amicizia grazie al potere unificante della musica. Il giornalista Steve Lopez (Downey) è ad un punto morto della propria carriera e della propria vita. Il suo lavoro al giornale è in tumulto, il suo matrimonio con una collega è finito e lui non riesce nemmeno a ricordarsi cos'è che gli avesse fatto amare così tanto il suo lavoro all'inizio. Finchè un giorno, camminando nel degradato quartiere di Skid Row, a Los Angeles, incontra una persona misteriosa, un uomo vestito di stracci di nome Nathaniel Ayers, che mette tutta l'anima in un violino massacrato e con solo due corde. Inizialmente, Lopez si avvicina ad Ayers considerandolo unicamente come una storia potenziale per la sua rubrica. Ma mano a mano che scava nella storia del musicista di strada, che a volte suona divinamente e altre sembra perso in un mondo tutto suo, una volta prodigio del violino proiettato verso un futuro di gloria e adesso un vagabondo che dorme nei vicoli e nei portoni, comincia per lui un viaggio che gli cambierà  per sempre la vita...

C’è un motivo particolare per cui si aspettava con una certa trepidazione Il Solista: no, non è Robert Downey Jr. (sebbene ovviamente la sua presenza fosse garanzia di qualità e serietà della pellicola) quanto la regia di Joe Wright: il suo Espiazione (2007) era stato una delle grandi sorprese di quell’anno, capace com’era di raggiungere un registro drammatico ed intenso davvero memorabile.

Ovvio quindi che ci fosse un certo interesse per quest’ultima opera, la cui storia poteva far temere ad una classica americanata, scongiurata per fortuna dalla qualità artistica di interpreti e regia. Eppure nonostante sembra che ci siano tutti gli ingredienti necessari per mettere a punto un piccolo gioiellino di arte drammatica e socialmente impegnata non si può non constatare che manchi qualcosa, che non tutto sia andato per il verso giusto.

L’incontro (basato su una storia vera) tra il suonatore senzatetto Nathaniel Ayers (grande prova di Jamie Foxx) e il giornalista Steve Lopez (Robert Downey Jr.) non sfonda i cuori e rimane un percorso frastagliato, incompleto, incapace di raggiungere il fondo della questione. Oltre ad un insufficiente approfondimento psicologico registriamo consistenti mancanze sia nella sceneggiatura (come si spiega il costante interessamento di Lopez per Ayers? Perché in definitiva Ayers è caduto nella pazzia? E il rapporto di Lopez con l’ex moglie che non si risolve?) sia nella stessa regia, in un utilizzo non ottimale della tecnica flashback, realizzata forse più per comodità di poter mostrare costumi, scenari e fotografie degli anni ’70 che per altro.

Al di là di queste molte piccole pecche che rendono il film non propriamente riuscitissimo e indimenticabile bisogna però dare il merito ad una storia che mette al centro dell’attenzione la questione sociale, e in primo luogo la tragica situazione di povertà e vagabondaggio che colpisce larghi strati della ricca America. Il ritratto di certi personaggi “minori” e di certi luoghi è davvero degno del miglior cinema impegnato discendente dal neorealismo.

Interessante anche il problema morale e filosofico sollevato da Lopez ad un certo punto del film: è giusto accettare che una persona scelga spontaneamente una vita fatta di miseria e povertà? È un tema che meriterebbe un discorso assai più ampio, in grado di mettere a fuoco la violenza dell’ideologia e della morale borghese che pretendono di assolutizzare il proprio sistema di vita in maniera totalizzante per ogni essere umano (in una maniera peraltro del tutto idealistica perché concretamente e materialmente impossibile da fare). Nel momento in cui questo discorso morale si allaccia a quello etnico-sociale si rischia poi di cogliere alcune malignità e interpretazioni malevole del film.

Pensiamo alle differenze di colore: i quartieri poveri sono per lo più composti da neri, e Ayers ne rappresenta un po’ il modello più elevato: spirituale, romantico, geniale e artistico (anche se ovviamente…pazzo), in generale però inadatto a vivere nel mondo reale. Dall’altra parte invece Lopez, bianco alfa, di bell’aspetto, civile, istruito, bel lavoro, e solidale, tanto da mettersi in testa di voler “salvare” il nero talentuoso un po’ sfortunato e finito in mezzo ad una strada. La sua azione riesce a smuovere altri bianchi che decidono di partecipare a questa campagna di solidarietà e civilizzazione (la donna che regala il violoncello, il sindaco che stanzia 50 milioni per le aree degradate).

Se non sapessi che Wright è un ragazzo a posto mi sarei quasi lanciato in un’invettiva post-conradiana del miglior stampo. Invece mi limito a segnalare questa possibilità di interpretazione ricordando che certi fantasmi forse affiorano sempre un po’ inconsciamente. Oppure sono certi spettatori che si fanno troppi giri di testa. Chiudiamo senza sicurezze, una volta tanto…

V Voti

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alexmn 7/10

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