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3/10

Un Giorno... Di Prima Mattina regia di Robert Wise

Musicale
recensione di Leonardo Romano

Il film è la storia romanzata della vita di Gertrude Lawrence,vedette del teatro musicale inglese ed americano dagli Anni '20 fino alla morte (spesso in coppia con l'amico, compositore e commediografo, Noel Coward). Dopo gli inizi difficili, la tenace Gertie raggiunge il successo, sostituendo una stella del vaudeville. Ma l'ascesa verso la fama è tutt'altro che semplice: fra contrasti con gli impresari, licenziamenti, matrimoni falliti, un rapporto difficile con la figlia, eccessi, stravaganze, difficoltà finanziarie, alcool e solitudine, il brutto anatroccolo ballerina di fila diventa un elegante cigno. Una vera...star! Riuscirà però anche a trovare l'amore e la serenità sposando l'impresario Aldrich

1968. Anno di contestazione, di rivolta e di protesta. E proprio per questo, a seconda delle opinioni, è considerato “annus horribilis” o “annus mirabilis”.

Sicuramente per la Fox non è certo stato “annus mirabilis” (e il 1969, con l’uscita di Hello, Dolly! non sarà certo migliore! Senza considerare che l’anno prima Il favoloso dottor Dolittle non aveva certo mietuto grandi allori. E qui mi merito l’Oscar all’eufemismo).

A ben guardare, sulla carta, i numeri per sfondare, il film ce li avrebbe.

Si ricrea la coppia Julie AndrewsRobert Wise: due persone che avevano fatto guadagnare alla Fox 80 milioni di dollari e che avevano dato vita all’ultimo, vero grande musical di Hollywood col loro stupefacente talento (l’una con la sua voce e la sua vivace presenza, l’altro con la sua mobile ed immaginifica macchina da presa). Abbiamo l’intelligenza e il talento musicale di Saul Chaplin, che, come Robert Wise, rimasto folgorato dalla bravura della Andrews, non vedeva l’ora di poter lavorare di nuovo con lei. Abbiamo la presenza di un novello Oscar Wilde (anch’egli omosessuale) dalla battuta pronta e salace (una volta ebbe a dire a Claudette Colbert: ”Se solo tu avessi un collo, ti avrei già strozzato”) come Noel Coward, compositore e commediografo di gran talento. Abbiamo la musica di alcuni dei maggiori compositori della prima metà del ‘900 come Gershwin, Porter e Kurt Weill, solo per citarne qualcuno. In più, possiamo aggiungerci uno scenografo di consumata esperienza come Boris Leven, l’esuberante fantasia di un costumista come Donald Brooks e la bella fotografia di Ernest Laszlo.

Allora cos’è che non va e che ha fatto disertare le sale al pubblico? I motivi son diversi.

Intanto la coppia AndrewsWise, affetta da ansia da prestazione, fa cilecca. La seppur brava Julie Andrews (con la sua voce cristallina conquista la vetta di certe note chiare, ferme e lucenti che nemmeno una cantante d’opera sarebbe capace di lambire: basti ascoltare la fine di The Saga of Jenny di Weill tratta da Lady in the dark) non si appassiona al personaggio di Gertrude Lawrence (una vera leggenda del music-hall inglese, ma  sconosciuta nel resto del mondo; il che ha contribuito non poco al fallimento del film) e la scarsa affezione che prova verso questa despota del palcoscenico degli anni ’20 è decisamente palpabile (e nonostante i salamelecchi di rito negli extra del dvd, la Andrews in un’intervista si chiese legittimamente se negli anni de Il laureato ed Easy rider fosse possibile riproporre un musical così fuori moda incentrato su un personaggio così antipatico).

Robert Wise, forse pensando malauguratamente di voler dare agli spettatori l’idea di trovarsi a teatro, indugia tanto (troppo!) su campi lunghi e lascia la macchina da presa ferma lì, impalata (che fine ha fatto la fantasia e la pimpante mobilità di West Side Story e di Tutti insieme appassionatamente?). Senza poi considerare che il confronto con l’altra biopic dell’anno, Funny Girl della premiata ditta StreisandWyler (sicuramente più vitale di questo soporifero ed elefantiaco prodotto Fox), gli nocque non poco.

Daniel Massey, lodato in patria per la sua interpretazione di Noel Coward (con tanto di nomination agli Oscar), a noi pare l’ennesimo ritratto della “velata” dandy, dall’aspetto arcigno, sempre con la sigaretta fra le dita e biecamente inacidita. Senza poi contare che per tutto il film non dice niente di arguto che possa lasciare in qualche modo il segno.

La musica che fa da colonna sonora al film è frutto del genio di grandi compositori, ma c’è un problema: i musical di Broadway degli anni ’20 e ’30 (escluso Show boat) avevano delle trame a dir poco idiote e le canzoni non potevano non esserlo altrettanto. Però, sebbene alcune sian diventate dei veri e propri evergreen come Someone To Watch Over Me, estrapolate dal loro contesto, “fuse a freddo” nella vicenda senza il benché minimo raziocinio, con alcune messe in scena grottesche (ad esempio il suddetto successo di Gershwin con la Andrews vestita da bambola di pezza gigante con tanto di boccoli o The Physician di Cole Porter ambientata in un harem da operetta con tanto di pecore in tinta pastello) ne fanno subito un pezzo da museo degli orrori.

Ma il vero difetto, quello che fa realmente traballare il film (e farebbe traballare QUALSIASI film) è la sceneggiatura sghemba, senza estro e senza nerbo di un pessimo William Fairchild. Basta rifletterci un po’ su e capire che, se si ha per le mani un personaggio stravagante e dal carattere burrascoso come Gertrude Lawrence (che fece della propria vita un’opera d’arte fra amori, delusioni, alcolismo, esperienze professionali con grandissimi compositori e commediografi, rovesci finanziari, matrimoni in frantumi e un rapporto difficile con la figlia), la lingua tagliente e il caustico humor di Noel Coward (sulla cui omosessualità Fairchild tace. Ma va’!) e una parterre fatto di Gershwin, Weill, Porter, Beatrice Lillie (notissima attrice teatrale inglese che lavorò con la Andrews proprio l’anno precedente in Millie), impresari leggendari come Charlot o Aldrich e ammorbi il pubblico come se avessi inondato la sala di cloroformio, vuol dire che sei davvero una mezza sega di sceneggiatore (mi si scusi la volgarità, ma uno che non fa fare nemmeno una comparsata nemmeno di sfuggita a questi giganti o ne fa uno schizzo malriuscito, non merita altra definizione).

Per di più, la vita della Lawrence viene ricostruita (anche se con una certa libertà di manovra come succede nelle biopic e com’è successo del resto anche in Funny Girl) solo prendendo in considerazioni amorazzi più o meno brevi, flirt e così via con una piattezza davvero rara, la frittata è fatta (ma mi verrebbe anche da aggiungere un’altra considerazione: dopo tutto, che ce ne frega di chi si innamorava Gertrude Lawrence?). Inoltre i suoi problemi con l’alcol e i suoi rovesci di fortuna vengono trattati con una superficialità ragguardevole e senza il minimo scavo psicologico sul personaggio. Il guaio è che la vita della Lawrence viene resa con una serie di piccoli mosaici, con degli sketchettini che sembrano dei post it lasciati sul frigorifero come promemoria. Quasi a dire:”Uh,stavo per scordarmi che nel 1933 ha fatto “Ninfa errante” con Cole Porter!...”. Ma dov’e Ernest Lehman quando si ha bisogno di lui?

Insomma, dai, picchia e mena, Zanuck – visti i disastrosi esiti al botteghino – fu costretto a ritirare il film (uno dei rarissimi casi ad Hollywood) e a distribuirlo nuovamente con dei brutali tagli non approvati da Wise (dagli originari 176 minuti di pachidermica proiezione ai più canonici 120, lasciando vistose falle nella già fallata trama): sforzo vano e inutile, visto che la caduta non fu attutita.

In effetti, come nel caso del Dolittle del ’67, la sua fama di film desaparecido che nessuno ha voluto andare a vedere al cinema, il suo clamoroso insuccesso commerciale (“film maledetto” che, insieme ad Operazione crepes-suzette del 1970, contribuì a distruggere per un buon decennio la carriera di Julie Andrews ad Hollywood) ne hanno fatto una sorta di “cult” per gli ostinati amanti del riciclo e per i fanatici “archeologi” dediti al recupero dell’irrecuperabile.

Noi poveri italioti (a cui non importa il classico fico secco di Gertrude Lawrence, della Fox e dei suoi tonfi commerciali) possiamo al massimo buttare un occhio a questo magniloquente molosso musicale, nato vecchio ed ammuffito già più di 40 anni fa, solo con il voyeurismo con cui, alla fine de La dolce vita, i partecipanti all’orgia nella villa fanno capolino sulla spiaggia per guardare attoniti ed angosciati quel terrificante mostro marino, fosco presagio di sventura.

Nonostante la mia netta stroncatura (nel cui calderone cade anche la mia amata Julie Andrews, ma quanno ce vò ce vò!), credo che non si debba comunque rimanere indifferenti al sovrumano talento della protagonista (anche se i veri colpi d’ali li ha soprattutto nei numeri musicali) e per la lussureggiante confezione (anche se i difetti riscontrati prima ne rendono difficilmente sopportabile il sempre insinuante cattivo gusto).

Buono il doppiaggio italiano (anche se il film fu distribuito nel nostro Paese in versione “mutilata”, che – ça va sans dire – non ottenne il favore del pubblico, storicamente allergico al genere), con una brava Maria Pia Di Meo (che forse avverte la stessa antipatia per Gertrude Lawrence riscontrata dalla Andrews. E come potrebbe essere altrimenti?) e un compassato Pino Locchi che dà voce al monocorde Aldrich, ovvero Richard Crenna (il colonnello aguzzino di “Rambo”). Drizzando le orecchie, si può anche sentire uno stentoreo Sergio Tedesco, il principe Filippo della “Bella addormentata”, prestare il suo vocione ad Alan Oppenheimer (ovvero l’impresario Charlot).

Altra piccola curiosità che riguarda il doppiaggio. La canzone dei titoli di testa, la simpatica Star! (composta da Lennie Hayton e interpretata dalla Andrews) è cantata, nella versione italiana, dalle gemelle Kessler (forse "scippando" il posto a Tina Centi, sua ghost singer ufficiale): un caso di "talent" ante litteram davanti al leggio (anche se le gemelline tutto pepe avevano comunque talento sul serio, al contrario di quelli odierni). Come?!...Molti di voi non hanno mai visto questo film?!

A parte che solitamente è trasmesso in orari e su reti abbastanza improbabili (l’ultima volta è stato avvistato nella fascia di mezzogiorno su quella surreale emittente che è Canale Italia: quindi non mi sento di rimbrottarvi per la vostra disattenzione), vi consiglio da amico di farvene una ragione: dovete essere fan sfegatati di Julie Andrews o vecchie checche (o tutte e due insieme, il che non è poi così campato in aria) per arrivare vivi fino alla fine della visione di questo…come definirlo?...COSO!

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